La disuguaglianza nel mondo è anche tra i passaporti
Un esempio? Per un europeo andare in qualsiasi parte di Africa è facilissimo, per un africano anche viaggiare dentro l’Africa è un calvario. Se ci fossero più opzioni per i giovani le scelte sarebbero diverse. Perché la migrazione è una delle opzioni. Non l’unica
I passaporti non sono tutti uguali. A cambiare non è solo il loro colore, ma anche il peso che hanno sul mercato della mobilità. Ci sono passaporti a cui è concessa una mobilità veloce, comoda e sicura. Altri invece sono considerati carta straccia. Di fatto c’è una grande diseguaglianza di viaggio quando si tratta di corpi in movimento. Di questo me ne sono accorta vedendo com’è cambiato il viaggio all’interno del mio nucleo famigliare.
Sono di origine somala e i miei genitori quando sono venuti in Italia (e hanno poi chiesto asilo) sono venuti in aereo e con il loro passaporto somalo. Il viaggio era possibile per chi proveniva dal sud del mondo e non solo ai membri delle élite. Negli anni Ottanta del secolo scorso i somali viaggiavano parecchio in aereo. Molti cugini andavano a lavorare in Libia (la Libia non era l’inferno in terra di oggi) nelle piattaforme petrolifere. E qualcuno si allungava fino in Italia per salutarci. Ho un fratello che ha studiato nell’allora Cecoslovacchia. E ho questo ricordo di parenti che viaggiavano in lungo e largo per il globo.
Addirittura alcuni parenti ci venivano a trovare dalla Somalia e poi tornavano indietro. Era possibile. Poi è arrivato il 1989, non c’è stata la fine della storia come aveva previsto Fukuyama, ma al contrario stava per cominciare una storia brutta, sporca e cattiva dove un muro cadeva a Berlino e un altro si innalzava al centro del Mediterraneo e in varie altre zone di frontiera. Il viaggio per chi deteneva passaporti deboli, spesso passaporti di paesi del sud del mondo, divenne di fatto impossibile. E lentamente le frontiere di quello che dopo l’89 abbiamo cominciato a chiamare Fortezza Europa, non solo si sono esternalizzate sempre più a sud (Libia, Niger), ma sono quasi diventate delle linee di confine tracciate sul corpo stesso di chi deteneva passaporti deboli. Non a caso il filosofo camerunense Achille Mbembe parla spesso di corpi-prigioni, corpi segregati. Di fatto, se pensiamo all’Africa, è il corpo dell’africano ad essere diventato la frontiera. È il suo corpo ad essere scacciato e vilipeso. Achille Mbembe parla infatti di un nuovo ordine globale della mobilità dove ad alcuni corpi (quelli delle zone più ricche del mondo e più vecchie: Europa, Americhe, parte di Asia) è concesso un viaggio sicuro e rapido, mentre ad altri corpi non è concesso nulla.
Chi ha un passaporto debole si mette in viaggio sapendo che attraverserà torture e soprusi. Basta guardare in rete il Passport Index per sapere quanto vale un passaporto, e quindi la vita legata a quel passaporto. Nei primi posti, a chi è concesso tutto, ci sono Emirati Arabi Uniti, Finlandia, Stati Uniti, ma anche Italia. Agli ultimi posti Eritrea, Somalia, Afghanistan. Un vero stato di apartheid di viaggio dunque. Con al centro vari paradossi. Per esempio per un europeo andare in Africa, in qualsiasi parte di Africa è facilissimo, per un africano anche viaggiare dentro l’Africa è un calvario. Non vengono concessi visti e quando sono concessi sono costosissimi. Ora l’Unione Africana sta discutendo sulla creazione di un passaporto dell’Unione africana per liberalizzare i viaggi degli africani. È stato fatto un paio di anni fa pure un modello di passaporto. Ma la discussione, che ha il plauso di molti intellettuali che vedono in questo l’unica soluzione per l’Africa (un continente che oggi è esso stesso terra di migrazioni da parte di cinesi, turchi, russi ecc), sta andando avanti.
In Europa invece il dibattito è bloccato. Si parla delle conseguenze dei mancati viaggi legali (i trafficanti che lucrano sul viaggio, gli sbarchi, le morti nel Mediterraneo), ma mai della causa principale, ovvero il blocco della mobilità. Inoltre il paradosso più grande è che la percentuale degli africani che decidono di venire in Europa non è altissima. Ma l’ossessione razzista-colonialista che serpeggia nel continente più vecchio del mondo (e in parte delle sue élite) fa parlare tutti di invasione. Serve una inversione di tendenza del dibattito. E vedere tutto sotto un altro punto di vista. Non sarebbe meglio che un ragazzo somalo, eritreo, nigeriano invece di pagare (facendo ricattare la sua famiglia) un trafficante, potesse con quei soldi pagarsi una pensione, un corso all’università, un interail per vedere l’Europa, un biglietto per andare da qualche altra parte o tornare indietro? Di fatto impedendo il viaggio legale stiamo costringendo tante persone alla migrazione forzata. Se ci fossero più opzioni per molti ragazze e ragazze (perché sono i giovanissimi ad intraprendere questi viaggi) le scelte sarebbero diverse. La migrazione una delle opzioni di viaggio. Non l’unica.