L'esponente di ultradestra arriva secondo ed accede alla votazione che deciderà il futuro del Paese. Primo, in forte recupero rispetto alle previsioni, il peronista progressista Sergio Massa

L’Argentina va al ballottaggio. A sorpresa la coalizione peronista di centrosinistra, guidata dal ministro dell'Economia Sergio Massa, è stata la più votata durante il primo turno delle elezioni presidenziali che si sono tenute domenica 22 ottobre. Ribaltando le previsioni di gran parte dei sondaggi ma soprattutto battendo il candidato di estrema destra, ultraliberista, «anarcocapitalista» Javier Milei, fondatore del partito La Libertad Avanza. Che rallenta la sua corsa verso la Casa Rosada, anche se non è ancora fuori dai giochi. Anzi. 

 

Milei è arrivato secondo, con il 29,98 per cento dei voti. Ma ha guadagnato solo 500 mila voti in più rispetto a quelli ottenuti ad agosto durante le primarie. Massa, primo, ha raggiunto il 36,68. 2,7 milioni di voti in più rispetto al risultato Primarie. Per terza, la candidata di centrodestra Patricia Bullrich, che così esce dalla contesa per la presidenza. Ma commenta: «Non ci congratuleremo con uno dei ministri del peggior governo che questo Paese abbia mai avuto. L’Argentina deve abbandonare il populismo se vuole crescere e porre fine alla povertà. Non saremo mai loro complici», facendo così supporre che per il ballottaggio di domenica 19 novembre sosterrà il leader estremista de La Libertad Avanza. 

 

Economista ed ex opinionista televisivo, Milei si propone di risolvere la crisi economica che sta mettendo a dura prova il Paese «dando fuoco alla banca centrale», adottando il dollaro come moneta ufficiale al posto del Peso. Permettendo la vendita di organi o di bambini a chi vive in condizioni di povertà (mentre, invece, si dice contrario all’aborto). Sostenuto dall’ex presidente brasiliano Bolsonaro, Milei si presenta come l’outsider in grado di portare avanti il cambiamento radicale di cui l’Argentina avrebbe bisogno per risollevarsi. Propone di tagliare le tasse, tagliare la spesa pubblica, addebitare i costi del sistema sanitario ad ogni cittadino. Dice che l’Argentina deve tornare a essere la grande potenza che è stata in passato e per questo ai comizi si presenta con una motosega, per fare capire cosa intende quando parla di tagli alla spesa pubblica.

 

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«Due terzi degli argentini hanno votato per il cambiamento», ha commentato Milei subito dopo che i primi risultati del voto sono stati resi pubblici, appena è stato chiaro che non ci sarebbe stato un unico vincitore già al primo turno. Per trovare un punto di incontro con Juntos por el Cambio, il partito di Bullrich, per «sconfiggere il kirchnerismo»,  nonostante i duri scontri tra i due leader che invece hanno segnato la campagna elettorale. Con l'obiettivo di vincere al ballottaggio.

 

Così, a 40 anni esatti da quando in Argentina è tornata la democrazia con le lezioni presidenziali dell’ottobre del 1983, il Paese è di nuovo in bilico: «È un giorno importante, invito ogni argentino a difendere la democrazia e a decidere il futuro del Paese nelle urne», ha twittato infatti l’attuale presidente Alberto Fernandez, dopo aver votato a Buenos Aires. E mentre la popolazione attende di conoscere il proprio futuro, resta grande la  preoccupazione, nazionale e internazionale, per un Paese con l'economia a brandelli, in cui l'inflazione galoppa verso il 140 per cento, e il tasso di povertà è al 40 per cento.