Lupi solitari ma anche reti organizzate. Daesh e Al Qaeda dietro gli ultimi attentati islamici. E l'Italia teme chi si radicalizza in carcere
L’ondata di violenza che sta colpendo alcune città del vecchio continente dimostra come il messaggio estremista e violento è ancora cogente e che il terrorismo islamista è tutt’altro che sconfitto. Daesh si è adattato alla nuova situazione dopo il collasso territoriale, con la cattura di migliaia di jihadisti in Siria e Iraq. Tutto ciò ha costituito un passaggio fondamentale nella lotta al terrorismo, e Daesh, mantenendo postura e orizzonti da attore globale, ha avviato una ridefinizione degli assetti organizzativi e di comando, anche per recuperare capacità di proiezione esterna, e ha continuato, direttamente o attraverso i suoi mujahedin virtuali, a ispirare e istigare all’azione i suoi adepti, tentando pure di agire da “connettore” tra singoli soggetti e dispensando consigli pratici per realizzare attacchi contro i “crociati”. Non più luogo fisico, il Califfato è tornato ad essere un “fine”, peraltro ancora supportato da simpatizzanti e sostenitori su scala mondiale. D’altro canto, gli obiettivi strategico-operativi dell’organizzazione, compreso quello della guerra contro l’Occidente, sono rimasti invariati.
Dopo gli attacchi in Francia e in Austria, il livello di allerta in Italia è massimo su tutto il territorio nazionale. La decisione, anche se non c’è nessun segnale specifico di allarme che riguarda il nostro Paese, è stata presa dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica che ha ascoltato l’analisi fatta da intelligence e antiterrorismo. L’esame degli apparati di sicurezza è chiara: in Italia non ci sono particolari elementi che possano far pensare ad un’escalation imminente, ma le tensioni internazionali, che nel nostro paese si intrecciano ai massicci arrivi di migranti dalla Tunisia e alla necessità di eseguire i controlli alla frontiera, impongono la massima attenzione. L’indicazione dunque, è quella di rafforzare al massimo livello i servizi di controllo del territorio, sia alle frontiere sia sugli obiettivi sensibili, e di potenziare il monitoraggio e la raccolta di informazioni negli ambienti più radicali e a rischio. Punto centrale sarà anche il rafforzamento dei controlli alla frontiera sud, per rendere più stringenti i controlli sui migranti che sbarcano e sulle imbarcazioni che navigano nel Canale di Sicilia, dalle navi commerciali ai pescherecci: un’attività che non può prescindere dalla collaborazione della Tunisia. L’obiettivo è quello di approfondire e rinegoziare l’accordo con il governo di Tunisi, in modo da incrementare lo scambio di informazioni e mettere in campo ogni intervento per bloccare le partenze.
Le nostre agenzie di sicurezza (Aisi e Aise) segnalano il costante impegno informativo riservato al rischio di un ripiegamento in Italia di combattenti in fuga da teatri di jihad (e di loro congiunti) e, più in generale, al possibile ingresso o transito nel nostro Paese di stranieri a vario titolo connessi al terrorismo, e mettono in evidenza che, come per il resto d’Europa, «l’ambiente carcerario continua a rappresentare una realtà sensibile sotto il profilo della radicalizzazione islamista, che agisce, a sua volta, da moltiplicatore di tensioni e pulsioni violente, nei confronti tanto dei detenuti di fede non islamica o non aderenti alla causa jihadista, quanto degli agenti penitenziari e del sistema carcerario. Aggressioni, disordini e manifestazioni di giubilo in occasione di attentati compiuti in Europa hanno fatto emergere la pericolosità di alcuni stranieri, detenuti per reati comuni e radicalizzatisi dietro le sbarre, per i quali è stato conseguentemente adottato il provvedimento di espulsione».
Il ventenne macedone di etnia albanese, Kujtim Fejzulai, con doppia cittadinanza austriaca, simpatizzante dell’Isis radicalizzato, che nell’attacco nel cuore di Vienna ha ucciso quattro persone, ferendone altre, era equipaggiato con una finta cintura esplosiva e un lungo fucile automatico, una pistola e un machete per portare a termine questa atroce aggressione contro cittadini innocenti, come ha detto il ministro dell’Interno austriaco, Karl Nehammer, questo terrorista ha “beffato” i tentativi di deradicalizzarlo, perché da pochi mesi era in libertà vigilata dopo una condanna a 22 mesi per terrorismo.
L’attentato è stato rivendicato dall’Isis tramite l’agenzia di propaganda Amaq che in un comunicato accompagnato da una foto dell’aggressore riferisce di un «attentato con armi da fuoco compiuto ieri (2 novembre) da un combattente dello Stato Islamico nella città di Vienna». Un analogo comunicato con riferimento ad un «soldato del califfato» quale attore del gesto è stato pubblicato anche sul canale Telegram.
Nell’arco di poche settimane il livello di allerta non si alza solo in Italia ma anche in altri paesi del Continente e nel Regno Unito dove il Joint terrorism analysis center ha innalzato il livello di minaccia terroristica da C (Substantial – attacco probabile) a B (Severe – attacco estremamente probabile). Prima a Nizza (29 ottobre) un uomo al grido di “Allah Akbar” ha compiuto un assalto contro alcuni fedeli presenti sia all’interno della basilica di Notre Dame sia, successivamente, all’esterno, provocando l’uccisione di due donne e del sagrestano della cattedrale e il ferimento di altre persone. L’autore del gesto è stato bloccato dalla polizia francese ed è emerso che aveva raggiunto Lampedusa su una barchetta con altri 10 immigrati, il 20 settembre scorso. Era stato posto in quarantena sulla nave Rhapsody e poi gli agenti della questura di Bari, dopo aver raccolto i suoi dati e le impronte, lo aveva denunciato per ingresso irregolare nell’Unione europea, notificandogli un decreto di respingimento. Ma lui non è tornato indietro ed ha raggiunto la Francia, dove poi si è reso protagonista di un attacco terroristico di matrice islamista.
Queste ultime azioni violente in Francia e in Austria per gli analisti dell’antiterrosismo non avrebbero un’unica strategia. Perché si tratta di due tipologie di attentati. Nizza è un “lone wolf” e quindi è un autoispirato. Vienna appare come un attentato pianificato anche militarmente, e allora ci porta a considerare che si voleva colpire l’Austria come paese europeo occidentale.
Il macedone ha iniziato a sparare nella strada in cui si trova la principale sinagoga della capitale, chiusa in quel momento e teatro nel 1981 di un attentato con due vittime. Gli attacchi attorno ai luoghi di culto fanno venire in mente episodi di oltre un anno fa quando il ventottenne australiano Brenton Harrison Tarrant fece irruzione in una moschea e un centro islamico della città neozelandese di Christchurch (51 vittime) favorendo un’inedita convergenza delle campagne mediatiche di Daesh e al Qaida. L’attentato ha avuto forte risonanza nella propaganda ufficiale di entrambe le organizzazioni terroristiche e presso la galassia di attivisti virtuali, che hanno colto l’occasione per strumentalizzare l’impatto emotivo del gesto, con l’obiettivo di incitare nuovi attacchi contro l’Occidente e i suoi simboli. Nel complesso, le due formazioni hanno ritratto l’evento di Christchurch come l’ennesimo dei crimini compiuti dai “crociati” contro l’Islam, l’una citando gli attacchi contro Raqqa, Mosul e Sirte e l’assedio di Baghouz, l’altra l’invasione in Afghanistan, le occupazioni e le violenze commesse contro i musulmani, dalla Palestina all’India, dalla Cecenia all’Africa centrale. Tutto questo facendo uso di consolidate frasi narrative che sottolineano la natura esistenziale del confitto interreligioso, con lo scopo di legittimare il jihad “ovunque e con qualunque mezzo”.
La risposta al massacro è stata, tuttavia, prospettata in maniera differente a seconda del gruppo che se ne è fatto promotore. Nel caso di Daesh è stata invocata una ritorsione indiscriminata contro l’Occidente. In linea con la “casa madre”, anche i mujahedin virtuali della galassia mediatica non ufficiale pro-Daesh hanno alimentato il filone della vendetta, innescando una vera e propria “social-media warfare” che, in rappresaglia all’uccisione dei fratelli in Nuova Zelanda, ha identificato nelle chiese uno dei target privilegiati, spingendosi a presentare l’incendio a Notre Dame come una giusta punizione per i “crociati”.
Le azioni di stampo jihadista realizzate in Europa negli ultimi ventiquattro mesi, confermano l’insidiosità di una minaccia che resta prevalentemente endogena e che ha visto, in linea di continuità con gli ultimi anni, l’attivazione di “lone wolf”, il ricorso a mezzi facilmente reperibili e pianificazioni poco sofisticate. Per tutte, Daesh ha continuato a rappresentare il principale ispiratore, attraverso gli appelli al jihad reiterati dalle “case madri” mediatiche o lanciati e ripostati dai sostenitori sparsi nel mondo, il cui ruolo è parso tanto più rilevante quanto più è andato ridimensionandosi l’apparato propagandistico ufficiale. L’eterogeneità del profilo degli attentatori è valsa a ribadire l’ampiezza del novero dei soggetti a rischio: individui con trascorsi criminali o con pregressi contatti con locali circuiti radicali; sostenitori attivi di organizzazioni terroristiche; internauti dediti al consumo e alla diffusione di manuali per la realizzazione di attentati fai da te. Anche nei casi in cui più nitida è risultata la matrice jihadista, la spinta ideologica ha spesso interagito con altri fattori di carattere socio-psicologico e ambientale secondo modalità e tempi variabili e talora inserendosi nelle fasi finali del percorso di mobilitazione.
Sono diverse le azioni registrate negli ultimi due anni che devono essere lette come «manifestazioni “emerse” di un fenomeno che resta largamente “carsico” e sottotraccia» e, come tale, ha impegnato in operazioni di intelligence gli 007 dell’Aisi e Aise.
A qualificare il quadro della minaccia per l’Europa sono intervenute, seppure in misura minore rispetto al passato, segnalazioni raccolte in ambito di collaborazione internazionale sull’invio da parte di Daesh di propri operativi ovvero sulla possibile attivazione di militanti già presenti in forma “dormiente” sul Continente. Ma l’attualità del rischio di recidiva arriva da parte di ex detenuti condannati per terrorismo.