A quasi un anno dalla morte del ricercatore friulano, ucciso mentre si trovava in Egitto, c'è un passo in avanti. Ma ancora non decisivo: serviranno altre rogatorie
Mohamed Abdallah, il capo di quel sindacato degli ambulanti al centro della ricerca di
Giulio Regeni al Cairo, riferiva ogni spostamento del giovane alla Sicurezza Nazionale, il Servizio segreto interno egiziano. L’ha fatto fino al 22 gennaio, tre giorni prima della sera in cui Regeni è uscito dal suo appartamento sulla riva destra del Nilo, nel quartiere di Dokki, distretto di Giza, ed è stato sequestrato, torturato per giorni, infine ucciso.
Abdallah spiava Regeni da tempo, da quando l’ha conosciuto, ben prima quindi di quell’11 dicembre in cui all’assemblea dei sindacati indipendenti Giulio si è accorto di essere fotografato. E ha continuato a farlo, contattando vari poliziotti, consegnando loro persino un video, girato di nascosto, del suo incontro con il ricercatore. Dai tabulati di Abdallah emergono contatti continui con la sede centrale della Sicurezza Nazionale a Nasr City. E
sono proprio i poliziotti al centro degli interessi investigativi. Finalmente sono stati identificati quelli a cui Abdallah forniva informazioni, quelli che hanno effettuato accertamenti sul giovane dopo l’esposto del sindacalista, ma durato "solo tre giorni" a inizio gennaio e conclusi con un nulla di fatto, tengono a precisare i magistrati cairoti. E poi quelli coinvolti nell’uccisione di cinque persone. Era marzo e, subito dopo la sparatoria, a casa di un parente del capo della banda altri poliziotti hanno trovato proprio il passaporto, due tesserini universitari ed il bancomat di Giulio.
Sono questi gli elementi che
emergono dall’incontro tra la procura generale egiziana e quella di Roma per accertare la verità e trovare i responsabili della tragica uccisione di Regeni. A oltre 10 mesi da quando il corpo oltraggiato di Giulio è stato trovato riverso lungo la strada che dal Cairo porta ad Alessandria un altro passo avanti, ma ancora non decisivo.
Negli uffici della scuola di polizia in via Guido Reni il Procuratore generale della Repubblica Araba d'Egitto Ahmed Nabil SadeK ha consegnato le dichiarazioni di Abdallah,
ma nulla sui verbali dei poliziotti. Soltanto i loro nomi. Sarà necessaria una nuova rogatoria, altri tempi, altri vertici. Al quinto incontro tra i magistrati dei due Paesi, il terzo a Roma,
le indagini procedono nella giusta direzione, ma a rilento.
Dopo i falliti vertici a maggio e prima ancora ad aprile, quando come prima iniziativa il governo ha disposto il richiamo per consultazioni dell'ambasciatore al Cairo Maurizio Massari, durante la riunione di settembre i magistrati cairoti ammisero, per la prima volta, che Regeni era stato indagato dalla polizia qualche settimana prima di essere ucciso, a seguito della denuncia arrivata da Abdallah.
La ricerca, i rapporti di Giulio con il sindacato, il tradimento, sono gli elementi su cui da sempre si sono concentrati i nostri investigatori.
Mancano ancora i video di sorveglianza delle metropolitane utilizzate da Regeni il giorno della sua scomparsa, sono ancora in fase di analisi tecnica. Il ruolo della polizia nell’omicidio trova conferma. Abdallah non riferiva a uno, ma a più poliziotti, presumibilmente non semplici agenti dato il contesto generale di paranoia in cui è immerso l’Egitto di Abdel Fattah
al Sisi. Un regime che ha limitato la libertà delle persone, reprime con violenza il dissenso, usa la tortura, le sparizioni forzate.
La procura di Roma, il sostituto Sergio Colaiocco, che a novembre è voltato al Cairo per recuperare i documenti di Giulio e consegnarli alla famiglia, continuano con determinazione e pazienza a tenere il fiato sul collo ai magistrati egiziani. Chiedono verità. La chiedono con tenacia e dignità Paola e Claudio, i genitori di Giulio. Il procuratore Sadek ha voluto incontrarli poco prima del vertice. Cinquanta minuti di incontro in cui ha ribadito il suo impegno a trovare i responsabili e ha espresso le condoglianze a nome delle istituzioni e del popolo egiziano. Dopo la catena di bugie, i continui depistaggi, anche se la direzione sembra essere quella giusta, il suo sforzo e lo sforzo del governo egiziano non paiono però concreti e risolutivi.