Politica
6 agosto, 2025Negli atti inviati dal tribunale dei ministri alla Camera menzionata una riunione in cui il capo dei servizi segreti esterni parla del rischio di "fermi di nostri cittadini" in Libia. Tutti e tre, scrivono i giudici, "hanno concorso nell’aiutare" il generale libico "a sottrarsi al mandato di arresto internazionale della Cpi"
Negli atti trasmessi alla Camera dei deputati con cui ieri – 5 agosto – il tribunale dei ministri ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, oltre che del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, indagati per il caso Almasri, c’è un passaggio che spiegherebbe le ragioni dietro alla rapida liberazione del generale libico su cui pendeva un mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale.
Il rischio di "fermi" di nostri concittadini in Libia
In una riunione riservata, ricostruita dal documento dei magistrati romani e datata 19 gennaio, a poche ore dall’arresto di Almasri a Torino, tra il capo dei servizi segreti esteri (Aise), Giovanni Caravelli, Pitantedosi e il ministro degli Esteri Antonio Tajani (ma senza il Guardasigilli), il capo della polizia Vittorio Pisani e il direttore generale del Dis Vittorio Rizzi, Caravelli parla “di possibili manifestazioni e possibili ritorsioni nei confronti dei circa cinquecento cittadini italiani che vivono a Tripoli o arrivano a Tripoli o in Libia, nonché nei confronti degli interessi italiani. In relazione a questi ultimi - aggiunge - si riferiva specificatamente dello stabilimento gestito in comproprietà da Eni e dalla National Oil libica sito a Mellitah, vicino al confine con la Tunisia, sottolineando che la Rada Force (di Almasri, ndr) aveva una collaborazione con le forze di sicurezza che operavano nell’area di quello stabilimento”. Il numero dell’Aise, “ricordando il recente precedente di Cecilia Sala arrestata in Iran”, “ipotizzava che la Rada Force, gestendo l’attività di polizia giudiziaria, avrebbe potuto effettuare dei ‘fermi’ di nostri cittadini all’ingresso nel Paese e sul territorio libico”.
"Tutti hanno aiutato Almasri a sottrarsi al mandato d'arresto della Cpi"
Una ricostruzione, quella del tribunale dei ministri, che ascrivibile alla ragion di Stato, ma che è sempre stata negata dal governo e, in particolare, da Nordio e Piantedosi quando hanno riferito alle Camere. “Appare verosimile – si legge ancora nei documenti trasmessi ieri alla Camera – che l’effettiva e inespressa motivazione degli atti sia da rinvenirsi nelle preoccupazioni palesate dal prefetto Caravelli sulle possibili ritorsioni per i cittadini e gli interessi italiani in Libia. Ma è evidente che, così facendo, i citati, nelle rispettive qualità, hanno tutti concorso nell’aiutare Almasri a sottrarsi al mandato di arresto internazionale della Cpi e ad eludere le investigazioni”.
Ed è qui che entrano in gioco potenziali profili penali, al di là delle motivazioni (politiche?) dietro al rilascio di Almasri in Libia – “lì dove avrebbe potuto continuare a prtepetrare condotte criminose” – per cui il tribunale dei ministri ha archiviato Giorgia Meloni ma ha chiesto che vadano a processo Nordio, Piantedosi e Mantovano. Perché tutti e tre, scrivono i magistrati romani, “erano perfettamente consapevoli del contenuto delle richieste di cooperazione inviate dalla Corte penale internazionale e, in particolare, del mandato d’arresto spiccato nei confronti dell’Almasri. Non dando corso a tali richieste il primo (Nordio, ndr), decretando il secondo la formale espulsione del ricercato con un provvedimento, viziato da palese irrazionalità (Piantedosi, ndr) disponendo il terzo l’impiego di un volo CAI (la compagina dei servizi segreti, ndr) che ne ha assicurato l’immediato rientro in patria (Mantovano, ndr), hanno scientemente e volontariamente aiutato il predetto a sottrarsi alle ricerche e alle investigazioni della Cpi”.
Di cosa sono accusati Nordio, Piantedosi e Mantovano?
Per questi e altri motivi, Nordio è accusato di “omissione di atti di ufficio” e di “concorso in favoreggiamento” – capo d’imputazione, quest’ultimo, che coinvolge tutti e tre –, mentre Piantedosi e Mantovano sono accusati anche di “concorso in peculato” in riferimento all’utilizzo dell’aereo in uso ai servizi segreti, di cui il potente sottosegretario a Palazzo Chigi ha la delega. Il prossimo passaggio di questo caso che va ormai avanti da quasi sette mesi sarà quando la Camera dovrà votare l’autorizzazione a procedere. Anche se, verosimilmente, la maggioranza voterà compatta per sottrarre al processo i tre membri del governo Meloni.
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