Politica
24 settembre, 2025Non basta il libero mercato. Per garantirne l’accesso è necessario adottare un approccio radicale. E invece il piano del governo è un bluff: troppo poco e troppo tardi
L’Italia, sul tema del diritto alla casa, deve conoscere una grande svolta. Si deve infatti decidere di farla definitivamente finita con una stagione nella quale le classi dirigenti del Paese hanno pensato che per rispondere alla domanda di alloggi adeguati alle diverse necessità fosse sufficiente il mercato, attraverso il suo gioco tra “domanda” e “offerta” (mercato a cui magari associare un po’ di edilizia residenziale pubblica frutto di epoche precedenti). Questo errore clamoroso di visione, che ha contagiato tutto l’arco politico, ha prodotto la situazione attuale. Dalle pagine de l’Espresso non sono mancati recentemente gli interventi che hanno posto il tema con grande e sacrosanta nettezza (si vedano per esempio gli scritti di Alberto Bortolotti o Roberto Morassut).
Fuori dalla retorica, si deve partire, come affermiamo nella nostra proposta nazionale, da una considerazione: in troppi non ce la fanno più. L’emergenza abitativa è reale perché un numero crescente di cittadine e cittadini fatica a reperire appartamenti a prezzi accessibili. Questo fenomeno, evidentissimo in alcune grandi città, si sta diffondendo in modo crescente e senza alcun tipo di risposta adeguata prodotta dal governo (ma ci torneremo in seguito). A nostro modo di vedere si devono mettere al centro innanzitutto due affermazioni di “principio”.
1) Il diritto alla Casa è talmente essenziale che va sancito in Costituzione (come propongono i movimenti impegnati nella campagna “Ma quale Casa”).
2) Senza risorse di carattere pubblico, e quindi senza un poderoso incremento di investimenti a tutela dell’interesse collettivo e senza affrontare il tema di nuove regole connesse alle trasformazioni urbane e in grado di orientare la funzione dei soggetti privati, non si effettueranno scelte efficaci e soddisfacenti.
Non solo. Si è di fronte evidentemente alla necessità di un nuovo Piano nazionale per la Casa, o, forse ancora più propriamente, a una politica (per l’appunto) pubblica stabile e duratura che non si fermi alla logica dei piccoli “interventi spot” ma che definisca un’azione ampia e impegnativa. Ciò significa realizzare alcune scelte immediate. Ne citiamo alcune.
1) Investire risorse ingenti, noi diciamo innanzitutto almeno quattro miliardi di euro, per il recupero del patrimonio di edilizia residenziale pubblica. Esistono, infatti, più di centomila case popolari vuote (solo 23mila di proprietà di Regione Lombardia, l’istituzione “maglia nera” in Italia) che non vengono assegnate. Migliaia di case senza persone con migliaia di persone senza casa. Uno scandalo assoluto, altamente rimosso che deve costituire il primo banco di prova per una svolta vera.
2) C‘è la necessità di realizzare, attraverso investimenti e scelte di carattere urbanistico e legislativo, migliaia di nuovi appartamenti di edilizia residenziale “sociale”. Cioè alloggi in grado di rispondere alla domanda abitativa di donne e uomini che non possono accedere alle graduatorie per ottenere le case popolari, in ragione del loro reddito, ma che non riescono comunque, con il livello scandaloso di tanti stipendi nell’Italia di oggi, a misurarsi autonomamente con i costi del mercato degli affitti.
3) Si deve orientare molto di più l’arrivo nei contesti metropolitani e più attrattivi di risorse e capitali finanziari. Per farla breve: i grandi capitali privati che investono sul mattone devono restituire molto di più alla collettività proprio per finanziare interventi riguardanti l’accesso alla Casa.
4) Non sono più rinviabili regole nuove, che aiutino innanzitutto i Comuni, magari sull’esempio di quanto fatto da Regione Toscana, per regolamentare il mercato degli affitti brevi e temporanei.
5) Servono nuovi strumenti, il riordino legislativo della materia urbanistica, come sollecitato dall’Istituto nazionale d’urbanistica a più riprese, e una nuova “organizzazione” dello Stato. Ciò anche a partire da un Ministero ad hoc per il diritto all’abitare (finalizzato pure a gestire le risorse che le istituzioni europee hanno finalmente annunciato) e un’articolazione di agenzie territoriali in grado, per esempio, di intervenire accompagnando e sostenendo i proprietari di casa che intendano mettere a disposizione appartamenti sul mercato dell’affitto e che avanzano spesso timori sulla mancata riscossione dell’affitto stesso, finendo per essere attratti da forme irregolari o temporanee. Strade, queste, che contribuiscono a indebolire l’offerta complessiva di case a costi accessibili.
In un simile contesto il piccolo piano annunciato da Giorgia Meloni è ciò che non serve poiché palesemente inadeguato. Basti pensare ai numeri. Nelle simulazioni oggi presenti a livello ministeriale si fa riferimento alla dotazione di 660 milioni di euro disponibili nel periodo 2027-2030. Una cifra irrisoria, dopo che il governo è riuscito nel capolavoro di fare ben peggio dei precedenti proprio nel momento in cui la domanda è “esplosa”. Va infatti ricordato che il debutto del governo della destra si è contraddistinto per l’azzeramento sostanziale degli unici strumenti disponibili a livello “centrale”. Cioè il Fondo sostegno affitti e il fondo per la morosità incolpevole. In altre parole, cosa fa Giorgia Meloni attraverso questa offerta “last minute”? Prima azzera i fondi esistenti, poi ne reintroduce una parte per “progetti pilota” a scadenza immediata. Un piccolo bluff e una goccia nell’oceano quando, invece, serve un cambiamento radicale di rotta.
*Segreteria nazionale del Partito democratico e responsabile nazionale Forum diritto alla Casa del Partito democratico
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Heil Putin - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 19 settembre, è disponibile in edicola e in app