Il ministro della giustizia si è tenuto per ultima la materia più ardua: quella delle intercettazioni. Un compito delicatissimo, che si intreccia con la tempesta dell’inchiesta Consip

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Ci risiamo. Al quarto anno da ministro, al terzo dall’annuncio della riforma a trenino della giustizia, Andrea Orlando si ritrova faccia a faccia con la prova del nove, il simbolo contro il quale negli ultimi dieci anni ?si sono andati a spalmare almeno ?un paio di governi forse persino più attrezzati del suo, la norma su cui Clemente Mastella ha fallito come Guardasigilli e su cui s’è consumato ?il divorzio tra Fini e Berlusconi, ?il filo stendi-panni di un’epoca. ?In una parola: le intercettazioni. Qualcosa per cui è capitato di invocare pure l’esorcista. Servirà anche stavolta?

Arriva giusto ora l’autunno più caldo, per Orlando: approvata in estate la riforma del processo penale, deve mettere nero su bianco le regole che tradurranno in pratica i principi contenuti nella legge, con un decreto legislativo che dovrà essere pronto entro l’inizio di novembre. ?Un compito delicatissimo, anche perché si intreccia con la tempesta dell’inchiesta Consip, portando l’opposizione (Cinque stelle in testa) ?a sventolare la bandiera del rischio ?di norme ad personam. I primi passi sono da manuale: l’apparire delle bozze del testo - soprattutto ?la previsione di far sparire dai provvedimenti i testi delle conversazioni, riportando solo ?i riassunti - ha fatto arrabbiare magistrati e avvocati, dando il là ?a una marcia indietro.

La prima, ?per lo meno. Quello di finire a mo’ ?di criceto sulla ruota, è in effetti ?un esito talmente possibile ?da essere già comparso in forma ?di Cassandra, incarnata nel redivivo ?e magro Silvio Berlusconi che una settimana fa, da Fiuggi, annunciava spavaldo: «Una volta al governo, proponiamo la revisione delle intercettazioni». Brividi, groppo ?di nausea: non si quaglia ?neanche stavolta?

In realtà, a partire dall’aria che ?si respira intorno a questa trattativa, le differenze non sono poche. ?Almeno negli obiettivi teorici: stavolta non ci sono sanzioni per i giornalisti, né gravi limitazioni ai magistrati ?di disporre ascolti; anche se non ?si è ancora capito come si riesca realizzare quella “necessaria maggior privacy” di cui si parla da inizio legislatura per tutelare chi finisce intercettato (i soggetti terzi, anzitutto), senza provocare, di fatto, un giro di vite che finisca per comprimere tutto ?il meccanismo degli ascolti.

Aiuta, all’esito, il fatto che Andrea Orlando non sia Angelino Alfano. ?Che tanto meno Gentiloni somigli ?a Berlusconi, come pure a Renzi. Dunque stavolta niente barricate, corse, spaccature nette: niente, tendenzialmente. Sussurri. Aperture ?di dialogo. Complice anche un fatto non da poco, cioè la marginalizzazione del Parlamento: trattandosi di una delega al governo, il grosso del lavoro sarà fatto tra uffici legislativi e incontri al ministero; di corrida parlamentare poco, pochissimo (saranno le commissioni di Camera e Senato ?a dare i loro pareri, peraltro non vincolanti). Insomma un nulla pacatamente produttivo, appena ?sotto le crepe di una maggioranza ?che pure sulla giustizia ha avuto ?i suoi maggiori scontri: in fondo, ?sotto questo profilo, il marchio ?di una legislatura.

Anche per quel che riguarda l’esito del diverso approccio, tra Renzi e il Guardasigilli: l’uno voleva tutto e subito, l’altro era per spacchettare, rinviare, sopire. Tenere buoni rapporti con la magistratura, sedare gli alleati di Ap, come pure ?il vasto e composito mondo berlusconiano, che un ruolo d’ombra ha pure avuto: basti ricordare ?con quale evidente ruolo di spaventapasseri il senatore di Ala ?Ciro Falanga partecipava alle riunioni in cui si decideva sulla prescrizione (pur non essendo in maggioranza).

Ecco, giunti quasi al capolinea, ?si può dire che quanto a metodo ?alla fine ha prevalso Orlando. ?Mentre Renzi si lanciava nel referendum e nelle dimissioni, una legge di riforma del processo penale ?il Guardasigilli l’ha condotta in porto, sia pur a tratti insufficiente, sbilenca, di tampone, e in parte a rischio di restare una scatola vuota (tra le deleghe che il governo dovrà mettere in pratica c’è materia di peso come ?la riforma dell’ordinamento penitenziario e quella sul regime ?delle impugnazioni: c’è un anno ?di tempo per realizzarle, chissà).

Sopravvissuto dunque a Renzi, Orlando, ma al prezzo non basso ?di mutuare da Renzi il suo stesso livello di realizzazione pratica: quello grosso modo che dalla montagna ?fa discendere un topolino. ?Oppure l’obbrobrio, dipende. ?È tra questi due risultati che ?si gioca la partita intercettazioni. ?Per il momento, il ministro ha disconosciuto la paternità della scelta di ridurre le intercettazioni a riassunto, a “sunto del sunto” nelle ordinanze, ?in un andamento a matrioska che, secondo molti tra cui l’avvocato ?Giulia Bongiorno, costituirebbe ?un forte sbilanciamento di poteri. ?Ma non ha ancora fornito una nuova soluzione.

Nello stesso modo, non ?ha ancora voluto sottolineare un’altra parte del testo, piuttosto innovativa: quella che cambia sostanzialmente ?la disciplina sui reati più gravi contro la pubblica amministrazione, per ?i quali diventa più facile disporre intercettazioni ?(le norme si avvicinano a quelle con ?le quali si procede per reati di mafia ?e terrorismo). Chissà forse Orlando ?si tiene la novità per il finale, a mo’ ?di bandiera: sempre che non venga azzoppata pure questa.