Televisione
25 novembre, 2025La serie Sky è sempre godibile. Ma gli agenti ormai contano più dei loro clienti. E sul tappeto rosso le star vengono sostituite dalle piccole glorie del piccolo schermo
Aveva esordito come un sontuoso omaggio al piccolo schermo e ora è tornata come l’esempio di quanto quella bulimica televisione riesca a fagocitare tutto ciò che in qualche modo la tocca più o meno da vicino. La serie “Call my agent” per due luminose stagioni aveva raccontato la complicata vita degli agenti a contatto con le bizzarie umorali delle superstar da grande schermo. E il gusto pieno che aveva regalato era stato proprio quello di presentarsi come una dichiarazione d’amore dura e purissima nei confronti del cinema, con divi e divine raccontati in folgoranti pose dietro le quinte dei tappeti rossi.
Ora i nuovi episodi su Sky hanno lo stesso apprezzabile cast di partenza, ma anziché essere il tradizionale condimento a cui avevano abituato il telespettatore, diventano il piatto di portata.
E viene da chiedersi se siano finiti gli attori capaci di stare al gioco come nel passato avevano fatto Favino, Accorsi, Bruni Tedeschi, Golino e un’altra ricca compagnia di giro. O se, ipotesi ben più temibile, la televisione abbia rapito ogni cuore disponibile, al punto che si ritenga più avvincente Michelle Hunziker che fa le faccine di Sorrentino che impazzisce per i colloqui scolastici.
Quella tenerezza stupita con cui il remake del francese “Dix pur cent” si era inchinato alla settima arte, si sgretola per lasciare un prodotto di buona fattura, che si segue con il consueto piacere. Ma che fa capire che se fosse un film, la televisione non potrebbe essere altri che Blob, la creatura gelatinosa che mangia tutto quel che si trova attorno per ingigantirsi a dismisura.
Quindi non resta che apprezzare le interpretazioni di tutti gli agenti della Cma, oggettivamente cresciuti e capaci di reggere le dinamiche interne in solitaria (Sara Drago in testa), rimpiangere la comparsata di Corrado Guzzanti che non si è voluto concedere oltre i tre minuti, e accontentarsi dell’episodio in cui Ficarra e Picone regalano un finale a sorpresa condito da un gioiellino malinconico.
Per il resto le partecipazioni sembrano uscite da quei comunicati riempiti da frasi fatte come «il rutilante mondo dello spettacolo», «la prezzemolina» e altre facezie. Per cui sono tutti buonissimi, Luca Argentero e il suo sorriso vogliono essere padri presenti, Aurora Ramazzotti una figlia migliore, la banda della Magliana rediviva sventa le ingiustizie e l’immaginifica Sandrelli che potrebbe fare qualsiasi cosa solo alzando un sopracciglio in realtà è lasciata lì per essere fotografata e gratificata e incensata senza neppure provare a usare la sua impeccabile ironia. Ed è un peccato perché il cinema alla tv non si deve arrendere. Mai.
DA GUARDARE
Se ne sono andate insieme le gemelle Kessler, così come erano arrivate a scompigliare l’immaginario italico seduto nel salotto buono. Con loro la televisione aveva scoperto cosa significasse la parola soubrette. E per salutarle viene solo da canticchiare un motivetto imperituro: “Lasciati baciare col letkiss’
MA ANCHE NO
“All’s Fair” (Disney+) è diventata un caso. Perché con un cast di stelle, la manina di Ryan Murphy, i denari di Kim Kardashian e lo sguardo di Glenn Close (tra le altre) era quasi impossibile non fare centro. Invece a volte accadono cose strane. Al punto che la serie è brutta, ma così brutta da essere quasi irresistibile.
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