
Queste erano le mete domenicali della Milano popolare. La borghesia ricca andava in vacanza a Courmayeur, Cortina, Madonna di Campiglio. Operai e impiegati invece portavano i figli del boom demografico quassù. Poco più di un’ora di macchina dalla città, sci da autunno a metà marzo, la scuola per i bambini, i genitori seduti a bordo pista ad ammirarli. E poi le sfide tra i futuri campioni: il Trofeo Topolino a Pian del Tivano, la Coppa Europa ad Alpe Paglio. Di quell’epopea, nata poco meno di cinquant’anni fa, oggi restano i piloni nel bosco che ha riconquistato la sua vita ovunque: ferri, carrucole, cavi in mezzo a betulle, noccioli e abeti fischiano sinistri nelle nottate di vento, come monumenti a un turismo meccanizzato ormai arrugginito. La crescita delle temperature medie taglia in due anche la società urbana: chi se lo può permettere continua a frequentare le località più costose delle Alpi, gli altri hanno smesso di sciare.
Il 2019 si chiude con nuovi record climatici ancor più accentuati nel Nord Italia: la scorsa estate è stata la terza più calda di tutti i tempi. L’Arpa Lombardia, l’Agenzia regionale protezione ambiente, ha rilevato anomalie nella media delle temperature minime giornaliere di +3,6 gradi e per le temperature massime di +3,9 gradi, rispetto al periodo di riferimento 1981-2010. Una crescita di circa un grado ogni dieci anni, con un’apparente accelerazione sopra i due gradi dal 2015 a oggi. La pianura lombarda sta così crescendo la sua prima generazione di bambini che non hanno mai giocato con la neve davanti a casa. Anche chi è nato nel 2010 era troppo piccolo per ricordare l’ultimo inverno freddo del 2012.
Qualche volta nevica ancora. Perfino a Milano. Ma tranne le eccezioni, che possono sempre capitare, l’inverno non scende più di molti gradi sotto zero. Così i fiocchi, quando arrivano, cadono su un terreno bagnato e mite. Avviene proprio questo durante la misera nevicata in pianura, la mattina di venerdì 13 dicembre. Una gioia di poche ore per i più piccoli. Già nel pomeriggio, il sole rimuove ogni traccia di bianco. Sabato la temperatura risale e sfiora i dieci gradi. Domenica supera i sei. Lunedì otto e pioggia. Invece di nevicare, piove anche in montagna. Sia ai mille metri di Pian del Tivano, con quattro gradi alle sette e mezzo del mattino. Sia all’Alpe Paglio, con massime fino a cinque gradi, sopra gli oltre mille e quattrocento metri di quota della pista Cuccher. È la settimana prima di Natale e dovrebbe essere una delle più fredde dell’anno.
Natale Bellieni, 85 anni, con il fratello Pietro, 82, è il pioniere che ha portato gli impianti di risalita a Pian del Tivano: «Sì, quello che manca oggi è il freddo. Magari gela qualche giorno, poi torna il caldo. Magari mette giù cinquanta centimetri. Poi soffia un vento mite e tira via tutto. Gli inverni più freddi sono quelli tra il 1977 e il 1985», racconta Bellieni: «La temperatura allora era costante e fino al 1987 abbiamo avuto tanta neve. Oggi se fa un po’ di freddo, quando poi arrivano le nuvole l’aria si riscalda. E piove. Un clima così è troppo instabile. Non si possono più fare progetti».
Bellieni aveva cominciato con lo sci nautico. Un campione: «Facevo velocità. Da Pavia a Venezia attraverso il Po in cinque ore», ricorda con un sorriso: «Il primo impianto a Pian del Tivano lo portò nostro padre. Era segretario comunale a Ballabio, vicino a Lecco. Ai Piani di Bobbio smontarono la vecchia manovia e la ritirò lui. Abbiamo cominciato con quel cavo a motore. Dal 1973 abbiamo poi aperto l’albergo del Dosso, gli skilift e la pista di fondo. Quell’anno ho conosciuto Iolanda e ci siamo sposati». Lei maestra elementare, arrivata da Bisaccia in provincia di Avellino, accompagnava a Pian del Tivano i suoi alunni per il corso pomeridiano di sci. Lui maestro di discesa, bell’uomo, imprenditore turistico. «Io non ho mai sciato», ride ora la moglie, Iolanda Fratianni, 71 anni, «ma è stato amore a prima vista».
La scomparsa della neve però presenta il conto anche qui, a mille metri. Vent’anni fa chiudono gli skilift. Ma per un altro decennio il figlio di Natale e Iolanda, Stefano, che oggi ha 37 anni, e lo zio Pietro non si arrendono: «Abbiamo continuato con il decespugliatore a pulire le piste dalla ricrescita del bosco. Non si sa mai, ci dicevamo. Prima o poi l’inverno ritornerà come prima». Oggi rimane aperto, se c’è abbastanza neve, soltanto il tracciato di fondo gestito dal piccolo sci club. Il clima intanto rimescola temperature e destini familiari. E sei anni fa i Bellieni devono chiudere il loro albergo e mettere in vendita i muri.
Alla vigilia della prima nevicata dell’inverno 2019-2020, sul versante opposto della piana accanto alla distesa di pannelli della centrale solare, cresce una mediterranea rassegna di ginestre ancora verdi a dicembre, ultime immigrate floreali a queste altitudini. Cento asini sono tuttora al pascolo da maggio. E risuona nell’aria il motore di un tagliaerba.
Il sole obbliga Nicola Casalino, 61 anni, a curare il prato come fosse primavera. Ha da poco rilevato l’ “Antica locanda Fuin” e prepara il giardino per i clienti del fine settimana. Scomparso lo sci, arrivano escursionisti e amanti della cucina tradizionale. «Vengono in treno per il weekend da Milano, Venezia, Parma», dice il proprietario mentre spegne per un attimo il tagliaerba: «Scendono alla stazione di Como e salgono con la funicolare a Brunate, sopra il lago. Poi camminano fin qui. Certo, dover tagliare il prato a dicembre spiega meglio di tanti discorsi cosa stia succedendo al nostro clima».
Davanti al “Ministro”, l’altro ristorante lungo la strada che collega la montagna con il lago di Como, il pullman della linea C32 è fermo al capolinea. L’autista, Mario Carugo, 49 anni, beve un caffè al bar e rivela che sono cinque anni che non deve mettere le catene per salire a Pian del Tivano: «Anche quando nevica, non gela come prima e le strade restano pulite». Qualche agricoltore accanto a lui gli ricorda che a inizio maggio 2018 le catene hanno dovuto montarle, eccome. Ma non per la neve: per venti centimetri di grandine. Quarantacinque minuti di bombardamento che ha danneggiato tetti, alberi, auto. «Un temporale pazzesco, come ai tropici», racconta Imerio Invernizzi, 57 anni, proprietario del ristorante “Ministro” e discendente di una famiglia che da quattro generazioni è la memoria storica di queste montagne lombarde: «Prima un palo non lo piantavi d’inverno, tanto il terreno era gelato, duro come cemento. Due anni fa invece stavamo fuori in maniche corte a gennaio. Da noi crescevano solo broccoli, verze e insalata. Oggi coltiviamo pomodori, cetrioli, peperoncino piccante. Oltre ai caprioli, nei nostri boschi sono risaliti cinghiali e mufloni. Sono invece scomparsi aironi, cicogne, anatre, viscarde, tordi e le rondini, che un tempo ti entravano in casa. Il cambiamento è diventato evidente dalla fine degli anni Novanta. Lo scorsa estate alle undici di sera c’erano ancora 29 gradi a mille metri. E da due anni abbiamo scorpioni ovunque, mai visti da queste parti». La sera del 9 dicembre ne scopre uno il figlio, Francesco Invernizzi, 31 anni. Diffonde la notizia su Whatsapp: «Appena trovato a casa mia», scrive sotto la foto di un Euscorpius italicus di quattro centimetri, il cui veleno è comunque paragonabile a quello di una vespa.
Tanta energia nell’atmosfera si scarica con piogge sempre più violente e concentrate nel tempo. Nel giro di poche settimane due alluvioni hanno investito nel 2019 le Prealpi lecchesi intorno ai paesi di Premana e Casargo: 209,2 millimetri di pioggia in diciotto ore l’11 giugno, 108,8 millimetri in un’ora il 6 agosto. Un record per gran parte del Nord Italia, con massi e tronchi sparati come proiettili dentro i canaloni dei torrenti. Alpe Paglio e la sua pista Cuccher, che nel 1984 portò al secondo posto sul podio il diciassettenne Alberto Tomba, sono proprio sopra Casargo. L’unico residente del piccolo agglomerato di case è Giovanni Acerboni, l’artefice di quegli anni di neve, sport e ottimismo a un’ora e mezzo da Milano. Gli apripista delle gare internazionali qui erano campioni della Valanga azzurra come Gustav Thoeni e Fausto Radici.
Il Signor Giovanni, così lo chiamavano i bambini che venivano a sciare dalla valle, oggi ha 90 anni. Curava e pettinava quell’unica sua pista di due chilometri come un giardiniere tiene un’aiuola di fiori: «Lo skilift l’abbiamo fermato nel 2003 dopo trent’anni, poiché era terminata la vita tecnica dell’impianto», racconta: «Avremmo dovuto sostituirlo con una seggiovia, ma costava troppo. Poi le nevicate hanno cominciato ad arrivare tardi, anche a febbraio. E le temperature a risalire presto, a marzo. È successo anche di peggio: quando dovevo pagare l’acquisto dell’ultimo gatto delle nevi, non è nevicato per due inverni di fila. Ho avuto davvero paura di non farcela con le rate».
«Guardi qua», dice adesso Giovanni Acerboni e indica le eriche del suo giardino a millequattrocento metri che stanno fiorendo con oltre un mese di anticipo. La pista, verticale come il collo di un cobra, ci guarda dall’alto. Lì accanto, la prima neve copre la rotaia del bob estivo, la nuova attrazione per i turisti: «Me l’ha suggerito un amico di Vigo di Fassa. Un giorno mi dice: non hai capito che con l’inverno non si campa più? Ma io spero nelle Olimpiadi invernali a Milano. I nuovi impianti di innevamento a cinquanta atmosfere non hanno bisogno di temperature particolarmente basse. La pista è esposta a Nord, è il luogo ideale dove allenare una squadra. Chissà», sogna ancora Giovanni Acerboni. Quando ha messo gli sci l’ultima volta? «L’inverno scorso», risponde lui, piuttosto piccato per la domanda.
Alle sette di sera la temperatura è ancora tre gradi sopra lo zero. Illuminati dalle stelle e da una luna meravigliosa, piccoli gruppi di escursionisti affrontano al contrario la storica pista. Spingono in salita i loro sci d’alpinismo sui pochi centimetri di neve. Mentre le torce di quelli già arrivati in cima tracciano movimenti silenziosi nel buio della discesa. Brilla così lo spettacolo di una generazione che si è già adattata al nuovo clima.