C’è un tema ricorrente nel dibattito pubblico: quello del conflitto d’interessi. Finora, una una regolamentazione stringente sugli interessi privati di chi ha ruoli politici non è riuscita a vedere la luce. L’ultimo a tornare sul tema è stato il presidente dell’Anac, Giuseppe Busìa, presentando in Parlamento la relazione annuale sull’attività svolta dall’Autorità anticorruzione: “Continuano a presentarsi troppi casi di conflitti di interesse, piccoli e grandi, ma tutti capaci di minare la credibilità delle istituzioni”. Tra le righe, la relazione di Busìa è stata anche una critica al governo: “A fronte della nostra sollecita evidenziazione dei vuoti di tutela che avrebbe lasciato l'abrogazione del reato di abuso d'ufficio, si era fra l'altro risposto che si sarebbe provveduto a compensare l'eliminazione della sanzione penale con un rafforzamento delle tutele amministrative – ha aggiunto –. Purtroppo, non solo tale compensazione non c'è stata, ma dopo la riduzione di tutele sul conflitto di interessi operata dal Codice dei contratti pubblici si è registrato un progressivo indebolimento delle garanzie amministrative poste a presidio dell'indipendenza e correttezza dell'agire pubblico”.
Il rischio della corruzione si nasconde un po’ ovunque – l’Italia, secondo l’edizione 2024 del Transparency International, è al 52 esimo posto al mondo su 180 Stati – e, soprattutto, nelle maglie dei tanti appalti che ancora vengono affidati direttamente nel nostro Paese. Per Busìa, “troppi continuano a essere gli affidamenti diretti la cui incidenza numerica, sul totale delle acquisizioni di servizi e forniture del 2024, è risultata essere di circa il 98 per cento. Preoccupa soprattutto – ha proseguito – il crescente addensamento degli affidamenti non concorrenziali tra i 135.000 e i 140.000 euro, a ridosso della soglia, più che triplicato rispetto al 2021, quando il valore-limite era di 75.000 euro”. Secondo Busia, "numerosi risultano, in tale contesto, i casi di frazionamenti artificiosi degli appalti, finalizzati a mantenere gli importi al di sotto delle soglie di legge e, spesso, anche ad eludere l'obbligo di qualificazione delle stazioni appaltanti". Per il presidente dell’Anac, "specie in alcuni contesti gli amministratori onesti si trovano più esposti a pressioni indebite, non potendo più opporre l'esigenza di dover almeno aprire un qualche confronto competitivo con altri operatori economici, al di sotto dei 140.000 euro”.
Lo scorso anno il valore complessivo degli appalti di importo pari o superiore a 40.000 euro si è attestato attorno ai 271,8 miliardi di euro. Un dato che rappresenta il terzo valore più alto della serie storica, facendo registrare, rispetto al 2020 (punto di minimo della serie), un aumento di circa il 46,4%.