Sono jihadisti esperti. Hanno già combattuto in Bosnia e Cecenia. Prima di andare in Siria hanno vissuto nel nostro paese. Molti di loro hanno raggiunto posizioni di comando nelle truppe del Califfato
Vengono dall’Italia e sono jihadisti molto esperti. Sono seriamente sospettati di essere diventati nel “califfato” leader di milizie sanguinarie, capaci di trasformare giovanissimi fanatici in micidiali macchine da guerra.
Sono quasi tutti tunisini, la nazione che ha il maggior numero di foreign fighters (oltre tremila solo in Siria). A vent’anni erano partiti dall’Italia per le prime Jihad: hanno combattuto in Bosnia, Afghanistan, qualcuno anche in Algeria e Cecenia. Tornati in Italia, dopo l’11 settembre 2001 sono stati arrestati e condannati in una serie di processi tra Milano e Bologna. Dopo diversi anni di carcere duro, tra il 2007 e il 2011 sono stati espulsi dall’Italia, dove avevano creato solide reti di fiancheggiatori e reclutatori.
In Tunisia hanno approfittato della primavera araba per rifondare due diverse filiere jihadiste, che hanno inviato decine di giovani combattenti in Siria, prima con il fronte jihadista al Nusra, poi con il califfato. Almeno tre sono morti in battaglia. Gli altri, almeno una mezza dozzina, sono diventati capi: hanno più di quarant’anni, hanno il carisma dei reduci delle guerre fondative dell’ideologia jihadista e hanno usato le loro esperienze e capacità belliche per diventare capi-brigata, istruttori e addestratori della nuova generazione di giovani combattenti.
«I tunisini che avevamo arrestato in Italia», riassume un dirigente dell’anti terrorismo della polizia di Stato, «sono tutti morti in guerra o diventati capi militari dello Stato islamico in Siria e ora anche in Libia». I loro nomi campeggiano nella lista nera dei 93 «foreign fighters» finora collegati all’Italia.
Tra una guerra e l’altra alcuni di questi leader italo-tunisini hanno avuto figli (almeno sei), cresciuti tra bombe e jihad, che oggi hanno vent’anni o più. E sono pronti a seguire le orme dei padri. Almeno uno di questi «figli di jihadisti» è già partito per la Siria, dove è rimasto ferito in combattimento.
E poi c’è la piccola colonia di bambini italiani nell’autoproclamato Stato islamico. “L’Espresso” ne ha contati sette. Sono tutti molto piccoli e vivono da mesi con almeno un genitore jihadista, partito dal nostro Paese per raggiungere il Califfato nero. La loro età va da uno a sette anni. Le loro drammatiche storie sono documentate da diverse indagini di polizia e carabinieri dell’antiterrorismo.
Ai loro sette nomi si aggiungono altri casi, non meno di sei, di bimbi nati in zone di guerra da un papà combattente straniero che era sparito dall’Italia, giurando vendetta, dopo essere stato inquisito e incarcerato dalle nostre autorità. E ora in mezzo a questi tagliagole stanno crescendo anche bambini italiani.
Il caso più recente ha per protagonista Alice Brignoli, 39 anni, la mamma italiana sospettata di essere partita per il Califfato siriano-iracheno con i suoi tre figlioletti, tutti molto piccoli, insieme al marito Mohamed Koraichi, 31 anni, cresciuto a Lecco con i genitori, due onesti immigrati di origine marocchina.
La scomparsa dell’intera famiglia (rivelata per la prima volta da “Repubblica” nel novembre scorso) era stata denunciata dalla madre di lei, Fabienne Schirru, che vive e lavora in Brianza. Ora le indagini dei carabinieri del Ros confermano che Alice, il marito e i loro tre figli maschi sono partiti un anno fa dalla Lombardia con la loro macchina, si sono imbarcati su un traghetto dal Sud Italia e negli ultimi giorni di febbraio del 2015 hanno effettivamente raggiunto la frontiera tra Turchia e Siria, in una zona controllata dal cosiddetto Stato islamico. I loro bambini sono cittadini italiani a tutti gli effetti, ma da allora vivono lì, tra guerre e stragi: Seed ha appena due anni, Hossama ne ha cinque, Ismaeil sei e mezzo.
Le foto della coppia, recuperate da “l’Espresso”, confermano visivamente la loro radicalizzazione religiosa: lei indossa il velo, lui ha la lunga barba tipica degli integralisti. Alice è nata da genitori italiani ed è rimasta cattolica fino ai trent’anni. Lui, fino a dieci anni fa, non seguiva alcuna religione, era un ragazzo sbarbato che amava i vestiti italiani e le discoteche. La loro conversione è stata improvvisa. E il salto finale nell’ideologia del Califfato è maturato in pochi mesi, non nelle moschee di Lecco, ma su Internet.
Alice e Mohamed si conoscono una decina di anni fa in una ditta lecchese dove lei è segretaria e lui fa l’operaio saldatore. Si sposano il 31 maggio 2008, in municipio, tra i genitori e pochi intimi. Vanno ad abitare a casa di lei, nel centro del paese di Bulciago. Si convertono insieme all’Islam. Lei ha già 30 anni, è una donna determinata, non sottomessa.
Il caso di Alice e dei suoi tre bambini non è isolato. Da Barzago, sempre nel Lecchese, nel dicembre 2014 è sparita una donna di origine albanese, Valbona Berisha, con un figlio che oggi ha sette anni. Le indagini l’hanno localizzata nel Califfato: vive con un combattente. Suo marito Afrim, che fa l’ambulante, è andato invano a cercare lei e il bimbo in Siria. In Italia ora deve mantenere le due figlie che gli sono rimaste: lei ha portato in guerra solo il maschio.
Dalla provincia di Belluno, due anni fa, è partito per il Califfato un imbianchino bosniaco di 33 anni, Ismar Mesinovic, portando con sé il figlio di tre anni. L’uomo è morto in guerra, ad Aleppo, nel gennaio 2015. Da allora il bimbo vivrebbe in Siria con altri bosniaci. La mamma, che è nata a Cuba ma vive in Italia, lo ha riconosciuto in una foto della propaganda jihadista: un piccino biondo in divisa che imbraccia un mini-mitra.
Altri casi sono documentati dall’inchiesta su Maria Giulia Sergio, l’italiana partita per la Siria nel settembre 2014 con il marito guerriero Aldo Kobuzi e una cordata di albanesi che vivevano in Maremma. Nel febbraio 2014, aveva già raggiunto il Califfato la sorella di lui, Serjola Kobuzi, con il figlio di un anno. Quando è partita aveva vent’anni ed era di nuovo incinta. E le jihadiste italiane hanno potuto festeggiare la nascita in Siria del suo secondo “jihadi junior”.