Politica
16 dicembre, 2025La riforma voluta da FdI e Forza Italia non piace alla Lega. Nell’opposizione, a un Pd che dice no, fa da contraltare Conte contrario al premierato ma non al resto. Si va di geometrie variabili
Un gioco di sponda fra la Lega e il Pd. C’è anche questo nella partita che riguarda la legge elettorale. E non è un aspetto secondario: anzi, potrebbe frenare la corsa che Fratelli d’Italia ha iniziato subito dopo le Regionali del 23-24 novembre, per arrivare alle prossime elezioni politiche con nuove regole del voto.
Matteo Salvini è stato esplicito: «La riforma elettorale in questo momento non mi interessa». Unica nota dissonante nel centro-destra, rispetto non solo al partito della premier Giorgia Meloni, ma anche nei confronti di Forza Italia, favorevole al ritorno al proporzionale. Ma, se ci fosse per ipotesi un’apertura del Pd, sarebbe più difficile per i leghisti azionare il freno, davanti a una possibile convergenza fra maggioranza e opposizione, su una proposta di legge che Palazzo Chigi vorrebbe vedere approdare in Parlamento già a gennaio. «Certamente, non intendiamo regalare nulla a Meloni», avverte Alessandro Alfieri, responsabile Riforme del Nazareno, confermando la levata di scudi, da parte dei Dem, nei confronti di quella che viene considerata «una forzatura» legata al timore da parte di Palazzo Chigi che il centro-sinistra possa vincere le prossime elezioni politiche o conquistare molti collegi uninominali del Sud – dove questa volta Pd e Cinque Stelle si presenterebbero uniti – sulla scia delle vittorie ottenute in Campania e Puglia, L’unica cosa certa – in attesa del testo definitivo di riforma all’interno della maggioranza dopo le tre ipotesi formulate a Montecitorio dagli esperti del centro-destra – è l’abbandono dei collegi uninominali (attualmente 37% per ciascun ramo del Parlamento). Potrebbe essere un danno per il “campo progressista” nel Mezzogiorno. Lo sarebbe anche per la Lega al Nord, considerando i risultati elettorali delle ultime Politiche: grazie al Rosatellum – che gli alleati di governo ora vorrebbero superare attraverso una nuova legge – Salvini riuscì a ottenere l’elezione della maggior numero di parlamentari nei collegi del Settentrione, non con le liste di partito ma con propri candidati condivisi dalle altre forze politiche della coalizione lì dove l’assegnazione dei seggi avveniva con il sistema maggioritario. La riforma di cui si sta discutendo nella maggioranza passa attraverso la soppressione di quegli spazi, per la Lega ancora più preziosi se il partito dovesse dividersi strategicamente in due, con una Lega del Nord guidata da Luca Zaia dopo il risultato positivo ottenuto in Veneto. Prospettiva nella quale si inserisce la raccolta di firme lanciata fra i militanti pochi giorni dopo il voto regionale.
Per Meloni, dunque, occorre trattare con Salvini, su uno schema di riforma che in partenza non è quello più favorevole alla Lega, ma che compenserebbe la soppressione dei collegi uninominali con il premio di maggioranza – il 55% dei seggi alla coalizione che superi la soglia del 40% –prevedendo un guadagno consistente per tutti i partiti del centro-destra. La possibilità anche tecnica di una vittoria “piena”, in tutti e due i rami del Parlamento, non lascerebbe spazio ad alleanze di governo trasversali, evitando quella che, su Il Giornale, il politologo Giovanni Orsina ha definito «una grande coalizione centrista con venature tecnocratiche». Invece, il sospetto prevalente del Pd è che il premio di maggioranza servirebbe al centro-destra soprattutto per poi eleggere il capo dello Stato solo con i propri numeri in Parlamento. Forse per portare al Quirinale nel 2029 la stessa Meloni, secondo alcuni scenari che vengono tratteggiati.
Il Pd – che nel dicembre 2017 aveva votato in Parlamento le attuali regole insieme con Forza Italia, la Lega più i centristi di varia estrazione – non vede la necessità di cambiare la legge specialmente nell’ultima parte della legislatura, dato che la maggioranza vorrebbe ottenere il sì del Parlamento dopo il referendum sulla giustizia previsto per la prossima primavera. Ma il parlamentare dal quale prende il nome l’attuale sistema elettorale, Ettore Rosato, ex capogruppo del Pd alla Camera e ora esponente di Azione, ha ricordato che in un primo momento i Democratici sottoscrissero in Parlamento l’intesa su una legge elettorale proporzionale che poi saltò per il passo indietro dei grillini (l’affossarono appena si iniziò a votare). Carlo Calenda è favorevole al proporzionale e non teme il previsto sbarramento del 3%. In linea di principio, c’è anche una disponibilità di Giuseppe Conte, tale da spezzare il fronte delle opposizioni, soprattutto se Meloni rinunciasse all’indicazione del premier, che già non piace a Forza Italia. «Criticità costituzionali» sono state sollevate da Raffaele Nevi, portavoce nazionale degli Azzurri. Matteo Renzi, allineato con il Pd nel bocciare il progetto della maggioranza, però non crede che l’indicazione del premier in realtà sia così rilevante per Meloni: «Sarebbe comunque lei a prevalere, se il centro-destra vincesse le elezioni», ha spiegato il leader di Italia Viva alla Festa per i 70 anni de L’Espresso.
Senza l’obbligo di indicare chi andrebbe a Palazzo Chigi, il centro-sinistra potrebbe anche rinunciare alle primarie, quelle che molto probabilmente favorirebbero Elly Schlein. Per i Cinque Stelle tutto sommato non sarebbe un danno, perché – lasciata la scelta ai vertici dei partiti – andrebbe concordato fra i partiti del campo largo un candidato di compromesso fra Conte e la segretaria del Pd. Se c’è un gioco di sponda fra Pd e Lega potrebbe aprirsene un altro, questa volta tra Fratelli d’Italia e M5S, due forze politiche che otto anni fa votarono contro il Rosatellum.
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