La ragione per cui nessuno in democrazia può governare all’infinito l’ha banalmente spiegata Barack Obama: «Se stai al potere troppo a lungo perdi il senso della realtà». Il perché lo capirebbe anche un bambino. E questa apparente banalità basterebbe per fare piazza pulita dell’assurdo dibattito sul terzo mandato del presidente della giunta regionale. Peccato soltanto che nei nostri palazzi il senso della realtà sia andato perduto da un bel pezzo. Infatti quella ridicola diatriba va avanti come se niente fosse.
A nulla serve ricordare come pressoché in tutti i sistemi democratici siano stati posti limiti temporali all’esercizio del potere, cominciando proprio dagli Stati Uniti d’America, dove il limite dei due mandati al presidente è in vigore dal 1951. Ed è stato (finora) sempre rispettato, in virtù della banalissima considerazione di cui sopra. A differenza dell’Italia, dove pure una norma che vieta di candidarsi per un terzo giro di giostra al presidente della giunta regionale esiste da più di due decenni e una dozzina di governi.
È l’articolo 2, primo comma, lettera f della legge 165 del 2 luglio 2004, approvata al tempo del secondo esecutivo di Silvio Berlusconi, sostenuto da una maggioranza identica all’attuale, sia pure con un peso diverso fra i suoi azionisti. Ventuno anni fa. E a dimostrazione di come leggi anche così importanti per il funzionamento di una democrazia, regolarmente approvate dai rappresentanti votati dai cittadini e regolarmente in vigore, si possano aggirare senza che venga giù tutto, a iniziare proprio dal governo di fatto responsabile a vario titolo degli aggiramenti, ci sono quattro nomi. Sono quelli dei presidenti di Regione che dopo il 2 luglio del 2004 sono riusciti grazie a curiose acrobazie normative o interpretative a fare un terzo e, nel caso di Roberto Formigoni, addirittura un quarto mandato. Gli altri, oltre a Formigoni, sono l’ex presidente dell’Emilia Romagna Vasco Errani, l’ex presidente del Molise Michele Iorio e il presidente del Veneto Luca Zaia. Quest’ultimo, tuttora in carica. Ed è proprio il caso di Zaia a rendere evidente come il famoso detto secondo cui le leggi si applicano o si interpretano a seconda delle circostanze, sia pienamente operativo. Arrivando a creare situazioni di disparità inaccettabili fra istituzioni identiche.
Qualche settimana fa la Corte Costituzionale ha bocciato l’articolo 1 della legge regionale numero 16 del 2024 della Campania. Ecco il testo: «Non è immediatamente rieleggibile alla carica di presidente della Giunta regionale chi, allo scadere del secondo mandato, ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi. Ai fini dell’applicazione della presente disposizione, il computo dei mandati decorre da quello in corso di espletamento alla data di entrata in vigore della presente legge«. Si trattava chiaramente di una legge “ad personam” per consentire al presidente della Regione Vincenzo De Luca, del Pd, di candidarsi per un terzo mandato. Semplicissima la traduzione: il calcolo dei due mandati consecutivi parte da quello in corso, che è già il secondo. Per di più la legge approvata dal consiglio regionale, a completare l’effetto antiestetico, portava formalmente la firma dello stesso De Luca.
La bocciatura era scontata. La legge del 2004 che vieta il terzo mandato prescrive che siano le Regioni, con una propria legge, a recepire il divieto. Su questo tutte le Regioni ci hanno sempre giocato, sostenendo l’inefficacia del divieto in mancanza di una legge regionale: cosicché bastava non fare la legge per evitare il divieto. Almeno fino a quando, a più riprese e in differenti sedi istituzionali è stato chiarito che il divieto è in vigore anche senza una legge regionale che lo recepisca, per il semplice fatto che la normativa nazionale sovrasta quella regionale.
De Luca comunque ci ha provato. Ma sapeva già come andava a finire? Chissà. Di certo, a giustificare il suo tentativo c’era un precedente che aveva funzionato perfettamente per eludere la disposizione nazionale. Lo stesso presidente della Regione Campania l’aveva detto pubblicamente, ben quattro anni fa. Per raggiungere l’obiettivo del terzo mandato avrebbe copiato Zaia: «Faremo quello che ha fatto la Regione Veneto. Da quando si approva la legge elettorale della Campania scatta la norma dei due mandati, niente di particolarmente innovativo».
Anche Zaia infatti aveva firmato, il 16 gennaio 2012, una legge “ad personam” (la numero 5/2012) identica a quella che quasi 13 anni dopo avrebbe fatto approvare De Luca. Articolo 6, comma 2: «Non può essere immediatamente ricandidato alla carica di presidente della giunta chi ha già ricoperto ininterrottamente tale carica per due mandati consecutivi». E poi articolo 27, comma 2: «La disposizione di cui all’articolo 6, comma 2, si applica con riferimento ai mandati successivi alle elezioni effettuate dopo la data di entrata in vigore della presente legge». Ossia alla fine del calcolo dei mandati, quello in corso non conta. Grazie a questo gioco di prestigio il 20 settembre 2020 Luca Zaia si è ricandidato per la terza volta alla presidenza della Regione Veneto ed è stato eletto con quasi il 77 per cento dei voti.
Perché allora De Luca, a differenza di Zaia non potrà farlo, nonostante le due leggi “ad personam” siano identiche? La vera differenza non è nella sostanza. Bensì nel fatto che quella di De Luca è stata impugnata dal governo di Giorgia Meloni. Mentre quella di Zaia, invece, non venne impugnata dal governo di Mario Monti. E Zaia, che secondo la legge non poteva fare il terzo mandato, è ancora lì. Per disattenzione, o calcolo politico? La risposta potrebbe darla soltanto Monti. Il fatto è che nessuno, nemmeno a sinistra, sollevò il caso che ora è stato (giustamente) sollevato con De Luca. Ed è questa la colpa politica più grave.