Agghindate e truccate come adulte. Con orari di lavoro massacranti. È la vita dei minori in passerella e sui set fotografici e televisivi. Ma un nuovo disegno di legge chiede più controlli e paletti più rigidi
Orari di lavoro ridotti, presenza obbligatoria di un medico e di uno psicologo, divieto assoluto di trucco per i bambini al di sotto dei sei anni. Sono solo alcune delle nuove regole contenute nel disegno di legge, a prima firma della senatrice di Alternativa popolare
Fabiola Anitori, sulla tutela di bambini e adolescenti impiegati nello spettacolo, in attività culturali, artistiche, sportive o pubblicitarie. Il ddl, nato sulla scia di un'interrogazione parlamentare dello scorso agosto, è stato illustrato dalla prima firmataria alla sala Nassyriya del Senato, in occasione della Giornata Mondiale dei diritti delle bambine e delle ragazze. Insieme alla senatrice Anitori anche
Flavia Piccinni,
autrice del libro inchiesta sul mondo delle baby modelle Bellissime (Fandango) che ha in parte ispirato il ddl, la scrittrice
Dacia Maraini, l'editor di Fandango Tiziana Triana e la presidente di Telefono Rosa Maria Gabriella Carnieri Moscatelli.
Ambiziose le modifiche legislative contenute nel testo, che se fosse approvato cambierebbe molti meccanismi del mondo dello spettacolo e soprattutto rivoluzionerebbe il settore della moda per bambini, che solo in Italia vale 2,7 miliardi di euro. Tuttavia è la stessa senatrice ad ammettere che
difficilmente, dato il periodo ormai prossimo alla fine della legislatura, la proposta approderà in aula. «Questo disegno di legge è un punto di partenza importante, che testimonia come finalmente ci sia una sensibilizzazione dell'opinione pubblica su questo tema» spiega Anitori. «Anche se quasi sicuramente la norma non vedrà la luce in questa legislatura, forse accadrà nella prossima. E se non dovessi essere rieletta sono certa che qualcuno raccoglierà il testimone per portare a casa un risultato fondamentale. L'essenziale è che qualcuno si sia finalmente accorto che questo problema esiste e che è urgente rimediare con una legge più adatta ai tempi di oggi».
Il testo riorganizza e aggiorna parte della normativa sul lavoro minorile oggi in vigore, che risale al lontano 1967, e la integra con la circolare del 1989 che si occupa specificamente dei bambini coinvolti in sfilate di moda e spot pubblicitari.
Nuovi paletti e divieti più rigidi, con orari massimi di lavoro quasi dimezzati e l'obbligo, tra le altre cose, di garantire un luogo di lavoro idoneo certificato da un pediatra o un neonatologo. Un adeguamento della legge ormai resosi obbligatorio, anche a causa dei mutamenti nei mezzi di comunicazione di massa. Perché i minori impiegati nel mondo della moda e dello spettacolo, oltre ad essere sottoposti a orari massacranti e a dinamiche che potrebbero minarne il corretto sviluppo psicologico, sono sempre più esposti anche a pericoli come la pedopornografia. «Non abbiamo nessuna possibilità di controllo sul cosiddetto
dark web – spiega ancora Anitori – e sappiamo che le reti di pedofili si nutrono in gran parte proprio delle immagini spesso ammiccanti delle baby miss».
Come si legge nella relazione illustrativa del ddl, le bambine, che rappresentano la maggioranza dei minori impiegati nella moda, sono sottoposte a un processo di
«adultizzazione precoce, vengono truccate e presentate con atteggiamenti, comportamenti, abiti e calzature non in linea con la loro età». Una tendenza che, tra l'altro, contribuisce a sviluppare e rafforzare una visione arcaica e stereotipata del ruolo della donna: «Molte volte – recita il testo della proposta – soprattutto le bambine entrano precocemente in contatto con modelli di genere promossi dalla televisione, dallo spettacolo ludico, dalle pubblicità e dagli atteggiamenti osservati nella società; nondimeno, anche le strategie di marketing rivolte ai bambini e ai genitori tendono a produrre nonché rinforzare stereotipi di genere».
«Ancora oggi – dice
Dacia Maraini – è in atto una guerra. Non tra i sessi, ma tra chi sostiene l'emancipazione delle donne e chi invece si oppone alla modernità ed è chiaro che il mercato tende a riaffermare modelli e comportamenti arcaici che per molte persone sono ancora validi.
La moda, la pubblicità, la televisione: sono tutti piccoli ambiti che però creano un immaginario potentissimo». Una visione stereotipata dei sessi alla quale contribuiscono anche molte donne. Perché spesso a premere per inserire i bambini nel mondo delle sfilate e dello spettacolo sono proprio le madri: «Sono manifestazioni di ambizione e narcisismo da parte di persone frustrate – spiega l'autrice di Marianna Ucrìa – ma tutto questo dipende sempre dai modelli. Perché una madre, magari una casalinga, dovrebbe sentirsi insoddisfatta? Perché non riesce a entrare nello spettro della visibilità televisiva e quindi tenta di realizzarsi attraverso l'esposizione e la mercificazione dei propri figli.
Per il mondo dell'immagine chi non appare non esiste. E chi non ha gli strumenti culturali e intellettuali per opporsi a questa cultura finisce per esserne preda».