Una terra emersa di 500 chilometri quadrati nell’immenso fiume Brahmaputra. Cinquant’anni fa era grande il doppio e ora sta sparendo. Per sopravvivere i contadini hanno costruito palafitte. Ma i campi coltivabili diminuiscono

majuli
Arrivi dopo un viaggio tra acqua e cielo immobili, color della cenere. I banchi di sabbia pallida si confondono con l’acqua e con un cielo dietro cui si affanna un sole velato. L’isola di Majuli, nello stato indiano dell’Assam, si annuncia piano, in sordina. Poi appare il pontile, quindi la strada che porta all’interno e che si nota appena, persa com’è tra canali placidi, confusi tra la vegetazione. Immobili.

Majuli è la più grande isola fluviale abitata del mondo, nel mezzo del Brahmaputra, stato dell’Assam, nordest dell’India. Ma la sua posizione geografica particolare, quello che la rende unica, è anche ciò che minaccia da vicino la sua stessa esistenza. Le immagini satellitari mostrano chiaramente che la superficie dell’isola si è ridotta da 1.250 chilometri quadrati, nel 1971, a meno di 500 oggi. Più che dimezzata. E l’acqua continua a ricoprire ogni anno qualche metro di terra in più. L’esistenza di Majuli è minacciata da una combinazione di fattori: alcuni naturali, altri che dipendono dalle politiche ambientali degli anni scorsi. Nel 2017, ad esempio, l’isola ha subito una delle peggiori alluvioni della sua storia, causata da una rottura degli argini della diga di Dhonarighat, in Arunachal Pradesh, che fa parte del progetto Ranganadi Hydropower. I danni si sarebbero potuti almeno limitare se ci fosse stata una comunicazione tempestiva da parte delle autorità preposte al controllo della diga, ma nessuno ha pensato ad avvertire la popolazione di Majuli. Risultato, metà dell’isola è finita sott’acqua. E Majuli, se va avanti così, rischia di scomparire per sempre nel giro di una ventina d’anni. Così come la sua gente, costretta ormai a una vita seminomade dominata dalla paura dell’acqua. Molti sono già andati via, molti se ne andranno tra poco perché non hanno più una casa o terra da coltivare.

La battaglia
Per salvare il pianeta impegniamoci tutti: cosa possiamo fare noi, cosa devono fare i governi
27/12/2019
Sull’isola, il tempo sembra essersi fermato. E non soltanto perché Majuli vanta un ecosistema quasi intatto e una delle atmosfere meno inquinate del mondo, ma anche perché in questo mondo sospeso tra cielo e fiume la vita scorre con ritmi e gesti perduti altrove. Correnti e pioggia rendono difficili le comunicazioni che sono limitate, in pratica, a una vecchia chiatta piena all’inverosimile di uomini, animali e mezzi. Sull’isola ci sono una sessantina di piccoli villaggi, per un totale di circa 150 mila persone. Villaggi in prevalenza di capanne fatte di bambù intrecciato e costruite su palafitte perché, durante la stagione dei monsoni finiscono nell’acqua. E se è vero che i suoi abitanti sono da sempre abituati a vivere accordando le loro esigenze ai ritmi del territorio, è vero anche che l’opera degli uomini sta accelerando l’opera di fiumi e correnti. La deforestazione selvaggia in alcune aree dell’Arunachal Pradesh e la creazione di argini artificiali lungo il corso del fiume, oltre alle dighe, ha non soltanto innalzato il letto del Brahmaputra ma ne ha parzialmente deviato il corso: e tutto questo, secondo i membri della locale Rural Economic Development Society, ha avuto un impatto devastante sull’isola.

Nonostante Majuli sia stata dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco, proprio nella speranza che si riesca, in qualche modo, a non farla scomparire per sempre con tutto il suo patrimonio culturale ed ecologico. Majuli, difatti, è uno degli ultimi paradisi incontaminati, e ancora relativamente poco conosciuti, per i birdwatchers. Le strade sterrate che percorrono l’isola si snodano tra canali e laghetti immobili ricoperti di fiori di loto. I pesci guizzano a fior d’acqua e uccelli di ogni colore, forma e dimensione vagano tra i campi, nei boschi e ai bordi degli stagni. Dappertutto si sentono uccelli cantare. Dappertutto, uccelli di ogni colore e di specie rarissime vagano tra i campi, nei boschi, ai bordi degli stagni e nei laghetti in cui i pescatori gettano le reti. Le macchine sono poche, pochi i motorini, ancora più rari i mezzi di trasporto pubblico: la gente si muove in genere in bicicletta, o cammina. Negli ultimi anni qualcuno di buona volontà ha messo in piedi due-tre guest house ecosostenibili, pensando e sperando di incrementare un turismo consapevole e responsabile. Ma è difficile, quando sei costretto per la maggior parte dell’anno a lottare contro l’acqua e il vento.

Disastri
La guerra di Bolsonaro agli ambientalisti dell'Amazzonia
2/1/2020
Nella maggior parte dell’isola la vita sembra essersi fermata a qualche secolo fa, come se anche il tempo fosse rimasto incagliato tra le anse del fiume e le baie, perso nel grigio soffice che confonde terra e cielo. Nei villaggi abitati in prevalenza dai tribali Mishing, le donne macinano il grano o il riso, fabbricano liquore di palma, tessono e ricamano abiti dagli intricati disegni. La gente offre all’ospite inatteso sorrisi, domande e noci di betel da masticare. Ci sono pescatori, e vasai che fabbricano la loro merce con una tecnica identica, pare, a quella degli antichi egizi. Le comunità indigene vivono tradizionalmente di pesca e di agricoltura, coltivano la senape e il bhao-dan, una varietà locale di riso. La terra, resa fertile dal limo, è sempre stata generosa con i contadini. Ma adesso, anno dopo anno, basta appena per vivere. «Le misure prese dal governo, che ha piazzato sacchetti di sabbia sulla maggior parte degli argini, non servono praticamente a nulla. Vanno sott’acqua con la terra, è uno spreco di denaro pubblico e niente più», dice uno dei contadini che ogni anno è costretto ad abbandonare casa e campi da coltivare per rifugiarsi verso l’interno. «Farebbero meglio a dare direttamente a noi quel denaro per vivere da un’altra parte». Strano ma vero, infatti, l’erosione e le alluvioni di Majuli, secondo la legge, non sono considerate calamità naturali e quindi le vittime dell’annuale flagello causato dall’acqua non ricevono alcuna compensazione. Eppure Majuli è stata e per certi versi è ancora, depositaria dell’antica cultura dell’Assam.

Sull’isola ci sono i satra, ventidue monasteri (prima erano cinquantasei) a ricordo del tempo glorioso in cui Majuli era la capitale culturale della regione, che funzionano anche da centri di propagazione e conservazione della arti tradizionali: danza, fabbricazione di maschere rituali di cartapesta e di gioielli, canto. Alcuni monasteri sono ormai quasi in rovina, con monaci poveri e ospitali che ti offrono il chai (il the indiano) preparato, in onore dell’ospite, con tutto il latte che avrebbero consumato durante la giornata. Alcuni sono più ricchi, e chiudono le porte a mendicanti e gente comune.

Accanto al satra in cui si dipingono le maschere, dentro a un tempio che è poco più di una enorme veranda, gruppi di donne vestite di bianco cantano bhajan (canti religiosi) sedute sotto a enormi statute di cartapesta degli dei sospese al soffitto come se volassero. Nel tempio di Kamalabari, il più grande dei satra, alla sera, alla luce di due-tre candele che illuminano a stento un grande stanzone semivuoto, i giovani studenti suonano grandi tamburi, danzando e cantando in onore del dio Krishna.

Disastri
Il mare si sta mangiando il Po. E la colpa è dell'uomo
3/1/2020
Il premier Narendra Modi, in tempo di elezioni, aveva solennemente promesso di proteggere l’isola e la sua cultura, invece poco o nulla è stato fatto. Il Brahmaputra Board vanta una serie di misure contenitive delle alluvioni e dell’erosione e il governo dell’Assam ha un piano per il mantenimento della biodiversità. Ma, secondo i locali, nulla di tutto ciò funziona o potrà funzionare. Il cambiamento climatico, secondo gli esperti, ha avuto e avrà nel futuro un impatto devastante sul Brahmaputra e quindi su Majuli. «Non ci sono vere soluzioni», ci duce Zishaan Latif, un fotografo locale, «Bisogna accettare, come fanno i tribali, il fatto che non si può combattere questo fenomeno. L’erosione non si fermerà. Il mio contributo a tutto ciò è documentare la vita sull’isola per conservarne almeno la memoria». Prima che Majuli scompaia per sempre, tra nebbia e acqua.