Quattro milioni e mezzo di euro di fatturato, oltre 98 milioni dovuti a fondatore e banche: la creatura politica di Silvio Berlusconi galleggia solo grazie ai suoi ultimi interventi. Pesano i contributi non versati, mentre la famiglia del Cavaliere tutela i suoi interessi. E la sopravvivenza è appesa alle elezioni

C’erano tutti, il 13 giugno. Non poteva mancare nessuno a quella riunione del comitato di presidenza di Forza Italia. La prima senza Silvio Berlusconi. Con l’eccezione del tesoriere Alfredo Messina e del fido Sestino Giacomoni, i partecipanti erano collegati in videoconferenza. Il Cavaliere era morto da qualche ora, ma il dovere chiamava. Bisognava approvare il bilancio del partito.

 

E che fosse sempre traballante Messina non lo mandò a dire. Né rinunciò a puntare il dito contro chi non aveva rispettato le direttive. «La contribuzione proveniente dai parlamentari e dai consiglieri regionali è ancora in sofferenza», mise a verbale. Stigmatizzando il comportamento «di coloro che, con diverse motivazioni, non hanno da qualche tempo contribuito come invece altri hanno meritevolmente continuato a fare». Nessun nome, ovvio. Ma non è difficile immaginare che ce l’avesse con i furbetti del cedolino, quelli che pur non attraversando alcuna traversia economica avevano sempre avuto il braccino corto.

 

TUTTE LE INCHIESTE SUI CONTI DEI PARTITI - LEGA, PD, FRATELLI D'ITALIA

 

Prendersela con il più ricco deputato in circolazione, con un reddito personale di 4,6 milioni di euro secondo l’ultima dichiarazione Irpef, sarebbe stato inutile. Antonio Angelucci era già deputato leghista dal settembre 2022. E se è vero che nell’anno della campagna elettorale il suo nome non figura nell’elenco dei parlamentari azzurri contributori, è accertato che l’anno prima aveva sganciato al partito la bellezza di 80 mila euro. Senza dire che il re delle cliniche private pagate dalla sanità pubblica non si tira mai indietro quando si tratta di aiutare colleghi in difficoltà.

 

Denis Verdini

 

Per averne prova chiedere a Denis Verdini. Il 12 dicembre 2006 il Credito cooperativo fiorentino, la banca che egli stesso presiede mentre è deputato di Forza Italia, concede a lui e a sua moglie Maria Simonetta Fossombroni un finanziamento di 7 milioni e mezzo, garantito da una loro società immobiliare: la Montartino srl, acquistata appena qualche ora prima. Ma nel 2010 la banca viene commissariata dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti, del governo del Popolo della libertà, partito del quale Verdini è in quel momento coordinatore nazionale. La decisione segue le «gravi irregolarità» riscontrate dalla Banca d’Italia nella gestione dell’istituto, che costeranno poi all’ex parlamentare una condanna a sei anni e mezzo. Intanto Verdini si è dovuto dimettere dalla presidenza della banca, alla quale lui e la moglie devono però restituire ancora più di 5 milioni. E ora quello rischia di essere un bel problema.

 

Ma niente paura. A pagare, chiudendo il conto con la banca, ci pensa Angelucci il 14 febbraio 2011. L’ipoteca sulla società di Verdini passa quindi dal Credito cooperativo fiorentino al suo facoltoso collega di partito. Le loro strade politiche si divideranno: Verdini fonderà un altro partito. Ma ancora a quasi 13 anni di distanza le azioni della Montartino srl, trasferite a Tommaso Verdini, figlio di Denis e fratello di Francesca, attuale fidanzata di Matteo Salvini, sono in pegno al re delle cliniche. Adesso, come detto, in forza alla Lega. Perché tutto, nella coalizione, si tiene. Mai abbandonare gli amici, come ha insegnato Berlusconi.

 

Finché è stato in Forza Italia, comunque, nemmeno Verdini ha fatto mancare il proprio apporto. Nel 2014 ha staccato un assegno da 50 mila euro e scusate se è poco. Niente di paragonabile, tuttavia, alla quantità di denaro che ci ha messo il fondatore (e proprietario) del partito. «Tutti sanno che, nonostante sia stato aggredito pesantemente nel mio patrimonio, questo mi ha sempre consentito di dare a Forza Italia quello di cui aveva bisogno. Ora non lo posso fare», si è sfogato nell’aprile del 2014 il Cavaliere. Quanti soldi ha tirato fuori per l’avventura politica è perfino difficile calcolarlo. Ma l’ordine di grandezza è di qualche centinaio di milioni.

 

Si potrebbe dire ben investiti, considerando quanti soldi ha incassato il suo partito; mentre i rimborsi elettorali erano un fiume in piena, il Cavaliere portava in Parlamento centinaia di onorevoli e il partito stipendiava più di 150 dipendenti. Anche se quei denari non sono finiti nelle sue tasche e lui non è mai rientrato delle enormi somme investite. Il Fatto quotidiano ha calcolato nel 2015 che, dal 1994, lo Stato aveva versato nelle casse di Forza Italia e del Pdl 784 milioni e spicci. Anni d’oro, quando i portafogli erano gonfi e sembrava che non dovesse mai finire. Per le elezioni del 2008 il Pdl investì la somma astronomica di 68 milioni 475 mila 132 euro. Cifra ben 13,6 volte superiore rispetto a quella tirata fuori nel 1996 da Forza Italia e Alleanza nazionale messe insieme. I contributi pubblici, al tempo stesso, schizzarono da 18,6 a 206,5 milioni. Tutti bruciati con una rapidità impressionante, tanto correvano le spese. Poi, il suicidio.

 

I funerali di Stato di Silvio Berlusconi, nel Duomo di Milano

 

Ancora nel 2013, quando il Popolo della libertà è andato in pensione e il partito Forza Italia è stato riesumato, Berlusconi ha sborsato altri 15 milioni. Giusto in tempo prima dell’approvazione della legge sull’abolizione dei rimborsi elettorali voluta dal governo di Enrico Letta, di cui anche lui faceva parte, che introduce il 2 per mille e vieta a ogni singolo privato di dare direttamente più di 100 mila euro l’anno a un partito. Il suicidio, appunto. Una legge approvata nel tentativo di arginare l’ondata populista e che pure Forza Italia, corresponsabile negli anni precedenti del pazzesco e vergognoso aumento del finanziamento pubblico, aveva sostenuto e votato: contrariamente, per quanto possa sembrare paradossale, al Movimento 5 Stelle. E salvo poi accorgersi che avrebbe finito per mettere in crisi la sua stessa esistenza, bloccando il principale finanziatore dopo aver chiuso lo scandaloso rubinetto dei rimborsi elettorali.

 

Ma quei 15 milioni incassati in extremis non bastavano, perché Forza Italia si trascinava dietro un pesante debito con le banche. Allora Berlusconi ha fatto ciò che aveva già fatto Angelucci con Verdini. Ha coperto lui l’esposizione con le banche ed è diventato il creditore del suo stesso partito. Totale, 90 milioni 433 mila 600 euro. Ma il salasso non si è fermato lì. Siccome la legge stabilisce un limite di 100 mila euro per le contribuzioni individuali, tutta la famiglia si è mobilitata. Dal 2013 al 2023, i cinque figli e il fratello Paolo, a colpi di 100 mila euro, hanno sborsato 2,3 milioni. Più otto assegni, sempre da 100 mila euro, della finanziaria di famiglia Fininvest, fanno 3,1 milioni.

 

Tutto, però, sostanzialmente inutile. Il partito ha chiuso anche il bilancio 2022 in deficit, nonostante un aumento dei contributi privati per la campagna elettorale. Qualche sostenitore non ha mancato di fare sentire il proprio affetto, come testimoniano i 35 mila euro della Seda di Arzano, la società di Antonio D’Amato, ex presidente della Confindustria nel momento migliore del berlusconismo, quello del governo del 2001. Ma è chiaro che così difficilmente la baracca potrà reggere.

 

Per guardare la cosa dalla prospettiva cara a Berlusconi, qualunque azienda con meno di 4 milioni e mezzo di fatturato (tanto ha incassato Forza Italia nel 2022) e 98 milioni e mezzo di debiti (oltre a quelli con Berlusconi ci sono i debiti con le banche, garantiti sempre dal Cavaliere e da suo fratello Paolo) non può stare in piedi. Si fa fatica anche a pagare i 132 mila euro di affitto della sede in centro a Roma. Forza Italia galleggia ancora solo perché Berlusconi, a differenza delle banche, ha rinunciato a pretendere gli interessi su quei 90 milioni. Non l’avesse fatto, il bilancio 2022 si sarebbe chiuso con almeno 2 milioni di perdite: metà del fatturato.

 

Ora, però, la musica è destinata a cambiare. Si è capito un paio di settimane dopo la morte del fondatore del partito, quando l’anziano (88 anni) e fedele tesoriere Messina, ex manager dell’Iri e della Fininvest, ha lasciato il posto all’avvocato Fabio Roscioli. Un cambiamento radicale che stravolge la regola fondamentale di ogni partito: quella secondo cui il tesoriere è un parlamentare. Non soltanto per la necessaria fedeltà al partito, ma anche per una forma di tutela politica.

 

Roscioli è invece un professionista, avvocato della famiglia. Ha difeso Berlusconi in cause per diffamazione, per giunta: l’ultima a gennaio, in Cassazione, nel ricorso (respinto dai giudici) contro la sentenza di condanna a risarcire con 50 mila euro l’ex pubblico ministero di Milano, Guido Robledo. Molti anni prima aveva partecipato, come si ricava dall’archivio dell’Ansa, anche alla difesa dell’ex ministro dell’Interno berlusconiano, Claudio Scajola, nella vicenda della casa da lui acquistata al Colosseo. Inoltre, non si ha notizia della sua appartenenza a Forza Italia. Se ne deduce che abbia assunto l’incarico di tesoriere, ruolo che gli affida anche il simbolo del partito e la rappresentanza delle liste, soprattutto per tutelare gli interessi della famiglia.

 

Che non coincidono più esattamente con quelli della politica e del movimento politico fondato da Berlusconi. Senza più il Cavaliere, con una pattuglia di parlamentari ridotta e mai scarna come adesso (sono 62 in tutto, erano 89 nella scorsa legislatura e quasi 200 in quella precedente), il prossimo giro di elezioni politiche sarà cruciale per la sopravvivenza, anche economica. Ma il segnale, si può essere certi, arriverà molto prima. Fra qualche mese, alle Europee.