Aziende, università, politica e singole persone devono agire per arginare la vera emergenza del nostro Paese. Perché chi va via non lo fa solo per questioni economiche

Quando abbiamo lanciato un appello agli expat per tornare e cambiare il nostro Paese, lo abbiamo fatto affiancandolo a una ricerca che non lascia spazio a dubbi. L’Italia non pensa al suo futuro e non investe nella sua unica speranza per uscire dalle molteplici crisi: i giovani. Che quindi partono ogni anno a centinaia di migliaia e non tornano.

«Ma siete pazzi?» «Tornare in Italia per fare cosa?» «Tanto non cambia nulla, vi rovinate solo la vita», hanno scritto in tanti. Chi è ancora all’estero si aggrappa a ricordi, nostalgie e sogni, a volte ingenui. Chi è rimasto o tornato, si aggrappa al caffè buono e alla famiglia a due passi da casa. Ma anche alla felicità di sentirsi parte della svolta di cui ha bisogno il Paese e ai vari piccoli o grandi successi di chi è riuscito a migliorare le cose. Successi che hanno bisogno di essere amplificati e moltiplicati.

La lettera
"La vera emergenza nazionale non sono i rifugiati, ma gli italiani che vanno via"
21/1/2020
Tanti hanno scritto che loro ci stanno, vogliono affrontare questa sfida insieme e tornare in Italia, e sono anche pronti ad accettare uno stipendio più basso e le difficoltà iniziali. I problemi, spiegano, non sono questi, ma gli italiani stessi. La cultura di nepotismo e intrallazzi. La chiusura mentale e il degrado della mala gestione della cosa pubblica.

Quello che chiedono è un cambiamento culturale, a cominciare dal mondo del lavoro. Un aspetto a cui è difficile fare giustizia tramite i numeri della nostra ricerca, ma che emerge come centrale nelle lettere ricevute. Una cultura “vecchia” che sta frustrando chi è già tornato e spaventa chi vorrebbe tornare.



Tuttavia nessuno può generare un cambiamento culturale da solo: per farlo ci deve essere movimento. Un ritorno coordinato e in massa: l’insegnante mai partito, la cuoca già rientrata, l’ingegnere pronto a fare le valigie al contrario. Insieme. Iniziando da chi è rimasto o ritornato in Italia, senza dimenticare i tanti expat. Serve smetterla di aspettare che le cose cambino, perché da sole non cambieranno mai, che si parli di corruzione, nepotismo o inefficacia della classe politica.

È necessario che anche il sistema Italia lavori in questa direzione. Le università devono integrarsi con il mondo del lavoro, dare cattedre a chi le merita davvero, con concorsi trasparenti e aperti, non con i vincitori decisi a tavolino. Le tante aziende che non trovano manager devono dare spazio ai “giovani” e ce ne sono tantissimi che hanno avuto esperienze ai vertici all’estero e sono pronti a gestire team e strategie in Italia. Ma è anche ora di attrarre i talenti stranieri. Di diventare la meta preferita dei “turisti del lavoro” e non solo di quelli del selfie e del gelato. Creando un ciclo di virtuoso della migrazione, con italiani che partono alla ricerca di nuove esperienze e stranieri che vengono nel nostro Paese portando con loro un cambiamento culturale che fa bene a tutti e che farà sentire a casa gli italiani che torneranno.

La ricerca
Laureati in fuga dall'Italia: tutti i numeri di un'emergenza nazionale
23/12/2019
C’è poi la politica: da dove iniziare? Semplificare la burocrazia e l’accesso agli incentivi che esistono, investire nelle nuove imprese, non solo con sgravi fiscali ma con la semplificazione delle licenze, della contabilità, delle mille inconvenienze che fanno dell’Italia uno dei luoghi meno attraenti per chi investe in innovazione. Spendere in scuole e ricerca. Nei giovani e nei bambini. Ambire ad avere le scuole e i servizi migliori del mondo, invece che accontentarsi della mediocrità cronica alla quale ci siamo abituati.

Speranze che rischiano di rimanere tali. Tanti, troppi, hanno scritto che è da folli tornare perché è meglio godersi la vita all’estero. Li capiamo bene: è un po’ da folli rientrare e lo abbiamo pensato infinite volte anche noi. E lo penseremo ancora spesso in un futuro. Tornare sarà dura, ci saranno delusioni e difficoltà, come raccontano le lettere di chi l’ha già fatto. Ci si scontra con troppi muri, raccomandati incompetenti, amministratori attaccati alla poltrona.

Gli interventi
Lavoro, dignità e futuro: cosa ci raccontano le storie degli italiani andati all'estero
21/1/2020
E per questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti, anche a distanza. Chi è all’estero può creare partenariati con l’Italia, continuare a mettere il cuore nel promuovere l’eccellenza italiana all’estero. Lo stesso cuore di cui parla Andrea nella sua lettera in cui racconta la paura di comprare una casa più grande a Dublino, anche se i bambini ne hanno bisogno. Perché rappresenterebbe l’addio definitivo alla sua Sicilia, quella che considera ancora la sua vera casa. La speranza di vivere o tornare un giorno in un Paese diverso, civile e accogliente, tiene uniti gli italiani emigrati ovunque. Ora, tutti insieme, mettiamoci al lavoro per trasformarla in realtà.

* Gaia van der Esch e Tommaso Cariati sono studenti italiani della Harvard Kennedy School of Government