Gli investimenti in ricerca e sviluppo per portare a soluzioni energetiche 'pulite' su larga scala sono necessarie almeno quanto i trattati internazionali per limitare il riscaldamento del pianeta. Ecco perché al forum sul cilma di Parigi si è fatto il punto anche su questo

E se fosse la tecnologia a salvarci? «Negli ultimi cinque anni, le tecnologie pulite hanno fatto passi da gigante», ammette Ernest Moniz, il segretario dell'Energia degli Stati Uniti, da poco arrivato a Parigi per i negoziati sul clima. «Una serie di innovazioni ha ridotto in maniera significativa i costi delle tecnologie eoliche e solari, per non parlare di quelle dell’illuminazione. Mentre cerchiamo di ridurre le emissioni, nel futuro dovremo poter contare su una messe di invenzioni ancora maggiore».

Ben prima che venga firmato un accordo multilaterale sulla riduzione dei gas-serra,  qui a Parigi sono state annunciate due iniziative strategiche. La Breaktrough Energy Coalition, guidata da Bill Gates, comprende 28 celebri investitori del rango di Richard Branson (Virgin), Jeff Bezos (Amazon), Mark Zuckerberg (Facebook), Jack Ma (Ali Baba) e del principe saudita Alwaleed bin Talal. L’insolita alleanza privata, pur senza annunciare quanti soldi metterà sul piatto, sarà focalizzata sui venti paesi che partecipano a una seconda iniziativa pubblica, battezzata Mission Innovation. Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Francia, Brasile, Cina, India e molti altri, si sono impegnati a raddoppiare gli sforzi nella ricerca e nello sviluppo di energie pulite, con un investimento previsto di 20 miliardi di dollari.

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«L’energia è responsabile di due terzi delle emissioni di gas-serra – afferma il direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale per l'energia, Fatih Birol – e se l'accordo di Parigi non metterà al centro l’energia, sarà incapace di risolvere il problema. Abbiamo bisogno di una continua messe di innovazioni, se vogliamo ridurre i costi delle tecnologie pulite e renderle più efficaci».

Dal momento che il tempo stringe più che di soluzioni,  c’è bisogno di rivoluzioni. «A cominciare dallo stoccaggio di energia», sostiene Moniz, che prima di essere ministro è un eminente scienziato nucleare dell’Mit. Per le batterie del futuro, «dobbiamo sperimentare diverse combinazioni chimiche, in modo da utilizzare gli elementi più abbondanti presenti in natura», che facciano il minor ricorso possibile alle cosiddette “terre rare” o ad altri elementi costosi e sconvenienti dal punto di vista geopolitico.

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Proprio oggi, l'Ipcc (il braccio scientifico delle Nazioni Unite in materia di clima), metterà in mostra al vertice parigino un ventaglio di piccole innovazioni già sul mercato. Come il sistema satellitare che aiuta i governi degli Stati-isola del Pacifico a comprendere e a comunicare i rischi del cambiamento climatico alle comunità locali. O il sistema che fornisce a 100mila agricoltori ugandesi gli strumenti per raccogliere, analizzare e ricevere avvisi sulle colture e sul mercato del bestiame. Oppure Mobisol che, in Ruanda e in Tanzania, combina l'energia solare, la tecnologia mobile e la microfinanza, per accendere 5 lampade Led, radio, Tv, e per ricaricare fino a dieci telefoni cellulari.

La vera rivoluzione tecnologica però, dovrà essere di portata assai più rilevante. Solo quando saranno disponibili maggiori fonti pulite di elettricità, i veicoli elettrici potranno accompagnare il mondo verso un avvenire più sostenibile. «Abbiamo calcolato  – spiega Birol – che per limitare il riscaldamento globale entro il famoso tetto dei due gradi, da qui al 2030 almeno un quinto di tutte le automobili dovrà essere elettrico».
L'accordo internazionale che dovrebbe essere firmato a Parigi alla fine di questa settimana, garantirà una serie di restrizioni volontarie alle emissioni, ma non abbastanza per mantenere l’aumento della temperatura al di sotto dei due gradi. «Servirà solo a evitare il cambiamento climatico più disastroso», ammette Moriz, ovvero quello al di sopra dei tre gradi.

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Così, per scongiurare spiacevoli conseguenze climatiche, l'innovazione rimane più che necessaria. Non solo la civiltà umana deve implementare tecnologie a basse emissioni di carbonio, ha bisogno anche di soluzioni carbon-negative. In altre parole, occorre rimuovere dall’atmosfera almeno un po’ dell’anidride carbonica che abbiamo aggiunto nell’ultimo secolo. La tecnologia Ccs (cattura e stoccaggio del carbonio) è ormai quasi una leggenda, in quanto costosissima e difficilmente applicabile.

Soluzioni più concrete, come quella di CarbonCure (dove la CO2 generata durante la produzione di cemento viene catturata e immagazzinata per sempre in blocchi di cemento per costruzioni) stanno aprendo la strada a un futuro “negativo”. Ma si tratta di una strada ancora in salita.

Ecco perché gli investimenti in ricerca e sviluppo sono tanto necessari quanto i trattati internazionali. Laddove la politica non può arrivare, l'ingegno umano – e anche un pizzico di fortuna – potrebbero risolvere il problema.