L'audizione del ministro Gilberto Pichetto Fratin: "Sembra quasi che, in assenza del deposito nazionale, questi rifiuti non esistano sul territorio”. Il pugno duro del governo: nel caso in cui nessun ente sia disponibile, la scelta sarà presa dal Cdm

In Italia sono in aumento i rifiuti radioattivi. E di 32 mila metri cubi, un terzo si trova nel Lazio

In Italia ci sono circa 32.663 metri cubi di rifiuti radioattivi, l’equivalente di 13 piscine olimpioniche. I dati sono riferiti al 31 dicembre del 2023 – in aumento del 5 per cento rispetto al 2022 – e sono stati forniti dal ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, in un'audizione davanti alle Commissioni riunite Attività produttive e Ambiente della Camera sul deposito nazionale dei rifiuti nucleari. Guardando alla quantità di scorie, regione per regione, è il Lazio quella che detiene il maggior volume di rifiuti radioattivi: oltre 10 mila metri cubi, il 32,3 per cento del totale. Seguono Lombardia (19,70 per cento), Piemonte (18,28), Basilicata (13,10), Campania (7,95), Emilia-Romagna (3,82) Toscana (3,19) e Puglia (1,67).

Nessun ente locale si candida per ospitare rifiuti radioattivi

Ma tra le righe, Pichetto Fratin ha detto anche un’altra cosa importante. E cioè che nessun Comune appartenente alle 51 aree idonee individuate dal ministero per ospitare e stoccare i rifiuti radioattivi ha dato finora la propria disponibilità. L’ultimo no, in ordine di tempo, è arrivato dal Consiglio comunale di Roma, che ieri - 24 giugno - ha votato all’unanimità contro il deposito di rifiuti radioattivi nella Tuscia.

 

“In Italia – ha spiegato – il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, definito con Dpcm del 30 ottobre 2019, è attualmente in fase di aggiornamento, per tenere conto dei progressi scientifici e tecnici, nonché delle raccomandazioni, buone prassi e insegnamenti tratti dalle verifiche inter pares internazionali. Sicuramente – ha ammesso il ministro – l'adempimento maggiormente significativo in relazione al Programma è rappresentato dall'iter di localizzazione, realizzazione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi" che ha portato "all'elenco delle 51 aree idonee presenti nella proposta di Carta Nazionale delle Aree Idonee” per le quali, però, finora “non è stata presentata alcuna autocandidatura da parte degli enti territoriali, nonché da parte del ministero della Difesa per quanto riguarda le strutture militari, ad ospitare il Deposito Nazionale, secondo quanto previsto dalle disposizioni del dl energia”. Il cronoprogramma prevede che il rilascio dell’Autorizzazione unica nel 2029 e la messa in esercizio del Deposito scorie del 2039.

"Intesa con i territori o scelta del Cdm"

“Nel caso in cui si riscontri l’assenza di manifestazioni spontanee o la mancata definizione dell’intesa – ha proseguito Pichetto Fratin – saranno attivati dei Comitati interistituzionali misti Stato-Regioni, come forma ulteriore di sollecitazione alla leale collaborazione, e sarà ricercata l'intesa della Conferenza Unificata”. Ma nel caso in cui, prevedibilmente, neanche questa strada porterà a una soluzione, il governo è pronto a forzare la mano e ad adottare lui stesso la decisione in Consiglio dei ministri, da assumere poi “con decreto del presidente della Repubblica”, ha spiegato il ministro.

Gli impianti che ospitano scorie nucleari in Italia

Pichetto Fratin ha anche criticato l’assenza di disponibilità degli enti locali ad accogliere le scorie perché, comunque, è “un tema” che “esiste a prescindere. Sembra quasi che, in assenza del deposito nazionale, questi rifiuti non esistano sul territorio nazionale”, anche se in realtà sono “presenti, diffusi e vanno gestiti in totale sicurezza”. Gli impianti nel territorio italiano che al momento detengono rifiuti radioattivi, combustibile esaurito, sorgenti dismesse e materie nucleari, da conferire in futuro al Deposito Nazionale sono: quattro ex centrali nucleari in decommissioning gestiti da Sogin; quattro impianti del ciclo del combustibile in decommissioning gestiti da Enea e Sogin; un reattore di ricerca ISPRA-1 presso il Centro Comune di Ricerca (Ccr) di Ispra (VA), gestito da Sogin; sette centri di ricerca nucleare (Enea Casaccia, Ccr di Ispra, Deposito Avogadro, LivaNova, CeSNEF - Centro Studi Nucleari Enrico Fermi - di Milano, Università di Pavia, Università di Palermo); quattro centri del Servizio Integrato in esercizio (Nucleco, Campoverde, Protex, MITAmbiente); un centro del Servizio Integrato non più attivo (Cemerad) e un deposito del Ministero della Difesa, Stato Maggiore della Marina, Centro Interforze Studi per le Applicazioni Militari (Cisam).

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