«L’umanità ricorrerà sempre più spesso a richieste come scrivimi un discorso, una lettera di licenziamento o d’amore». L’attacco a tutto campo del filosofo francese, contro ChatGPT e simili. E prende di mira politici e potere economico

Si fa sempre più fragorosa la voce di Éric Sadin con il passare degli anni. Scrittore e filosofo francese tra i più ascoltati a livello internazionale, studioso dell’industria e delle tecnologie digitali, descrive un mondo in cui l’intelligenza artificiale - il robot per utilizzare un termine comprensibile a tutti ma riduttivo - rappresenta una minaccia per la civiltà, così come siamo stati abituati a conoscerla. Un sistema governato dall’industria, che condiziona comportamenti, abitudini, perfino sentimenti. I suoi saggi, pubblicati in tutto il mondo Italia compresa (tra gli altri “La siliconizzazione del mondo”, Einaudi, “Io tiranno. La società digitale e la fine del mondo comune” e l’ultimo “ Secessione. Una politica di noi stessi “, entrambi per Luiss University Press), non disegnano una realtà distopica di apocalisse imminente, ma proiettano nell’urgenza di affrontare la situazione qui e ora. Sadin prende di mira ChatGPT, il modello di conversazione di Open AI che sfrutta l’intelligenza artificiale di apprendimento automatico, utilizzato per generare testi, dialogare, conversare, che a suo dire mette a rischio l’essenza degli esseri umani ma anche tanti posti di lavoro. Al Festivalfilosofia, a Modena, Sadin interverrà domenica 17 settembre (ore 10) per una lectio magistralis dal titolo “ChatGPT e IA generative: l’abbandono della nostra facoltà di parola e creatività”.

 

Professor Sadin, la sua posizione è molto drastica. Non c’è nulla da salvare dell’intelligenza artificiale?
«Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito a una serie di deflagrazioni. Nel 2010, ad esempio, l’avvento dell’intelligenza artificiale più sofisticata e del machine learning ha segnato un cambiamento epocale. Oggi l’AI è in grado di analizzare una quantità di dati sempre più ampia in tempo reale, suggerisce di comprare prodotti, assumere un certo candidato per una certa posizione, può chiedere a un corriere di recarsi in un certo luogo a una certa velocità, tratta le persone come robot in carne e ossa. L’ultima deflagrazione planetaria risale al 30 novembre scorso, con il varo dell’ultima versione di ChatGPT, ovvero l’avvento di un nuovo tipo di intelligenza artificiale che non solo organizza le cose in maniera onnisciente ma esercita anche una pressione sulle decisioni umane, sulle nostre facoltà fondamentali».

 

Ovvero?
«Produrre simboli, il linguaggio, creare opere musicali, letterarie, cinematografiche. Oggi a essere minacciata è proprio la creatività, quella che Paul Valéry chiama “le opere dello spirito”. Non solo tutto questo viene banalizzato, ma viene anche sostenuto da una classe politica e dal sistema economico. Dal punto di vista antropologico si tratta di un fatto di enorme portata, di cui ci renderemo conto nel tempo. Alcuni studenti utilizzano il ChatGPT per le loro dissertazioni, importanti studi di consulenza e giornalisti lo usano per creare i loro testi. Di recente l’editore del newsmagazine Bild, in Germania, ha detto che nel giro di qualche mese licenzierà un terzo della forza lavoro in ragione di questo software».

 

Il suo prossimo libro, “La vie spectrale” (in uscita a ottobre per Grasset), tratterà i temi dell’AI generativa, in grado di produrre testi, immagini, video, e del metaverso. Qual è la tesi?
«Lo sviluppo del metaverso significa che oggi la maggior parte delle azioni della nostra vita è filtrata attraverso schermi e sistemi, come stiamo facendo io e lei oggi. Una condizione che si è stabilizzata con il lockdown e riguarda gli acquisti, la socialità, la medicina, gli aperitivi su WhatsApp e gli incontri tra capi di Stato. Ci troviamo in una nuova fase della digitalizzazione della nostra esistenza, che ha avuto un salto di qualità quando Mark Zuckerberg ha annunciato la nascita di Metaverso, nell’ottobre 2021. È un nuovo capitalismo, quello “della fissità dei corpi”, il mondo viene sempre più spesso verso di noi. Con l’AI generativa emerge anche una nuova economia, l’economia dei “prompt”, in grado di generare testo, immagini, video, musica o altri media in risposta a richieste. Non sono un profeta, ma nei prossimi due decenni assisteremo all’epoca del “promptismo” generalizzato, la sconfitta delle nostre capacità cognitive e creative. L’umanità ricorrerà sempre più spesso a “richieste”: “Scrivimi un discorso”, “Scrivimi una lettera di licenziamento”, “una lettera d’amore”, “un testo da utilizzare a scuola”». 

 

Di recente Elon Musk e Sam Altman, cofondatori di OpenAI, la società che ha dato vita a ChatGPT, si sono detti preoccupati per l’utilizzo indiscriminato dell’intelligenza artificiale. Sono pentiti?
«Non si pentono di nulla. José Ortega y Gasset diceva: “Per essere ingegneri non basta essere ingegneri”. Bisogna avere una coscienza, diceva. Secondo la mia analisi, condotta negli ultimi quindici anni, gli ingegneri sono sottomessi, non agiscono più in base ai loro desideri, alla loro voglia di scoprire, ma sono assoggettati a interessi esterni e non hanno alcuna coscienza delle conseguenze. Per capire meglio cosa sta accadendo con l’intelligenza artificiale è arrivato il tempo di smettere di interrogare gli ingegneri e parlare invece con chi subisce le conseguenze della tecnologia. Nel mio prossimo libro analizzo il caso di Geoffrey Hinton (uno dei padrini dell’intelligenza artificiale, ndr) che a 75 anni con un gran coraggio si è dimesso da Google perché si è reso conto che l’intelligenza artificiale si è spinta  troppo avanti.  Come hanno fatto queste persone a non rendersi conto di ciò che accadeva? Sam Altman e Elon Musk come fanno a fare questi discorsi così schizofrenici? Pubblicano una petizione in cui sostengono: questo sistema va troppo in là, eppure vi partecipano da quindici anni? Non possiamo prenderli sul serio».

 

Il Parlamento europeo ha approvato il 14 giugno scorso la sua posizione sull’AI act, il regolamento sull’intelligenza artificiale europeo. Ha votato contro l’utilizzo di sistemi di identificazione biometrica negli spazi pubblici come per esempio il riconoscimento facciale, in tempo reale. Che peso ha questa decisione?
«Per ora è solo una tappa, ma c’è una grande confusione sull’argomento. Ed è tragicomico vedere Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, che è stato per dieci anni amministratore delegato di Atos (grande compagnia di servizi IT, ndr) e ha investito miliardi sul computer quantistico, che accelera i meccanismi di cui parliamo. E ora fa il grande sceriffo che mette in guardia l’opinione pubblica sui rischi connessi all’industria digitale e annuncia che finalmente l’Europa erigerà un muro per proteggersi. Ma chi vogliono prendere in giro? Quanto all’Ai Act il punto più importante è che non ci saranno gli eccessi che esistono in Cina: l’analisi dei comportamenti, il divieto per alcune persone di compiere certe azioni se hanno una cattiva reputazione. L’Ai Act dice solo che l’Europa si prenderà cura dei dati personali, proteggerà il diritto d’autore, impedirà le discriminazioni. Ma detto questo, a cosa serve? In realtà sostiene lo sviluppo dell’industria, dell’intelligenza artificiale e dell’Ai generativa. Oggi invece è il tempo di elaborare grandi leggi che rispettino il diritto naturale, come le leggi contro la pena di morte, il razzismo, le discriminazioni».