Editoriale
Sanità in attesa tra promesse e drammi reali
Il ricorso ai privati dovrebbe essere un’eccezione. Le uguali opportunità di cure la norma
Questa settimana L’Espresso dedica la copertina a una delle piaghe più urgenti e sentite della sanità italiana: le liste d’attesa. Un tema che continua a suscitare dibattiti e preoccupazioni, soprattutto alla luce del recente decreto Liste d’attesa, ora diventato legge con il via libera definitivo del Parlamento. Tra polemiche e speranze, cerchiamo di capire cosa cambierà davvero per i cittadini italiani.
Il contesto attuale è desolante: tempi biblici per esami fondamentali come un'ecografia all'addome che possono raggiungere i 498 giorni, oltre un anno e mezzo. Il nuovo provvedimento del governo mira a ridurre drasticamente queste attese, ma le critiche non mancano. La sinistra accusa l’esecutivo di promuovere una privatizzazione mascherata della sanità pubblica, senza peraltro fornire le coperture finanziarie necessarie.
La norma "Salta-Fila" introduce la possibilità di ottenere visite ed esami entro i tempi stabiliti dalla legge. Se l’ospedale pubblico non è in grado di rispettare tali scadenze, l'ASL dovrà garantire la prestazione in una struttura privata accreditata o ricorrendo alla libera professione dei medici ospedalieri. Il paziente pagherà l’equivalente del ticket, senza costi aggiuntivi. Tuttavia, i dati raccolti nell’inchiesta della nostra Gloria Riva evidenziano già le attuali difficoltà nel rispettare i tempi di legge.
Un altro aspetto del decreto prevede l'estensione degli orari di apertura delle strutture sanitarie, comprese le giornate di sabato e domenica, per esami e visite. Un’apertura straordinaria è prevista anche per i centri di trasfusione, al fine di garantire l’autosufficienza del fabbisogno di sangue. Sono misure che, sulla carta, potrebbero migliorare la situazione, ma la loro reale efficacia dipenderà dalla capacità di implementazione e attuazione.
La nostra inchiesta ha raccolto dati inediti da Cittadinanzattiva, rilevando attese superiori a un anno per semplici esami in diverse regioni. Un quadro allarmante che mette in luce l'urgenza di interventi concreti. La medicina territoriale e l'assistenza domiciliare potrebbero rappresentare una svolta positiva, ma molte infrastrutture necessarie sono ancora in fase di progettazione o costruzione.
Un dato drammatico emerge su tutti e riguarda il 10% della popolazione che, di fronte a una malattia, rinuncia a curarsi a causa delle lunghe liste d’attesa e dell’impossibilità economica di rivolgersi alla sanità privata. Questo fenomeno rende le liste d’attesa la principale causa di rinuncia alle cure in Italia, una situazione inaccettabile per un Paese che si vanta di un sistema sanitario nazionale tra i migliori al mondo.
Esiste inoltre il fondato sospetto che in alcune regioni le liste d’attesa siano state gestite in modo tale da favorire il ricorso alla sanità privata, che negli ultimi anni ha registrato un notevole aumento. Ma un servizio sanitario nazionale efficiente dovrebbe garantire a tutti i cittadini l’accesso alle cure necessarie senza discriminazioni. Il ricorso obbligatorio al privato, previsto dal decreto, dovrebbe essere un’eccezione temporanea e totalmente rimborsato, non la norma. Altrimenti, il rischio è di creare un sistema sanitario a due velocità, dove solo chi può permettersi di pagare ottiene cure tempestive e di qualità.
La verità è che l'Italia ha bisogno di un vero e proprio piano di investimenti nella sanità pubblica, che comprenda l'assunzione di personale, il potenziamento delle infrastrutture e la digitalizzazione dei servizi. Solo così potremo garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, come sancito dalla nostra Costituzione. Le promesse del governo devono trasformarsi in azioni concrete e monitorabili, per evitare che questo ennesimo decreto si traduca in un fallimento per mancanza di fondi. La salute dei cittadini deve tornare a essere una priorità assoluta, al di là di ogni polemica politica.