I rapporti (complicati) con il Pd. Quelli con il premier Conte. E le iniziative sui territori, da primavera. Così i ragazzi che hanno risvegliato la sinistra preparano le prossime tappe

sardex1-jpg
Non hanno un’età. Sono un movimento, ma non si fanno chiamare così. Sono di sinistra, moderatamente o no, ma senza mai specificarlo, se non nelle azioni. Usano i social network, ma ne vogliono la regolamentazione. Nati per contrastare Matteo Salvini, in due mesi hanno invaso le piazze di tutta Italia, da Bologna alla Calabria, da Milano alla Sicilia, fino a tornare domenica 19 gennaio nel capoluogo dell’Emilia-Romagna dove una settimana dopo, il 26, si vota per le Regionali. E ora in molti si chiedono che cosa faranno dopo quel voto, dove andrà questo gruppo di pesci che non vuole essere un partito ma conta più di tante sigle presenti in Parlamento.

[[ge:rep-locali:espresso:285339620]]Tutto è cominciato da una pagina Facebook, apparsa come l’invito a un evento, con il nome di “stretti come sardine”. Ideatori ignoti. Unica richiesta portarsi appresso un cartone con un pesciolino disegnato, la sardina appunto.

È il 14 novembre, sono le 18.30, al Paladozza di Bologna il segretario della Lega Matteo Salvini sta per aprire la sua campagna elettorale in Emilia Romagna, fino a quel momento una marcia trionfale, al posto del palco un ring da lotta di wrestling. Salvini sfila in mezzo alla gente, si lascia baciare, idolatrare, fotografare. «È il tempo di liberare questa regione», urla mentre nomina “Bibbiano e i suoi bambini” (dove tornerà il 23 gennaio per chiudere la campagna elettorale). A lato del palco c’è Lucia Borgonzoni, 43 anni, senatrice e candidata designata dalla Lega, ascolta e annuisce, invisibile e quasi mai nominata.

Fuori i centri sociali infuriano contro la polizia. Una prima barricata. Urlano «Salvini merda», tirano bottiglie, si accalcano alle transenne e vengono respinti con gli idranti. «Ecco quattro cretini, mi dispiace per la polizia che rischia la propria pelle», dice il segretario leghista vestito per l’occasione da cantautore bolognese. Ma non sa ancora che i suoi avversari più temibili non sono quelli dei centri sociali. Si stanno raggruppando in piazza Maggiore, per un flash mob, che tradotto significa raduno di persone convocate improvvisamente. Di fronte al Duomo si accalcano con una sardina in mano appiccicata a un bastoncino. Sono in diecimila, quattromila in più rispetto ai fan di Salvini chiusi dentro il Paladozza. Sono silenziosi, perché con il loro mutismo da pesci vogliono contrapporsi agli urlatori populisti. Le telecamere si spostano, dalla protesta degli antagonisti si dirigono verso il centro di Bologna, dove d’improvviso qualcuno intona un “Bella Ciao”.

È l’inizio delle Sardine.

Ma se il momento della nascita è stato imprevisto e travolgente, il futuro appare ancora avvolto nella nebbia emiliana. Mattia Santori, 32 anni, diventato ormai per i media il leader del movimento, spiega le mosse dell’ultima settimana prima del voto: «Un viaggio che toccherà i luoghi più remoti della nostra regione, dall’Appennino passando per la bassa fino al Delta del Po e la costiera romagnola. È qui che andremo ad accendere la necessità di ascolto di tutte le valli». Ma per il resto si dovrà attendere il conclave e la fumata bianca della due giorni di marzo, quando le Sardine si riuniranno a livello nazionale, ma non chiamatelo congresso: «Abbiamo detto che ci incontreremo prima dell’inizio della primavera per fare il punto su ciò che accadrà nelle prossime settimane, guardarci negli occhi e concretizzare le iniziative già ideate in tutte le province d’Italia. Saranno tante e in tutte le occasioni ci sarà un confronto. Tutti hanno il diritto di essere ascoltati».

Il paese delle sardine
Sardine, da Marracash ai Subsonica: ecco la scaletta del concerto di Bologna in anteprima
15/1/2020
Per ora si può dire che non sono anti-sistema, non sono anti-ideologici, non sono anti-casta, non sono neanche intenzionati a diventare un partito, nonostante parlino e vengano trattati come tale. Sondaggi, opinioni, corteggiamenti. Dal Pd di Nicola Zingaretti, prima di tutto, che vorrebbe spalancare le porte del partito. Ma dopo due mesi è arrivata anche la chiamata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, desideroso di chiedere loro un incontro. Lorenzo Donnoli, uno dei volti televisivi del movimento, racconta: «In merito alla chiamata non siamo né lusingati né sorpresi. È significativo che il presidente del Consiglio ascolti le piazze e ci chieda un incontro, dove vorremmo chiedere l’abrogazione dei terribili decreti sicurezza che lui firmò». Poi l’affondo: «Ci terrò a essere presente per incoraggiarlo di persona ad abrogare i decreti In-sicurezza, con cui si è meritato la mia disistima e quella di milioni di italiani di buon senso: questo incontro potrebbe essere molto utile e sono certo che il premier non lo faccia per protagonismo o per ritagliarsi un futuro politico».

“Scrollare” significa mettere il proprio indice sullo schermo del cellulare e iniziare a scorrere una pagina web. Quando si digita la parola “sardine” il pesce pelagico scompare e viene sostituto da questo movimento fluido che nuota contro le “forze populiste”, come affermano sempre, ma non controcorrente. Lo dice Emanuele Tumedei, sardina di Forlì: «Più che un movimento siamo un gruppo di persone di diverse età che nasce come risposta alla chiusura dei populismi, perché stanchi di vedere una stagnazione, se non retrocessione, su certi temi che dovrebbero essere già stati sdoganati da tempo. Così abbiamo deciso di farci sentire direttamente scendendo nelle piazze tra la gente».

Dicono di non avere un partito di riferimento, ma dialogano con il Pd, anche se per il momento sono incerti se entrare o meno nell’atrio del Nazareno. Maurizio Tarantino di Ferrara, anche lui nel direttivo nazionale (ma, di nuovo, guai a chiamarlo così) rimane in attesa: «Le parole di apertura di Nicola Zingaretti sono qualcosa che dobbiamo condividere al nostro interno. Abbiamo la sensazione di una grande occasione di rinnovamento per la sinistra in Italia, avvertiamo questa responsabilità perché questo è un movimento di sinistra, quindi molti sarebbero favorevoli». Ma aggiunge: «Va però perseguita una reale e coraggiosa volontà di cambiamento soprattutto va cercato un qualcosa di nuovo, sia di nome che di fatto, qualcosa in grado di dare unità e di superare le divisioni, i signori delle tessere, un linguaggio che fa fatica a incontrare le istanze delle persone reali. Insomma, è tutto da fare».

Dopo due mesi rimane poco di quei quattro coinquilini: Mattia Santori, 32 anni, educatore; Roberto Morotti, 31 anni, ingegnere; Giulia Trappoloni, 30 anni, fisioterapista e Andrea Garreffa, 32 anni, guida turistica. Adesso hanno un volto, sono stati rimproverati più volte per il loro protagonismo televisivo. Hanno fondato le “6000sardine” durante un pranzo e con l’intento preciso di «evitare l’immobilismo di fronte all’avanzata di Salvini e salvare l’Emilia Romagna”. Garreffa di fronte al dilemma su cosa ci dobbiamo aspettare non ha certezze: «Non avrei saputo rispondere a questa domanda due mesi fa, quando tutto questo è iniziato. Figuriamoci ora. Qualunque cosa ci dobbiamo aspettare, lo aspetteremo assieme. Aspettare non serve a nulla. Occorre immaginare e fare qualcosa. Assieme. Solo così, forse, qualcosa potrà accadere».

Normali, anonimi, sconosciuti: nessuno ha mai sentito i loro nomi e per questo sono ancora più pericolosi. Non hanno la fama di Nanni Moretti quando lanciò i Girotondi, né sono figli della politica eppure la società civile li segue fiduciosa. Pacifici e quindi difficili da contrastare. Ma soprattutto ben calati nel territorio, come ad esempio Mariastella Baglioni: «Sono la mamma lavoratrice di un bambino di sette anni, single, con pochi strumenti di protezione sociale. Abito in una città, Taranto, alle prese con una delle sfide più difficili del nostro tempo, con una densità demografica in netto calo, senza università e con un reparto di onco-ematologia che nella mia città è stato finanziato dagli sms solidali o dalle vendite di magliette».

La storia
Jasmine Cristallo, la sardina simbolo della Calabria che resiste
13/1/2020
In due mesi hanno organizzato concerti, riempito piazze, scritto un manifesto. Sono stati criticati, ma dicono di aver risposto «al dramma del vuoto, perché senza quello probabilmente non sarebbe mai accaduto nulla». Dall’Emilia Romagna le Sardine hanno contagiato le altre regioni: dove c’era Salvini d’improvviso c’erano anche loro. E così a Salerno in Campania, in Valle d’Aosta, fino a Reggio Calabria dove si andrà al voto il 26 gennaio. Centotredici piazze in una manciata di giorni. Il 30 novembre quasi 30 mila persone si ritrovano a Firenze, il primo dicembre più di 25 mila persone vanno sotto il Duomo di Milano, mentre il 10 dicembre in 40 mila riempiono piazza Castello a Torino. Ma nell’entusiasmo generale, non manca l’accusa. Bravi sì, ma senza proposte. Michele Bruzzi, sardina di Cesena, replica: «Rappresentiamo un movimento per molti versi “generalista”, un movimento di buon senso, il cui vero progetto politico è quello che potrebbe sembrare il più banale del mondo: democrazia, uguaglianza, rispetto, libertà. L’apparente vaghezza sul posizionamento politico, l’assenza di un programma preciso o coerente sottolineata da alcuni osservatori non è, in questo senso, un sintomo della debolezza del movimento, ma della gravità della situazione politica che ci troviamo a vivere».

Insomma alla fine il programma arriva ed è negli eventi che si percepisce l’anima. Il 14 dicembre, il giorno di piazza San Giovanni a Roma. Un tir all’angolo del pratone verde, la maggior parte dei presenti non sente nulla. Gli ospiti scelti dettano la linea del movimento: Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa, divenuto parlamentare europeo con il Pd e Demos, fondata da Mario Giro della Comunità di Sant’Egidio, Giorgia Linardi portavoce di Seawatch, la ventiduenne transgender Luce Visco e Nibras attaccata per aver urlato «Sono una donna, sono musulmana e sono figlia di palestinesi», poi accusata insieme al marito di essere vicina ad Hamas. La scelta del luogo in cui tenere il primo incontro: lo Spin Time, l’edificio occupato in Santa Croce Gerusalemme numero 55 a Roma, quello in cui l’elemosiniere del Papa, il cardinale Krajewski, riattaccò la luce. A Bologna, di nuovo, con immigrazione, violenza contro le donne, volontariato.

Poi, domani, si vedrà. Come cantava il grande Lucio Dalla che rimbomba sempre nelle loro piazze: «Il pensiero come l’oceano non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare».