Ripassando i grandi capolavori della letteratura mondiale ci accorgiamo di leggerli ogni volta con occhi divers. E così il “Piacere” di D’Annunzio che da giovane mi ha molto divertito, ripreso in mano pochi anni fa non mi è piaciuto per niente
Mi è capitato in questi giorni di ripassare i libri che stanno nei miei scaffali. Non sono libri moderni nel senso cronologico della parola e nemmeno libri antichi. Quelli li ho, naturalmente li ho letti, ma appartengono a un’epoca che non coincide con la mia vita bensì soltanto con la mia cultura dei tempi molto andati.
I libri di cui parlo hanno viceversa accompagnato la mia lettura insieme ai miei anni fino ad arrivare ai tempi di oggi. Qualcuno ce n’è ma pochi: la tecnologia è stata molto doviziosa, basta premere un tasto d’una macchinetta non più grande di una mano e hai tutte le informazioni e i testi che desideri: li leggi, acquisisci le informazioni che volevi ma poi te ne scordi, tanto se li vuoi riconsultare spingi sempre quel tastino e tutto finisce lì.
A me è accaduto molto diversamente, come accadeva un tempo. Ottant’anni fa la lettura di un certo tipo di libri accompagnava la tua vita e formava la tua cultura non come semplice informazione ma come carattere e pensiero. Di qui la loro importanza.
M’è venuta voglia in questi giorni scorsi di fare un elenco di questo tipo di lettura e non è semplicemente un’acquisizione di informazioni ma lo sviluppo dei sentimenti e dei pensieri che la poesia stessa un’ottantina di anni fa e quella che ne è seguita fanno parte della vita. Ho fatto un elenco, e anche se sono consapevole che è incompleto, contiene comunque le opere che per me sono state fondamentali e credo per molti miei coetanei. Li nomino un po’ in disordine ma comunque fanno tutti parte dei miei sentimenti e dei miei pensieri e comincio con un autore che è tra quelli che più mi hanno influenzato: Lev Tolstoj del quale ho letto “Guerra e pace”, “Anna Karenina”, “Sonata a Kreutzer”, e “Resurrezione”. Tolstoj ne ha scritti molti di più ma questi sono quelli che mi hanno maggiormente colpito e che spesso torno a rileggere.
Le riletture di libri in epoche diverse suscitano nei nostri sentimenti e nei nostri pensieri reazioni che non sono identiche alla prima lettura: influiscono sulla tua vita ma a loro volta la tua vita ricambia come significato.
Più o meno alla stessa epoca in cui Tolstoj era uno dei miei autori preferiti un altro fu Marcel Proust. Un russo e un francese, due civiltà, due letterature molto diverse l’una dall’altra ma tutt’e due estremamente profonde. È quasi certo che quei due autori non si siano reciprocamente letti, ma per chi ha letto entrambi le affinità e le diversità emergono in modo molto marcato, sei tu lettore che scopri un comune riferimento epocale tra i libri di Tolstoj e quello di Proust. Uso il singolare per Proust perché a parte piccoli libri scritti in gioventù Marcel ne scrisse uno solo, “La Recherche” suddivisa in sette volumi, che appartengono tuttavia ad un’unica storia, con questi titoli: “Dalla parte di Swann”, “All’ombra delle fanciulle in fiore”, “I Guermantes”, “Sodoma e Gomorra”, “La prigioniera”, “La fuggitiva”, “Il tempo ritrovato”. Le date entro le quali Tolstoj scrisse i suoi libri principali cominciano con il 1869 (Guerra e pace) e terminano nel ’99 con “Resurrezione” e la sua vita prosegue ancora per qualche anno fino alla fuga da casa e alla morte. Nel caso di Proust la pubblicazione della “Recherche” comincia nel 1913 e termina nel 1927; ma l’autore era già morto nel 1922 , dopo anni di profonda malattia psicologica.
Proseguo più rapidamente negli esempi dei libri che hanno fortemente contribuito alla mia formazione. Sigmund Freud. I testi che ho letto hanno questi titoli: “L’interpretazione dei sogni”, “Psicopatologia della vita quotidiana”, “Per la storia del movimento psicoanalitico”, “Il caso dell’uomo dei lupi”, “Al di là del principio del piacere”, “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”. Il primo di questi libri è scritto nel 1900 e l’ultimo nel 1921, un periodo breve della sua lunga vita.
Un libro che mi è piaciuto molto e che è in buona parte inventato è di una illustre scrittrice francese, Marguerite Yourcenar intitolato “Memorie di Adriano” (l’imperatore romano che venne subito dopo Traiano e facente parte dei quattro imperatori della stessa tipologia politica e culturale: dopo Traiano e Adriano regnarono Antonino Pio e Marco Aurelio. Fu la più illustre famiglia dell’Impero romano e raggiunse il massimo sia della potenza sia della cultura). La Yourcenar mise anche alcuni elementi romanzeschi e ne tacque altri reali rendendo tuttavia la vita di Adriano ancora più significativa nella grande storia dell’Impero.
Fëdor Dostoevskij del quale lessi “Delitto e castigo” del 1866, “L’idiota” (1869), “I demoni” (1872), “I fratelli Karamazov” (1880). Dei “Fratelli Karamazov” c’è un capitolo intitolato “Il Grande Inquisitore”, una specie di racconto a parte, dove un accattone viene riconosciuto anche dai sacerdoti che lo incontrano come Cristo tornato sulla terra: un’interpretazione estremamente interessante e contemporaneamente molto leggera e molto profonda. Dostoevskij scrisse anche “I demoni” ma il suo ultimo libro è datato 1880.
Al centro di queste letture, come si capisce molto chiaramente, c’è Friedrich Nietzsche il cui libro centrale è “Così parlò Zarathustra” composto in quattro parti tra l’agosto del 1881 e il maggio dell’85. Nietzsche ne scrisse molti altri tra i quali quello molto più drammaticamente finale è “Ecce Homo”. Poco settimane dopo aver terminato questo testo Nietzsche diventò pazzo ma prima aveva fornito alla cultura psicologica un contributo che è al centro della cultura moderna.
E siamo a Rainer Maria Rilke. Scrisse molte poesie quando era molto giovane ma già con una grande forza poetico-culturale. Un solo grande romanzo: “I quaderni di Malte Laurids Brigge”. Rilke è notissimo come poeta ma oso dire che “I quaderni” sono la sua opera principale.
Thomas Mann. Qui entriamo in una modernità molto avanzata che va dal 1901 con “I Buddenbrook”. Poi ho letto “La morte a Venezia” del 1912, “La montagna incantata” (1924) e infine il “Doktor Faustus” del 1947. Thomas Mann nella sua lunga vita non fu solo narratore ma anche impegnato in temi teorico culturali.
Victor Hugo. Fu soprattutto un poeta ma a me è piaciuto poco in questa attività mentre l’ho ritenuto formidabile come romanziere. Ne cito tre romanzi: “L’ultimo giorno di un condannato a morte” (1829), “I miserabili” del 1862, e “L’uomo che ride” del 1869.
Stendhal. Francese ma anche molto italiano. Due tra le tante sue opere sono quelle di maggiore importanza, una si intitola “Il rosso e il nero” è del 1830; l’altro che ho letto “La Certosa di Parma” del 1839. Poi naturalmente c’è Dumas che comincia con una lettura quasi per bambini col titolo “I tre moschettieri” che però fa parte di una lunga serie che abbraccia praticamente l’intera storia di Francia nel XVII secolo. È inutile dire che Dumas si legge molto bene e personalmente l’ho letto quasi interamente.
Poi c’è D’Annunzio quello delle “Laudi” e in particolare della terza che si intitola l’“Alcyone”. Naturalmente il poeta del Novecento scrisse moltissime poesie ma anche drammi operistici, prose d’arte e atteggiamenti fortemente politici. Fu uno dei più importanti personaggi favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 con un famoso discorso a Genova dal molo dove erano partiti oltre mezzo secolo prima i Mille di Garibaldi e ripeté un discorso analogo a Roma. Poi ci fu l’occupazione di Fiume subito dopo la guerra per insoddisfazione delle condizioni ottenute col trattato di pace. Dopo di che ormai invecchiato, si ritirò a Gardone dove fu politicamente e psicologicamente abbracciato da Benito Mussolini che aveva fondato i fasci di combattimento. Politicamente D’Annunzio non è stato un buon personaggio; poeticamente sì, lo fu e a mio avviso più di quelli che poetarono insieme a lui come Pascoli e Carducci.
D’Annunzio scrisse anche un romanzo intitolato “Il piacere”. Era giovane quando si cimentò con un romanzo molto snob, ma di divertente lettura per chi come me lo lesse in giovane età. Il protagonista era un esteta e si chiamava Andrea Sperelli. Era un’interpretazione che D’Annunzio faceva di se stesso e del suo snobismo che ha rappresentato uno dei punti fondamentali del suo carattere per tutta la vita senza tuttavia impedirgli di scrivere nell’“Alcyone” splendide poesie.
Nei decenni intorno alla metà del Novecento abbiamo una poesia molto moderna rappresentata in modi sostanzialmente diversi ma entrambi di notevole importanza: Giuseppe Ungaretti ed Eugenio montale.
Più o meno ho fatto l’elenco delle mie letture. Alcune sono state molto divertenti come quella per esempio dei libri di Dumas; altre molto poetiche che si aggiungevano ad autori molto più antichi e per questo non da me citati a cominciare dallo “Stil Novo” che comincia con Guinizzelli, Cavalcanti, Dante, Petrarca e via dicendo ma questi li ho omessi perché volevo attenermi alla cultura moderna e la ragione è molto semplice: la cultura moderna dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi ha fatto parte della nostra vita anche perché i libri e gli autori che ho citato sono cambiati e ciascuno di noi a suo modo col passar degli anni. Ma ho omesso alcuni che hanno rappresentato per l’Europa oltre che per l’America una cultura in qualche modo ancor più profonda di quella fin qui citata. Mi limiterò a citare John Keats, Shelley, Edgar Allan Poe, Baudelaire, Oscar Wilde. Quello che più mi ha conquistato l’anima è stato Poe e almeno tre delle sue poesie: quella intitolata “Il corvo” un’altra intitolata “Le campane” e una terza dal titolo “Ulalume”: tre saggi poetici che cambiano te stesso o quanto meno ti conferiscono una capacità di pensiero e di sentimenti che personalmente non avrei avuto senza l’apporto di quei testi.
Perché ho fatto un articolo così pieno di titoli di libri? Volevo dimostrare che sono un vecchio di buona cultura? In parte può essere vero, alla mia età qualche vanto è un istinto normale, ma io direi che è interessante fornire la prova che la nostra personalità è molto flessibile e quindi si distingue per come si evolve in presenza di fatti concreti e anche di elementi culturali. Cambiamo se siamo ricchi o poveri, oziosi o lavoratori, fortunati o sfortunati, colti o incolti delle materie che formano il nostro modo di esistere. Ma a tutti questi vari elementi determinati dall’Io come infinite volte ho già ricordato, si aggiungono la sensibilità poetica e cambia col passare dell’età. “Il piacere” di D’Annunzio mi piacque molto a trent’anni; l’ho riletto una decina d’anni fa e non mi è piaciuto per niente mentre una poesia come “Il corvo” che incantò anche Baudelaire ha cambiato molto il mio modo di sentire la vita. Per chiudere questo lungo elenco citerò alcune strofe del “Corvo”, credo che ne valga la pena.
“Reo flagello
Sii tu demone od uccello,
t’abbia spinto la tempesta
Od il Tentatore oscuro
Solo ma non sgomentato
In un luogo ammaliato
Dall’Orrore frequentato
Dimmi invero ti scongiuro
C’è un conforto in Paradiso?
Dimmi, dimmi, ti scongiuro!”
Disse il Corvo a lor “Mai più”
Ed il Corvo non fu scosso
Dal suo posto non s’è mosso
Là sul busto di Minerva
Messo in sommo della porta
Ad un demone sognante
Il suo occhio e somigliante
E la lampada tremante
L’ombra sua sul pavimento
Ersa il mio cuore dall’ombra
Sparsa sopra il pavimento
Non si leverà mai più”.