Autocrazia e ortodossia. L’Impero e Kiev, madre di tutte le città. L’ideologia di Putin trova origine in un altro spazio. E in un altro tempo

Dice Andrej Belyj nel prologo di “Pietroburgo”, uno dei più importanti romanzi russi, scritto fra il 1911 e il 1914: «L’Impero russo comprende: in primo luogo la Grande, la Piccola, la Bianca e la Rossa Russia (…) Il nostro Impero Russo consiste in una moltitudine di città: capitali provinciali, distrettuali, autonome. E inoltre: nella metropoli e nella madre delle città russe. La metropoli è Mosca e la madre delle città russe è Kiev». Queste parole, che nelle intenzioni dell’autore non sono apologetiche ma anzi critiche nei confronti dello stato di cose esistenti in Russia alla vigilia della prima guerra mondiale, e qui riportate nella traduzione di Angelo Maria Ripellino, potrebbero servire oggi da commento al discorso di Vladimir Putin la sera del 21 febbraio, tenuto nella Sala di Santa Caterina, al Cremlino di Mosca. Dove l’Ucraina veniva rappresentata come una specie di invenzione bolscevica, una ferita nel corpo e nella memoria di quello che possiamo definire lo spazio russo.

 

Una delle caratteristiche del lungo regno di Putin era ed è il tentativo di ripristinare lo status imperiale del Paese. Niente di strano. La Russia nasce come Nazione Impero - nella sua memoria è viva l’idea di Mosca come Terza Roma. Questa apparente dicotomia fra Nazione e Impero appunto, è stata a partire dall’Ottocento, epoca del romanticismo e delle rivendicazioni etniche, foriera di tensioni, rivolte (nel Caucaso), insurrezioni (i polacchi ne hanno inscenate ben due) e via elencando. E infatti, l’accusa mossa da Putin a Lenin ha una sua logica. Fu il capo dei bolscevichi a propugnare l’idea dell’autodeterminazione dei popoli: un po’ perché i rivoluzionari all’epoca discutevano animatamente della questione nazionale, un po’ perché quell’idea serviva a distruggere l’Impero. Logico quindi che dopo la presa di potere, i seguaci di Lenin avessero pensato di trasformare quel che era rimasto della Russia dopo la prima guerra mondiale in uno Stato in apparenza federativo. Ma se Putin fin dall’inizio del suo potere voleva ricostruire l’Impero, l’iconografia di quell’Impero era una specie di patchwork sincretico fra i simboli dell’epoca staliniana e bolscevica e quelli dell’età imperiale di fine Ottocento. Le tombe degli zar a San Pietroburgo non sono lontane dall’incrociatore “Aurora”, che secondo la narrazione comunista avrebbe sparato il colpo a salve che diede il la all’assalto del Palazzo d’Inverno. Con il discorso del 21 febbraio, Putin ha sciolto le ambiguità. Il suo Impero deve riprendere una sola delle due tradizioni, quella zarista.

Feodor Dostoyevsky

Si tratta quindi dello spazio, dei luoghi e del tempo. Il luogo per eccellenza, la Gerusalemme dei russi, è Kiev. È qui che nasce la Rus’, è qui che ha origine il mito. E del resto, è ucraino Nikolaj Gogol e senza Kiev non è immaginabile l’opera letteraria di Michail Bulgakov, uno dei più grandi scrittori del Novecento, nato proprio nella capitale ucraina, anche se il suo capolavoro “Il Maestro e Margherita” è ambientato in un’allucinata Mosca alle prese con l’Anticristo. Fra le opere di Gogol c’è “Taras Bulba”, storia di un atamano cosacco nelle terre ucraine che si ribella contro i polacchi, allora padroni del Paese. Ma soffermiamoci sulla questione dello spazio e della memoria. Ecco, non esiste la letteratura russa senza i sapori, i paesaggi, i profumi del Caucaso. Quella regione è teatro dell’immaginario di Michail Lermontov: ne citeremo una sola opera, in prosa, “Un eroe del nostro tempo”, storia di un ufficiale russo che si innamora di una principessa cecena. Potremmo continuare con Aleksandr Puskin e Lev Tolstoj, fino al fascino che la Georgia esercitava su Osip Mandelstam e l’elenco sarebbe lunghissimo. Per non parlare del fatto che Stalin era georgiano. E la Georgia è un altro Paese con cui la Russia entrò in conflitto, nel 2008. La Georgia fu annessa alla Russia ai primi dell’Ottocento, la vicina Armenia nel corso dello stesso secolo e le varie terre del Caucaso fra Cecenia e Daghestan, mai fino in fondo pacificate, sono sempre state fonti di miti romantici di eroismo e lealtà, e di viltà e tradimento. Miti costitutivi della cultura russa.

 

Abbiamo detto tempo. Ecco, l’impressione è quella di un uomo di potere, Putin, che ha l’urgenza di imporre il tempo della sua vita al tempo del Paese, per passare alla storia come colui che ricreò la Grande Russia, come se non si fidasse delle capacità dei suoi futuri successori. Infatti, il tempo della Russia non è necessariamente uguale al tempo dell’Occidente. Nel 1881 lo zar Alessandro II, che cercò di riformare il Paese in un periodo caratterizzato dalla fede nel progresso, nella scienza, nell’ingegneria, venne assassinato da terroristi dell’organizzazione Narodnaja Volja (Volontà del popolo). Seguì la reazione. Alla lettera. Il successore, Alessandro III propugnava il ritorno a una Russia dove il potere poggiava su due fondamenti: autocrazia e ortodossia. Cominciava l’epoca dei pogrom - secondo la dottrina, gli ebrei (ma anche i liberali) non erano compatibili con l’Impero - soprattutto nei territori dell’Ucraina, perché è lì che risiedeva la maggior parte della popolazione ebraica del Paese. Ma poi, buttato fuori dalla porta, l’Occidente rientrava dalla finestra. Un po’ perché i russi, quelli che se lo potevano permettere, viaggiavano. Ma soprattutto perché scrivevano meravigliosi romanzi.

Feodor Dostoyevsky

È immaginabile l’Occidente, anzi l’esistenzialismo, pensiero per eccellenza occidentale perché mette al centro l’individuo e le sue scelte e il corpo a corpo con il Male, senza Fedor Dostoevskij (per altro autore che non amava l’Occidente)? Il regno dello zar Nicola, successore di Alessandro III, vede lo sviluppo accelerato di una borghesia che guarda all’Occidente e un fermento nell’ambito della cultura, delle arti, della filosofia. La Russia, alla vigilia della Rivoluzione di febbraio 1917 che depose lo zar, è un Paese bifronte. Da un lato lo zar con la sua corte un po’ arcaica, dall’altro la volontà di fissare le lancette dell’orologio sul fuso orario dell’Europa. Del tempo e spazio di Putin, abbiamo già detto. Ecco, capita nella storia, come oggi con gli ucraini, che un popolo che non si considerava nazione, lo diventi. Ed entri in collisione con il tempo di qualcun altro.