Politica
23 settembre, 2025Attesa per il (primo) voto della commissione Affari giuridici del Parlamento europeo sulla richiesta delle autorità ungheresi. Il Ppe sarà l'ago della bilancia. Salis: "Rivendico il diritto a un processo equo e giusto. A Budapest questo non è possibile"
È il giorno del (primo) voto che potrebbe togliere l’immunità a Ilaria Salis. Un processo, quello che rischierebbe di aprirsi in Ungheria per l’europarlamentare di Avs, da cui — come spiega in un’intervista odierna al Corriere della Sera — non vuole sottrarsi. “Anzi, voglio essere processata. Ma non in Ungheria, dove sarebbe un processo politico, dove la sentenza è già scritta. Voglio essere processata nel mio Paese. In Italia. Io ho fiducia nella magistratura italiana”.
Oggi — 23 settembre — la commissione Affari giuridici (Juri) del Parlamento europeo si riunirà per decidere se accogliere o meno la richiesta di revoca dell’immunità avanzata dalle autorità ungheresi che accusano Salis — per questo l’hanno tenuta per mesi in un carcere di Budapest, con catene a mani e piedi nei giorni delle udienze, e che ora vogliono processarla, dopo la scarcerazione seguita all’elezione — di aver partecipato a una “spedizione punitiva” contro esponenti di estrema destra durante il Giorno dell’onore, nel febbraio del 2023.
Quello odierno non sarà un voto decisivo — anche se inizierà a delineare gli equilibri politici interni all’Europarlamento — ma probabilmente la decisione finale spetterà all’aula nella sessione del prossimo 7 ottobre. L’ago della bilancia sarà il Partito popolare europeo, ancora incerto su come votare su Salis (il Ppe ha sette rappresentanti nella commissione Juri, dovrebbero bastarne due per far perdere l’immunità all’eurodeputata italiana). Ma — elemento importante per capire come si comporteranno i popolari — oggi si vota anche sulla revoca dell’immunità del un esponente proprio del ppe, Peter Magyar, uno dei principali oppositori di Viktor Orbán.
“La mia intenzione non è mai stata quella di sottrarmi a un processo — spiega Salis al Corriere —. Rivendico, come chiunque altro, il diritto a un processo equo e giusto, con tutte le garanzie democratiche del caso. In Ungheria questo non è evidentemente possibile. Per questo la difesa della mia immunità è oggi fondamentale”. Negli scorsi giorni, il portavoce di Orbán ha minacciato Salis pubblicando su X le coordinate di un carcere ungherese. E il premier l’ha attaccata (ma senza citarla) quando ha parlato della possibilità di designare gli Antifa come “organizzazione terroristica”.
“Revocare l’immunità significherebbe consegnarmi a una persecuzione già in atto — spiega l’eurodeputata di Avs —. La mia condanna è stata di fatto sancita in anticipo dal potere politico, in un Paese dove la magistratura non è indipendente e dove verrei sottoposta, come ritorsione, a condizioni detentive disumane. Fin dal giorno zero di quei lunghi, terribili quindici mesi di carcerazione preventiva ho chiesto che il processo si tenesse in Italia. In un Paese civile, dove vige lo stato di diritto, dove accuse e prove possono essere valutate in modo equo e trasparente, con tutte le garanzie democratiche”.
Che stato d’animo, a poche ore dal voto? “Sono preoccupata, agitata. Ma sono anche fiduciosa. Ho fiducia che i colleghi sappiano trovare una soluzione opportuna per tutti. Non soltanto per me”.
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