La proposta dell'esecutivo comunitario per recuperare i 50-70 miliardi di elusione annui. Le imprese pagheranno le tasse nei paesi in cui realizzano i profitti. Oxfam: "Manca un’efficace rendicontazione pubblica paese per paese”
Una bella mano di trasparenza sulle tasse delle multinazionali che operano in Europa, questa la versione della Commissione Ue. Un'occasione persa per imporre finalmente una tassazione equa alle grandi imprese, l'opinione di Oxfam e Transparency International.
La proposta dell'esecutivo comunitario sulla trasparenza fiscale presentato oggi a Strasburgo ha il nobile intento di recuperare una fetta dei 50-70 miliardi di elusione che annualmente si perdono nei 28 Stati membri grazie al fatto che le imprese non pagano le tasse nei paesi in cui realizzano i profitti. “La nostra priorità è agire contro l'elusione fiscale – ha affermato il commissario al mercato finanziario, il britannico Jonathan Hill – Abbiamo compiuto molti progressi, ridotto gli aiuti di stato, cambiato la legislazione sul tax rouling, potenziato la comunicazioni tra amministrazioni fiscali”. E adesso arriva la proposta sulla trasparenza, non anticipata “ma rafforzata” dai Panama Papers. “Chiediamo”, ha insistito Hill, “la condivisione e pubblicazione delle informazioni, ci sarà maggiore trasparenza”, coerentemente con le iniziative portate avanti nel quadro OCSE e del G20.
In concreto le multinazionali da oltre 750 milioni di fatturato annuo saranno obbligate a pubblicare, in ogni Stato in cui hanno una filiale, l'elenco dei profitti al netto delle tasse, l'ammontare delle tasse richieste e di quelle pagate, la natura delle attività, il numero di dipendenti ed i guadagni accumulati in altro modo. Le stesse imprese, ha sottolineato Hill, saranno chiamate a informare “dell'ammontare delle loro imposte anche se le pagano in paesi extra Ue in cui non ci sono buone norme di governance in materia fiscale”. Per andare sulla cronaca: “Se alcune multinazionali pagano imposte a Panama dovranno rendere pubbliche queste informazioni”. I dati saranno resi disponibili per 5 anni.
Quanto al campo di applicazione della direttiva, Bruxelles assicura che coprirà più o meno 6.000 società, tra europee e filiali europee di imprese estere, pari al 90 per cento del giro d'affari delle multinazionali nella Ue. Secondo stime della stessa Commissione, le società che operano in più paesi comunitari pagano in media un 30 pre cento di tasse in meno rispetto a chi opera in un solo Stato membro.
Su questi numeri, in particolare quello del campo di applicazione, piovono le critiche delle Ong esperte nel settore della trasparenza. “La Commissione Europea ha finalmente riconosciuto la trasparenza fiscale come elemento cardine per contrastare l’elusione fiscale – afferma la direttrice delle campagne di Oxfam Italia, Elisa Bacciotti – tuttavia, la proposta che è stata presentata non introduce un’efficace rendicontazione pubblica paese per paese”.
La soglia di 750 milioni di fatturato, spiegano da Oxfam, escluderebbe, dati OCSE alla mano, “l'85-90 per cento delle multinazionali dall'obbligo di reporting”. Esattamente il contrario di quanto sostenuto da Hill. Tanto per farsi un'idea la Direttiva Contabile europea si applica sempre alle grandi imprese, ma intendendo per tali quelle da oltre 40 milioni di euro di fatturato. Altri limiti, insiste Oxfam, sono legati al fatto che “le informazioni richieste non sono esaustive”. Rimangono fuori “elementi chiave come la lista delle sussidiarie, le vendite, gli asset e i sussidi pubblici ricevuti dalle compagnie”.
Quindi il nodo della trasparenza per chi opera fuori dai confini comunitari. L'obbligo di rendicontazione vale solo per i paesi Ue e per chi opera in un paradiso fiscale, il che solleva due tipi di problemi. Il primo è che non esiste ancora una lista Ue dei paradisi fiscali e per quanto i Panama Papers abbiano messo un po' di pressione, sarà alquanto difficile trovare una sintesi tra i 28, considerando anche che qualche paese, Regno Unito in primis, ha tra i suoi territori una sfilza di isole che meriterebbero di entrare nell'elenco. E, secondo problema, la rendicontazione non è richiesta per chi opera in altri paesi extraeuropei, in questo caso basterà la presentazione di un unico dato aggregato.
“Non si può chiamare pubblicazione paese per paese”, le critiche di Transparency International, “se non si applica alla maggior parte del pianeta”. "La Commissione ha sprecato un'occasione d'oro per rendere le aziende più responsabili", continua la Ong “e l'aggiunta all'ultimo minuto dei paradisi fiscali sa di vetrina: le aziende saranno ancora in grado di chiudere favorevoli accordi con i governi in altre parti del mondo, senza controllo pubblico”.
La proposta della Commissione passerà ora al vaglio di Consiglio e Parlamento Ue. Tra i 28, ricadendo la direttiva nel settore della trasparenza dei bilanci e non della fiscalità, si deciderà a maggioranza qualificata e non all'unanimità, il che potrebbe velocizzare i tempi, sempre che tra i governi ci sia la volontà politica di agire. Rimane invece ancora da capire cosa succederà per la lista dei paradisi fiscali. Non è infatti ancora chiaro se verrà decisa con un atto delegato, quindi a maggioranza, o se ci vorrà l'unanimità. Quanto al Parlamento, i verdi hanno già promesso battaglia per migliorare il testo. Il Pes, il Partito Socialista Europeo, benedice invece il testo: "L'evasione fiscale non è sempre illegale, ma è sempre immorale”, ha affermato in una nota il Presidente Sergei Stanishev. “Promuovere il country by country reporting è un passo in avanti essenziale verso il raggiungimento della trasparenza fiscale e per garantire che le tasse vengono pagate nel paese in cui il profitto è generato”.