Laura, cinquant’anni, un figlio disoccupato di 25, un ex marito violento da cui si è salvata quando ne aveva 30, si racconta mentre attraversa le strade del Roma Pride insieme a un milione di persone con un cartello che recita: «Siamo le nipoti delle streghe che non siete riusciti a bruciare». Paolo e Maria stanno insieme da 60 anni, entrambi stringono una bandiera arcobaleno: «Siamo qui con nostra nipote, volevamo vedere. È una festa di gioia». Una ragazza giovane, castana, con gli occhiali a fondo di bottiglia alza un cartello: «Tranquilla mamma, sono gay non fascio». Per capire cos’è diventato il Pride bisogna attraversarlo, una quantità immensa di persone diversissime- persone Lgbt+, femministe, migranti, partigiani, studenti, ex sessantottini - rivendicano nello stesso momento, gli stessi diritti: gente che altrove non si incontrerebbe mai e che invece eccola, sotto un cielo che si vede per intero, convesso che abbraccia la città.
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Persone che i partiti politici che tanto si dispiacciono di non essere in grado di intercettare, raggiungere, seguire, alla fine ignorano. «Sa, quando il movimento negli anni Settanta chiedeva di sfilare insieme alla sinistra in generale e i sindacati, facevano in modo che noi fossimo gli ultimi a partire. Quando la manifestazione era già finita. Il 25 aprile e il 1° maggio partecipavamo ai cortei. Dopo aver chiesto il permesso di sfilare. Ma il nostro posto era il fondo del corteo, tollerati non accettati. Certo, non potevano mica dirci no? Capisce? Sarebbe stato uno scandalo», racconta Angelo Pezzana, 82 anni, padre nobile del movimento Lgbt+ italiano, tra i fondatori nel 1971 del F.U.O.R.I il primo movimento omosessuale in Italia. «Vinceva ancora la morale del si fa ma non si dice. Per la destra eravamo degli sporcaccioni, per il centro dei peccatori, per la sinistra stavamo sbagliando tutto perché dovevamo essere pazienti, attendere la vittoria del proletariato».
Ora è tutto cambiato. Accanto alla comunità arcobaleno si schierano sigle sindacali, Anpi, brand di ogni tipo (per convinzione e convenienza) ma soprattutto cittadini. Un’emersione imprevista, l’opposizione è arcobaleno. Un’onda arrivata alle spalle del governo Meloni. Che blocca le trascrizioni alle famiglie arcobaleno, deride gli studenti che protestano per il caro affitti, demonizza chi denuncia la crisi climatica, rimette in discussione il diritto all’aborto. È sempre come se tutto, inspiegabilmente, succedesse all’improvviso quando ogni fatto, invece, è la conseguenza di altri: è la fine di un cammino. Quello iniziato con le strade piene durante la manifestazione di Non una di meno, dei giovani dei Fridays for future, delle piazze degli ultimi mesi delle Famiglie arcobaleno.
È un’onda travolgente. Le rivendicazioni dei Pride si riempiono del malcontento di chi in questo momento della storia sta sottovento. «Il Pride è espressione di una necessità individuale e collettiva insopprimibile, insita nella natura di ogni essere umano: celebrare le proprie diversità, vivere con orgoglio le proprie identità e aspirare alla propria piena autodeterminazione», spiega a L’Espresso Alice Redaelli presidente Arcigay Milano dove il 24 giugno si terrà uno dei 51 Pride più attesi del Paese.
«È chiaro che questa esplosione di vitalità e libertà configge frontalmente con quelle forze oscurantiste e reazionarie che trovano il proprio consenso invece nella sovradeterminazione, nel controllo delle scelte altrui e nella discriminazione di chi non è conforme. In questo senso il Pride è più che mai politico, rendendolo una vera e propria festa di libertà. E forse proprio per questo oggi i Pride in Italia sono l’espressione più genuina ed estesa di un movimento sempre più ampio, sentito e partecipato; un movimento che fa dei diritti, dell’autodeterminazione, dell’affermazione della cultura delle diversità i propri punti cardine, e che parla ormai il linguaggio dell'intersezionalità e internazionalità delle battaglie per i diritti».
Proprio nella più rassicurante Milano, una città fatta di interni, la città casa che accoglie tutte e tutti, con la stazione di Porta Venezia arcobaleno e la gente che si incrocia da tutto il mondo, è partito l’assalto con una circolare del ministero dell’Interno rivolta al suo sindaco Beppe Sala che impedisce il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, le manganellate della Polizia locale a una donna trans.
«Da marzo 2023 ci hanno tolto la possibilità di riconoscere i nostri figli con trascrizioni di atti esteri e annotazioni sullo stato di famiglia», spiega Angela Diomede, referente di Famiglia arcobaleno che racconta l’orrore di vedere il secondo genitore diventare un completo estraneo, sul piano giuridico, per il proprio figlio: nessun diritto o dovere. «Una politica indifferente prima, adesso è passata addirittura all’attacco per togliere quel poco che avevamo, che per noi era tanto. Richieste semplici, scontate per le coppie eterosessuali, ci vengono negate: poter seguire il proprio figlio in ospedale, prenderlo a scuola, in caso di separazione essere inchiodati a quel dovere che ti impegna a occuparti di chi hai messo al mondo. Viviamo in un Paese diseguale. Due persone eterosessuali che non possono procreare “secondo natura” accedono alla medicina e una coppia di donne non può farlo, una coppia di uomini neanche. Siamo un’arma di distrazione, un gioco della politica, di chi decide per sé e alla fine per tutti. Ma una politica lungimirante regolarizza, non punisce e vieta alla cieca. Si interroga, guarda in faccia la realtà. Dare la vita non può essere un reato. Odiare sì, invece. Discriminare, impedire quell'amore che dà la vita e crea la famiglia».
Da qui continua la resistenza, come sempre culturale: dal 22 al 23 giugno nei centri della città insieme ad ospiti per discutere di diritti, accessibilità, migrazioni, salute, storia. Il 24 giugno la parata da piazza della Repubblica, nel segno della riduzione dell’impatto ambientale e dell’accessibilità.
La sfilata è denuncia. La mancanza di leggi è un pugno costantemente sferrato ai principi di equità e giustizia alla base delle migliori risorse del nostro Paese. Le questioni messe al centro dei Pride sono quelle di un vero grande movimento politico e di opinione nazionale, impossibili da ignorare: le famiglie; i diritti dei bambini delle famiglie arcobaleno, il diritto al lavoro e alla salute; delle persone transgender e delle persone positive al virus dell’HIV, la libertà di movimento, la giustizia riproduttiva, in bilico in un momento in cui il diritto all’aborto viene messo in discussione e che coincide con la paura dello straniero, del declino della popolazione bianca europea (refrain caro al ministro Lollobrigida).
Il Pride è una presa degli spazi pubblici che non sono di tutti: non di chi è in sedie a rotelle o di altre persone con disabilità che vivono ancora oggi una forma di segregazione della vita pubblica, non delle donne per cui restano un luogo in cui il dominio maschile si esprime in modo evidente e crudo: insicurezza, stupri, aggressioni.
Una strada per liberare dai pregiudizi e dalle paure, per opporsi e per ricucire i rapporti con i famigliari che questa politica mina: «Da adolescente ho pensato al suicidio, non perché fossi particolarmente triste, ma volevo proteggere i miei genitori. Ero un bravo ragazzo, ma pensavo che i miei avrebbero preferito un figlio morto piuttosto che gay», racconta Giorgio 21 anni che sarà in piazza: «Sapevo poco se non quello che ci raccontavano i media: i miei credevano che fossero malati, a scuola mi prendevano in giro, la politica diceva che ero sbagliato. A 18 anni andai al primo Pride. Nel mondo esisteva un posto anche per me. Potevo fare altre scelte. Non solo nascondermi o togliermi la vita». L’essenza dell’Onda Pride: solo dove c’è posto per tutti, c’è posto per ciascuno.
Lo speciale. Nel segno dei diritti rivendichiamo equità. Storie, volti, istanze di chi sarà in piazza.