Resistenti
«I cittadini sono stanchi di veder spuntare centri commerciali. Chiedono spazi verdi e pubblici»
Il crollo nel cantiere di Firenze ha alimentato proteste e indignazione. È ora di inchiodare politica, sindacati e committenze alle loro responsabilità nelle morti sul lavoro. E nella speculazione edilizia che sfigura il territorio
Il 16 febbraio scorso, a Firenze, una trave di cemento armato cede durante i lavori di realizzazione della nuova Esselunga in costruzione in via Mariti. Cinque operai perdono la vita. Dopo la demolizione dell’ex Panificio militare, già da anni al centro di diatribe e polemiche, a Firenze s’iniziava a costruire l’ennesimo centro commerciale. I quartieri di Novoli e Rifredi, come il resto di Firenze e tante, troppe città italiane, sono soggetti a speculazione e guerre concorrenziali fra i colossi della grande distribuzione. Si trattava di un terreno pubblico, su cui da decenni si chiedeva di fare un parco, che nel 2014 è stato venduto dall’amministrazione Renzi a privati. Dopo una serie di cambi di proprietà, il terreno è arrivato a Esselunga. Il sindaco Dario Nardella, qualche giorno dopo la strage, ha dichiarato che un parco sarebbe stato fatto da Esselunga come opera compensativa e ringraziava, personalmente, Esselunga per la sua realizzazione. Spazio, peraltro, a uso e gestione del supermercato stesso, dunque non pubblico.
Per queste ragioni la neonata “Assemblea 16 febbraio” ha lanciato, assieme ad altre iniziative, una raccolta firme, affinché venga realizzato al posto del centro commerciale di Esselunga un parco intitolato ai lavoratori che hanno perso la vita: Luigi Coclite, Mohamed el Ferhane, Bouzekri Rahimi, Mohamed Toukabri e Taufik Haidar. Nelle parole dell’Assemblea: «Per i lavoratori caduti sotto il peso del profitto». L’Assemblea, però, non si ferma qui: fa un discorso più ampio sul lavoro, posiziona queste cinque morti nelle 181 che ci sono state dall’inizio dell’anno. Ogni singola morte sul lavoro era una morte evitabile: è responsabilità delle aziende, quei giganti che, come nel caso specifico di Esselunga, hanno appaltato e subappaltato più di 60 volte il cantiere e tuttavia questo, per loro, basta a lavarsene le mani.
Nelle parole dell’Assemblea: «Bisogna individuare le responsabilità politiche, evidenti, dell’accaduto, in primis del governo Draghi e del via libera al subappalto a cascata. In secondo luogo, del sindacalismo confederale, cioè di Cgil, Cisl e Uil che hanno firmato e accettato quegli accordi». E ancora: «Vedere le passerelle di Maurizio Landini, Elly Schlein ed Eugenio Giani non ci torna per niente perché i responsabili sono coloro che hanno determinato la situazione lavorativa per quella che è. Dall’altro lato, anche la committenza è assolutamente responsabile: l’accettazione dei preventivi a massimo ribasso con lo scopo di essere competitivi incide direttamente sui lavoratori e sulla loro sicurezza, accelerando le tempistiche. Esattamente ciò che è successo in via Mariti: la gettata al piano di sopra, avvenuta in tempi troppo stretti, ha determinato il crollo, nonostante le rimostranze dei lavoratori ai capi. Quindi la responsabilità è delle ditte e della committenza di Esselunga».
Queste energie convergono nella manifestazione di sabato 23 marzo davanti all’Esselunga di Novoli. Non è un mistero che il gigante dell’agroalimentare faccia investimenti strategici in quartieri in via di gentrificazione: dopotutto è esattamente la stessa strategia che sta cercando di adottare a Torino nel parco Artiglieri di montagna. Anche lì, però, con il comitato “Esse Non”, ci si oppone al tentativo di costruzione. Che la cittadinanza abbia bisogno d’altro? «Spazi verdi e pubblici» non è solo uno slogan: è una progettualità popolare.