Under 30, con laurea o diploma, che arrivano in Basilicata da tutto il Sud Italia. Viaggio nella più grande fabbrica italiana del gruppo automobilistico. Dove in due mesi sono state assunte, in vista del Jobs Act, quasi 1.500 persone

Due giornate in vetta alla classifica del girone, poi il brusco rallentamento. Alla Candida Melfi, la squadra di calcio di Ripa Candida impegnata nel campionato Promozione, la ripartenza in grande stile della produzione a Melfi ha spento il sogno di vincere il girone. «Perché adesso 18 dei 25 giocatori della rosa lavorano direttamente o indirettamente alla Fiat», spiega sorridendo Nico Maiorino, stopper della formazione.

Nico, 23 anni, è stato per qualche mese alla Pmc Automotive, che produceva l’ossatura in acciaio della Punto. Ma alla fabbrica ha preferito il bar, e infatti è dietro il banco dell’elegante “Dolce Arte”, nel pieno centro di Melfi, di fianco alla chiesa del Carmine. La sua cliente Antonella, 24 anni, ragioniera, appena ottenuto l’ingaggio da interinale ha invece mollato la pizzeria dove lavorava fino a tarda notte. «Ero assunta part-time e metà dei soldi me li davano in nero. Non vedo l’ora di entrare in fabbrica, la fatica non mi spaventa».

Antonella è una dei 240 giovani che hanno cominciato lunedì 9 marzo a sgobbare alla Sata (Società automobilistica tecnologie avanzate), la più grande fabbrica della Fiat, in quanto a numero di addetti. Erano quasi seimila, poi s’è scatenata la campagna acquisti. Con l’ultima infornata il pallottoliere dei nuovi arrivati è giunto a 1.450. E potrebbe salire a 1.900, se i 450 operai prestati dalle fabbriche Fiat di Cassino (Frosinone) e Pomigliano d’Arco (Napoli) per addestrare le reclute dovessero essere rimpiazzati, una volta esaurito il loro compito a Melfi. Eventualità, questa, legata al mantenimento dei livelli produttivi, arrivati ai massimi storici da quando in Basilicata si sfornano, oltre alla Punto, anche 500X e Jeep Renegade.
Inchiesta
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I nuovi operai sono entrati nello stabilimento lucano tra il 12 gennaio e il 9 marzo: età media, 25 anni; quasi tutti, come richiesto da Fiat, hanno meno di trent’anni e un diploma in tasca, qualcuno la laurea. Per ora risultano in carico alle agenzie interinali ma alla scadenza dei contratti, il 31 luglio, mille di loro saranno sicuramente stabilizzati, assunti a tempo indeterminato dalla casa automobilistica con il nuovo contratto a tutele crescenti definito dalle norme sul Jobs Act. Pochi giorni fa s’è accodato anche l’Acm, il consorzio che raggruppa le aziende dell’indotto che riforniscono a getto continuo la Sata, che promette 300 assunzioni per marciare allo stesso ritmo del cliente, adottando quei 20 turni settimanali ritenuti insostenibili dalla Fiom-Cgil di Landini, sceso l’11 marzo ad arringare i suoi al centro sociale di Rionero, a sud di Melfi, in direzione del capoluogo Potenza, e a distribuire volantini davanti alla fabbrica.

LA FIOM PARLA DI SVOLTA
Obiettivo del sindacato rosso? «Lasciarsi alle spalle lo scontro giudiziario con l’azienda, riprendere il dialogo e premere per far aumentare ancora il numero dei dipendenti, alzare i salari e ridurre gli orari», spiega Michele De Palma, responsabile auto della Fiom, che definisce l’attuale come un momento di «svolta potenziale». Il pomo della discordia è il il sistema di turni in vigore nell’impianto. Lo stesso di Pomigliano, dove si produce la Panda.

Dieci minuti di pausa ogni due ore e la mensa a fine turno, con particolari disagi per il reparto del montaggio, il più affollato. A ogni stop, il dipendente può in pratica scegliere se andare al bagno, fumarsi una sigaretta o mangiare un panino.

La grossa differenza è che a Pomigliano i 4.800 addetti oggi lavorano su due turni per cinque giorni, e quindi non si pone il delicato tema della domenica. Che invece a Melfi, con i 20 turni a settimana, è “salva” di sicuro solo tra le 6 e le 14; prima e dopo, le linee girano. Per i sindacati che hanno firmato l’accordo, la turnazione porta a lavorare una domenica ogni otto, con 1.400 euro lorde che finiscono nelle tasche degli operai a fine anno. La Fiom evidenzia invece che, in pratica, gli operai sono sempre impegnati il sabato o la domenica. «la situazione è invivibile e la Fiom si batte per cambiarla, firmare l’accordo sarebbe la nostra fine», tuona uno storico iscritto come Aldo Laspagnoletta, da 21 anni in Sata, operaio al montaggio.
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Di certo, se grazie ai nuovi turni Melfi è diventata la più affollata fabbrica d’auto d’italia, altrove la strada del rilancio resta lunga. Cassino ha 4.100 dipendenti, Sergio Marchionne dice che sarà la culla delle nuove Alfa, ma per ora c’è la cassa integrazione per ristrutturazione. Per far brillare le future auto del biscione, il gruppo ha promesso 5 miliardi di investimenti. E spedito a Cassino il direttore di Melfi, Sebastiano Garofalo, specialista in ripartenze, visto che ha lavorato già alla riconversione di Pomigliano. Meno visibile la rinfrescata nella storica Mirafiori, ancora spopolata dalla cassa. Si produrrà la Levante, la suv Maserati, ma per ora l’Alfa Mito garantisce una settimana di lavoro a testa al mese.

La svolta di Melfi dipende dalle vendite delle auto che produce, specie la Renegade, prima Jeep costruita fuori America. Buona parte del merito va pure alle condizioni accettate dagli operai. Quasi tutti i selezionati tra l’esercito dei 38 mila che hanno fatto richiesta per entrare avevano ben chiari i sacrifici del lavoro notturno, la “rottura” dei weekend in fabbrica, i viaggi infiniti per arrivare dai paesini più lontani, la ripetitività alienante della catena di montaggio. Ma il posto fisso - con ferie e contributi pagati, nel Meridione con la disoccupazione giovanile sopra il 50 per cento - fa veramente gola.

L’azienda dice che tra i nuovi hanno alzato bandiera bianca in nove, dopo pochi giorni di lavoro. Tra le maestranze e sindacalisti girano altre cifre: 30, 40, qualcuno butta lì 80. Si tratterebbe soprattutto di laureati delusi dall’essere finiti in produzione. Di certo i “caduti” vengono sostituiti senza problemi, e anche tra gli ingegneri in tanti si fregano le mani. Come Salvatore Catalani, 28 anni, ingegnere meccanico con 110 e lode all’università di Potenza. Assunto come operaio, sta facendo il corso da team leader e lo diventerà il 23 marzo, quando partirà per tutti la produzione a 20 turni, governando una squadra di 6-8 addetti alle plance. In famiglia non mancano i professori ma tutti sono felici: «Mio nonno mi telefona tutti i giorni e si raccomanda: “Pigliatela ’sta opportunità!”. E la mia fidanzata Lucia, appena ha saputo che mi prendevano, ha detto “Bene, mo’ ci sposiamo”». Per 700 dei giovani ingaggiati, il destino è la classica catena di montaggio, gli altri avranno incarichi più qualificati, tipo addetti alla qualità o, appunto, team leader.
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I MUGUGNI DEI VECCHI
«Il fatto che ci siano giovani destinati a posizioni di responsabilità - conduttore, manutentore - fa mugugnare molti “vecchi”, ma io spiego che è una scelta giusta per migliorare la qualità del prodotto. Tutti i capi unità con cui ho parlato mi dicono che i giovani hanno un bell’approccio con gli apparati informatici, sono dei “nativi digitali”», dice Donato Rosa, leader della Uilm locale e delegato più votato alle ultime elezioni in fabbrica.

Nella sede del sindacato, in piazza del Duomo, incontriamo Giuseppina, 48 anni, e tre ragazzi inseriti nell’ultima settimana, diplomati e soddisfatti. Giuseppina è in Sata dal 1993, lavora allo Stampaggio: «Ancora pochi mesi fa, circolava la voce che sarebbero stati lasciati a casa in mille. Invece in un attimo è cambiato tutto, abbiamo lavorato in un semi-cantiere mentre venivano allestite le nuove linee e da gennaio è scattata l’ondata dei ragazzi: siamo felici per loro ma pure per noi, perché abbiamo capito che lo stabilimento ha futuro», dice. Senza nascondere i problemi per le new entry: «Stamattina un neoassunto che sta a Lioni, in provincia di Avellino, a ogni fermata della pressa quasi si addormentava. Siamo corsi a procurargli un caffè. Poverino, si era alzato alle tre e un quarto per iniziare il turno alle sei. E c’è chi si sveglia alle due e mezza».

Quella che sta cominciando è la terza vita dell’impianto di San Nicola di Melfi, la piana dove nel 1993 è sorto il distretto dominato dalla Fiat e dai suoi fornitori, gli “indotti”, come li chiamano qui: si produceva la prima Punto. Poi, nel 2005, è toccato alla Grande Punto. La rapida salita produttiva attuale ha scatenato una corsa alle assunzioni che nessuno s’aspettava così repentina. «Quando lo stabilimento nacque, i primi come me furono spediti a Torino per due anni a imparare prima che cominciasse la produzione, adesso i nuovi hanno iniziato a lavorare subito, a pochi giorni dalla chiamata», ricorda Marco Roselli, capo lucano della Fismic, il sindacato ritenuto più vicino all’azienda e prima forza in fabbrica nel voto di febbraio.
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MOBILITAZIONE FAMILIARE
A Melfi (17.800 abitanti, terza città della Basilicata) è impossibile entrare in un bar e non sentir parlare di chi è stato assunto e chi no, di chi gioisce per essere finito alla logistica e non al montaggio, di chi si sente più sicuro perché va alla Sata o chi crede che nell’indotto il posto sarà meno sicuro ma si guadagnerà qualche euro in più.

Al caffè “La dolce vita”, in piazza del Duomo, entra tutta allegra Liuba Izot. Ha 29 anni e parla con forte accento lucano, però è rumena. Mentre ritira la torta che ha ordinato per festeggiare, si rivolge ad Alessandra, ragioniera di 24 anni, e le chiede: «Allora, lunedì scendi anche tu a san Nicola? Io sono alla plastic shop, nell’indotto, e tu?». Ad Alessandra, che ha il papà in Sata da una vita, scende una lacrimuccia. Lei andrà al montaggio, ma non è triste per quello. «Mi dispiace lasciare il bar, mi trovavo bene con i clienti. Però laggiù guadagnerò il doppio». Angela, la titolare, la guarda con tenerezza. Lei in fabbrica non ci vuole andare, però alla Lear (sedili), lavora la mamma.

La famiglia di Daniela Massari, dal ’97 in Sata, adesso si ritrova ogni giorno nella piana: il figlio Michele, 26 anni, ha la licenza media ed è stato preso come interinale alla Brose (assemblaggio alzacristalli) e la figlia Enrica, 28 anni, che si sta laureando in infermieristica, è approdata al montaggio. «Al corso di formazione sulla sicurezza, una ragazza ha lasciato dopo mezza giornata: si vedeva subito che aveva la puzza sotto il naso», dice Enrica.

All’ora di cena, al ristorante-pizzeria Hora Sesta, si ha la conferma plastica del “peso” della fabbrica in paese. A un tavolo c’è Gianni Mulè, l’amministratore del consorzio Acm, che chiacchiera a distanza col direttore della Lear. E mentre la Juve arranca in tivù contro la Fiorentina in coppa Italia, il manager saluta con un cenno della mano un ragazzone che sta uscendo con gli amici: «è uno dei miei interinali», spiega. L’impatto della ripartenza Sata va ben oltre i confini regionali: il 30 per cento dei nuovi non è lucano.

DA FOGGIA  A PALERMO
Come i due intimiditi ragazzi che ci aprono la porta del bed and breakfast “Il fiore della vita”. Hanno 22 e 24 anni, uno perito meccanico, l’altro ragioniere. Vengono dalla provincia di Napoli, 130 chilometri. Il più giovane lavorava in officina, in nero, l’altro faceva il cameriere, idem: «Spendiamo 20 euro al giorno e cerchiamo casa. I genitori che hanno detto? Che siamo fortunati! E i nostri amici ci invidiano: vogliono sapere come farsi assumere. Se ci confermano, per noi sarà come aver trovato posto in banca».

Da Palermo arriva Vincenzo Nasello, 26 anni, doppio diploma (tecnico-professionale e alberghiero), assunto in verniciatura. Sta spostando i bagagli da un altro b&b, “le stanze dell’imperatore”, nel monolocale appena affittato in centro. Con regolare contratto, precisa, di 250 euro al mese. Perché lavorare a 685 chilometri da casa? «In Sicilia non si trova nulla, di sicuro non con una paga e con contributi così. Da quando mi sono diplomato, nel 2007, ho fatto solo lavoretti, nell’ultimo anno il lavapiatti, tutto in nero. Perciò mi ritengo molto fortunato. Ovvio che è impegnativo, ma anche fare lo sguattero lo era, e qui ci hanno detto che chi s’impegna viene premiato». Stipendio? Come tanti, ancora non lo conosce: «credo tra 1.400 e 1.500 euro, ma non ho chiesto: meglio iniziare a sgobbare, i soldi verranno e forse la fidanzata mi raggiungerà».

Col 25 per cento di quota, la Puglia è la regione che offre la maggior parte di extralucani. D’altronde Candela, un passo oltre-confine, è solo a 26 chilometri. Carlo Russo, perito industriale di 25 anni, prima non aveva mai avuto «un lavoro di un certo livello». Ed è stata dura pesare sulla famiglia. Il treno Fiat l’ha preso al volo e spera di essere riconfermato. È uno dei tanti che viene da Foggia in pullman, 40 minuti di viaggio. «Sono al montaggio e non mi aspettavo un ambiente di lavoro così pulito, gente cordiale, ordine».

Andrea Petruzzi, perito elettronico, 26 anni, un impiego vero ce l’ha avuto, all’Alenia Aermacchi di Foggia. «Per poco, però. Hanno tagliato il personale e io, che ero l’ultimo arrivato, sono stato il primo a essere messo fuori». È di Troia, Andrea, e viene in auto con un collega, per risparmiare: «Sono senza papà e alla famiglia ho dovuto provvedere io, accettando i lavori più disparati, quasi tutti non in regola».

I racconti di chi arriva da lontano commuovono e fanno capire quanta sia la fame di lavoro tra i giovani. Il sindaco di Melfi, Livio Valvano (Psi), s’è inventato una serie di iniziative per attirare chi abita distante. «Solo il 9 per cento degli addetti Sata, prima dei nuovi ingressi, aveva la residenza a Melfi. Troppo poco! Ecco perché sto cercando di spingere chi ha un impiego ad abitare qui», spiega Valvano, finito agli arresti domiciliari per una vicenda di appalti pubblici precedenti alla nomina ma rapidamente liberato dal tribunale del Riesame. Il primo cittadino punta su un bonus di 150 euro al mese (che sale a 250 per coloro che scelgono lo spopolato centro storico), spendibile per pagare la retta dell’asilo, le mense scolastiche, i trasporti urbani, Imu, Tari e Tasi. La distanza tra casa e bottega è un problema, anche per la sicurezza: molte strade sono messe male e peggiorano ulteriormente d’inverno.


PAROLA DI VESCOVO
Il campanilismo “occupazionale” di una Regione piccola e povera si scontra tuttavia con il sogno del posto fisso, che richiama folle di giovani anche da molto distante, e le radicate abitudini a vivere comunque nel paese natìo, anche al prezzo di passare ore in pullman o in macchina. Peraltro, nei mille comuni di questa pezzo d’Italia la vita costa meno rispetto a Melfi, che pure non è Milano né Roma.

A Ruvo del Monte, 50 chilometri a sud-ovest, ben 70 dei 1.100 abitanti (per il 70 per cento pensionati), lavorano in Sata o nell’indotto. Tra di loro, venti sono interinali dell’ultima raffica. «È il Comune della zona con la più alta percentuale di residenti impegnati nella piana di San Nicola», sottolinea il sindaco, Donato Romano, che ci apre l’ufficio in cui ancora campeggia la foto di Giorgio Napolitano. «Stiamo aspettando l’immagine di Sergio Mattarella», sorride dietro un paio di baffoni neri Romano, che ha vinto le elezioni per 17 voti. «Per la nostra comunità quello che sta succedendo a Melfi è un’ottima occasione, peccato però che Fiat abbia scelto di ingaggiare solo diplomati, tagliando fuori parecchi giovani, che possono solo sperare di trovare posto nell’indotto».

Tra quelli che ce l’hanno fatta c’è Marisa Pizzorusso, ragioniera di 29 anni che fino a una settimana fa aiutava il padre nell’agenzia di assicurazioni. Adesso monta paraurti e si sveglia alle 3.45 quando fa il primo turno (che inizia alle 6) perché per “scendere” a Melfi deve cambiare due autobus. «È un po’ pesante, ma è un’occasione che fa gola a tutti, lo stipendio sicuro ci permette di costruire un futuro indipendente». Al suo fianco Francesco Suozzi, 48 anni, un veterano Sata. Lavora al montaggio della Punto e dice che il paese sta beneficiando anche indirettamente delle assunzioni. «Una coppia di Chiaromonte, a 200 chilometri dalla fabbrica, ha trovato lavoro in Sata e ora si sta per trasferire da noi, dove le case costano la metà di Melfi; per un appartamento bastano 10 mila euro». ?

Piove di brutto, fa freddo, torniamo in città. Metà dell’elegante palazzo vescovile che risale all’epoca normanna è al buio per un guasto alla corrente. Il vescovo, Gianfranco Todisco, 68 anni, napoletano, si accomoda vicino alla finestra: «Cosa penso del lavoro domenicale? Mi pare che una settimana ogni otto sia sopportabile, e chi vuol venire alla funzione il modo lo trova, anche perché le linee sono ferme la domenica dalle sei alle quattordici. Certo, la vita in fabbrica è dura, dieci minuti di pausa sono pochi, speriamo che qualcosa si possa correggere. Però qui in giro c’è tanta povertà, la tocchiamo con mano ogni giorno, e l’aumento della produzione e soprattutto le nuove assunzioni di tanti giovani sono una vera boccata d’ossigeno». Una Jeep val bene una messa.

ha collaborato Antonio Calitri