Il politogo risponde alle riflessioni contenute nell'Amaca e suscitate dalla sua intervista all'Espresso dopo la consultazione referendaria del 17 aprile
Michele Serra nella sua Amaca prende spunto da una mia intervista, rilasciata a Luca Sappino per l’Espresso, per lamentare una cattiva tendenza a politicizzare in maniera strumentale il referendum, saltando ogni riferimento al merito dei quesiti. Scrive Serra: «Il professore Michele Prospero contrappone gli undici milioni di voti ottenuti dal Pd alle Europee ai quindici milioni di “sì” al referendum sulle trivelle. Mettendo in guardia Renzi, perché quindici milioni sono molto più di undici».
«Non vorrei scombiccherare i calcoli di Prospero e dei molti che in queste ore sommano le pere e le mele facendo sobbalzare le maestre elementari, ma i conti non tornano», continua Serra, «conosco parecchia gente che aveva preso molto sul serio l’accanito richiamo dei referendari a votare nel merito, senza dar retta a quelli (Renzi compreso) che volevano trasformare il voto in una conta pro e contro il governo». Sono d’accordo con lui. E anzi nell’intervista rimarcavo proprio che bisognerebbe depotenziarne la carica plebiscitaria, in un senso e nell’altro, dei referendum, recuperando la complessità delle scelte.
È per questo infatti che, in vista del referendum costituzionale di ottobre, proponevo sempre nella stessa intervista uno spacchettamento della domanda unica su cui invece saremo probabilmente chiamati a esprimerci, e che facilita proprio lo schematismo plebiscitario.
Il quesito sull’intera riforma Boschi, ho detto, dovrebbe esser diluito in una molteplicità di quesiti puntuali sui singoli temi, che sono molti e diversi tra loro, dalla riforma dello stesso istituto referendario al meccanismo di elezione del presidente della Repubblica, dall’abolizione del Cnel al titolo V. Potrebbe essere una soluzione giusta per rendere ragionevole la scelta degli elettori ed evitare sì e no poco ponderati, come quelli sollecitati in questo caso proprio dal premier, che ha annunciato che a ottobre si gioca la propria carriera politica.
Serra mi rimprovera inoltre di aver contrapposto gli elettori del Pd a quelli che sono andati a votare sulle trivelle, sommando, così scrive, «mele e pere». Questo però non è vero. Il senso del mio ragionamento è di non sottovalutare il dato quantitativo (solo questo) della partecipazione. Mentre i sì o no sono quantificabili, gli astenuti non sono oggetto di appropriazione lecita da parte di chi si vanta di aver vinto 70 a 30. Il popolo è sempre un dato che non va schernito con un «ciaone».