Politica
9 ottobre, 2025Il malessere interno non nasce solo dai numeri, ma dalla gestione verticistica del partito. Conte è accusato di ignorare i territori, di non ascoltare i gruppi locali, di affidarsi a pochi fedelissimi
Nelle stanze ovattate di Montecitorio, le parole pesano come pietre. E dopo l’ultima tornata elettorale, nel Movimento 5 Stelle l’aria è diventata elettrica. Il flop di Pasquale Tridico in Calabria, candidato simbolico ma mai davvero sostenuto fino in fondo, ha fatto saltare gli equilibri precari di un partito che, sotto la superficie compatta, vive una crisi identitaria profonda. E soprattutto, mette in discussione — forse per la prima volta in modo sistematico — la leadership di Giuseppe Conte. Il risultato è stato amarissimo: numeri che hanno bruciato più delle sconfitte precedenti. «Ci siamo giocati la faccia con un nome forte e ci siamo schiantati», ammette con amarezza un big calabrese.
La campagna sbagliata, la solitudine di Tridico, la chiusura “fantasma”
Gli errori, agli occhi dei parlamentari più critici, sono stati molti. Il primo, quello più evidente, è stato il tono e la conduzione della campagna elettorale. Tridico, ex presidente dell’Inps e volto legato al Reddito di cittadinanza, è stato “scaricato” nei fatti da chi lo aveva candidato. «Alla chiusura della campagna non c’era nessuno della coalizione. Schlein, Bonelli, Fratoianni: tutti collegati in video. Ma come si pensa di battere il centrodestra così?».
E ancora: il programma. Lo stesso Conte, salito in Calabria per un comizio lampo, ha rilanciato proposte giudicate “imbarazzanti” da più d’uno, come l’abolizione del bollo auto o l’assunzione di 7.000 forestali. «Roba da Cetto La Qualunque», sbotta un senatore.
Conte troppo solo (o troppo chiuso?)
Il malessere interno non nasce solo dai numeri, ma dalla gestione verticistica del partito. Conte — che ha progressivamente accentrato su di sé il controllo del Movimento — è accusato di ignorare i territori, di non ascoltare i gruppi locali, di affidarsi a pochi fedelissimi. «Il Movimento è diventato un partito personale, senza più dibattito né visione», osserva amaramente un ex ministro. Anche le elezioni interne alla presidenza del Movimento, che vedono la riconferma plebiscitaria dello stesso Conte come candidato unico, sono percepite da molti come una formalità senza reale partecipazione. Il dissenso, dicono fonti interne, è rimasto silente per paura. Ma adesso, dopo la batosta calabrese e la debole performance nelle Marche, i mugugni iniziano a uscire dalle chat riservate.
Fico in Campania e correnti in fermento
Ecco perché la vera partita si sposta ora sulla Campania, dove il M5s punta tutto su Roberto Fico, ex presidente della Camera e volto storico del Movimento. La sua corsa alla presidenza regionale dovrebbe rappresentare il rilancio dopo il fallimento calabrese. Ma non sarà una passeggiata: Vincenzo De Luca, seppur formalmente fuori gioco, resta un attore centrale. «Non ci metterei la mano sul fuoco che i suoi convergeranno su Fico», avverte un senatore partenopeo. Il rischio di sabotaggi interni — o peggio, di liste civetta appoggiate in silenzio dal governatore uscente — è sul tavolo.
La Toscana, il Pd e una coalizione che non c’è
Nel frattempo, Conte si prepara a un’apparizione fugace in Toscana (ma non si farà vedere insieme al candidato governatore) dove la candidatura di Eugenio Giani è sostenuta dal M5s solo per obbligo politico, non certo per convinzione. «I nostri in Toscana hanno sempre fatto opposizione al Pd. Ora dobbiamo fare finta che siamo uniti per salvare il rapporto con Schlein», spiega un parlamentare. Ma si sa, le alleanze forzate non portano entusiasmo. E senza entusiasmo, non arrivano neppure i voti. Quella che dovrebbe essere una coalizione alternativa alla destra, appare sempre più disunita, e il M5s, anziché svolgere un ruolo trainante, si ritrova marginale, invisibile sui temi, debole nell’organizzazione e incapace di intercettare un elettorato sfiduciato. Anziché cercare ciò che unisce si cerca sempre ciò che divide.
Conte leader dimezzato? “Non sfonda più”
Ed è qui che, tra i corridoi e la buvette della Camera, si insinua il dubbio più scomodo: Conte è ancora in grado di guidare il Movimento? La risposta, per alcuni, è negativa. «Non sfonda più, né nei talk show né tra la gente. Non ha più lo slancio del 2021», dice un senatore veterano. Paradossalmente, però, è ancora lui — Conte — l’unico che potrebbe candidarsi a Palazzo Chigi con un minimo di credibilità. «Rispetto a Schlein, ha più struttura, più storia istituzionale. Ma anche lui ormai è in difficoltà», conclude un altro eletto. Un Movimento fermo, spaccato tra nostalgie grilline e ambizioni centriste, privo di una direzione politica chiara. In crisi nei consensi, ma anche nel pensiero. E attorno a Conte, sempre più solo, cresce una domanda che nessuno osa ancora porre ad alta voce. Ma che, tra gli scranni semivuoti del Parlamento, ormai risuona ogni giorno più forte: è ancora lui la persona giusta per guidare i 5 stelle?
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