Attualità
28 luglio, 2025Aumenta il numero di persone detenute, per un tasso di sovraffollamento del 134 per cento. Il decreto Carceri ha fallito, il decreto Caivano ha soltanto acuito l'emergenza della detenzione minorile. Il report denuncia le promesse non mantenute del governo e l'effetto dei suoi interventi repressivi
Se i cittadini “liberi” si togliessero la vita con la stessa frequenza dei detenuti, ogni anno in Italia si registrerebbero quasi 90 mila morti per suicidio. La popolazione carceraria, la cui salute fisica e psichica è per Costituzione affidata alla gestione dello Stato, ha un tasso di suicidio oltre 21 volte più alto rispetto a quello della popolazione generale. E il suicidio non è che l’ultimo scalino di una discesa agli inferi fatta di diritti negati, violenze sistemiche, repressione e indifferenza istituzionale. È quanto emerge dal rapporto di metà anno sulle condizioni delle carceri italiane redatto dall’associazione Antigone.
A fine giugno di quest’anno, erano 62.728 le persone detenute in Italia, per una capienza effettiva di 46.717 posti, con un tasso di affollamento del 134,3%. In 62 istituti questa cifra supera il 150%, con picchi del 236% per il carcere femminile di San Vittore a Milano, del 213% per la sezione maschile dello stesso istituto e del 214% per il carcere di Foggia. Nel 35,3% degli istituti visitati dall’Osservatorio Antigone non erano garantiti 3 metri quadrati a testa di spazio calpestabile, soglia minima stabilita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Sotto questo limite, la detenzione viene definita “inumana e degradante”. Una crisi umanitaria strutturale a cui se ne aggiunge un’altra altrettanto violenta: quella climatica.
“Siamo tutti in celle da sei con uno o due ventilatori a disposizione. Non si respira e la situazione sta diventando insostenibile. Le operatrici dello sportello sono dovute uscire dalla stanza dei colloqui perché non riuscivano a respirare. In una sezione ci sono celle in cui l’acqua corrente è disponibile solo in alcune ore del giorno”. È il resoconto, pubblicato nel report, della referente di uno sportello di Antigone al termine di una giornata di colloqui. Stanze roventi e senza ventilatori: in estate, le condizioni diventano insopportabili. Più del 60% della popolazione carceraria è in un regime di custodia chiusa, dietro le sbarre per la maggior parte del tempo in celle che diventano fornaci. Le pochissime ore di attività all’esterno previste per legge sono spesso svolte in condizioni sfavorevoli, nei momenti più caldi della giornata, e vengono evitate per disperazione.
L’emergenza, denuncia Antigone, coinvolge anche i minori. La detenzione minorile è aumentata del 50% rispetto al 2022, con 586 minori detenuti e 8 istituti sovraffollati. Il 63,5% di questi è ancora in attesa di giudizio. La crescita si è registrata soprattutto dopo l’introduzione del decreto Caivano, che ha reso più facile la custodia cautelare e ha limitato le misure alternative. Il risultato è che molti ragazzi sono costretti a scontare la pena nei reparti per adulti, con materassi buttati a terra, celle chiuse e attività scolastiche cancellate.
Si registra anche un’elevata somministrazione di psicofarmaci. È una prassi diffusa, sia tra i ragazzi che tra gli adulti, per nascondere un po’ di polvere sotto il tappeto e non affrontare con mezzi adeguati il progressivo collasso della salute mentale durante la detenzione. “Mio figlio è in carcere da circa 3 settimane ed è affetto da disturbi psichici conseguenti all'uso di sostanze stupefacenti. Non può uscire in cortile, se non 2 ore alla settimana e la sua situazione di salute sta peggiorando. Ha solo 22 anni”, scrive un genitore ad Antigone. Non è un caso isolato: il 14,2% dei detenuti presenta disturbi psichiatrici gravi e oltre il 21% assume regolarmente psicofarmaci. Eppure, la presenza di psichiatri e psicologi è minima: solo 7,4 ore settimanali ogni 100 detenuti. Il 22% dei detenuti è tossicodipendente, ma il sistema terapeutico è inadeguato e in 29 carceri non è garantita neanche la copertura medica notturna. La conseguenza di lungo termine è una tragedia annunciata che si ripete da anni. Nel 2024, sono stati 91 i suicidi in carcere. Nei primi 7 mesi del 2025, il trend è lo stesso e già 45 persone si sono tolte la vita. Il 70% avviene in sezioni a custodia chiusa, spesso durante i primi giorni di detenzione. Sono in aumento anche gli atti autolesivi (22 ogni 100 detenuti).
Gli appelli sull’emergenza carceraria si moltiplicano: dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, fino al presidente del Senato Ignazio La Russa, in un’indignazione bipartisan che il governo Meloni non sembra voler intercettare. Per l’Associazione Antigone, invece di depenalizzare e prevenire, l’esecutivo ha aumentato le pene e introdotto nuovi reati con il decreto Sicurezza, il decreto Rave e il decreto Caivano. Così ha reso più facile il ricorso alla custodia cautelare e ha fatto delle carceri il collettore delle nuove emergenze sociali. I nuovi detenuti sono trattati come un fastidioso problema di ordine pubblico, la cui unica soluzione è l’edilizia carceraria. Una risposta illusoria e inadeguata, secondo l’Associazione Antigone. Le promesse di costruire nuove carceri, ripetute da decenni, non affrontano la causa del sovraffollamento, ma ne assecondano le conseguenze. Anche nel 2025, a fronte dell’annunciata creazione di 7 mila nuovi posti, ne sono stati realizzati solo 42. Allo stesso tempo, il numero di posti non disponibili per ristrutturazione o inagibilità è aumentato, peggiorando di fatto la situazione. Più che i posti negli istituti, il governo ha ampliato il Codice penale, in una logica punitiva e repressiva che trasforma le carceri in contenitori di disagio dove finiscono soprattutto i più fragili: tossicodipendenti, malati psichiatrici, minori in difficoltà, migranti e senza fissa dimora. Non un luogo di recupero o reinserimento ma uno scarico sociale legalizzato, inumano e inefficace.
Secondo un'analisi del Cnel, quasi 7 detenuti su 10 tornano a delinquere, ma dove esistono programmi di lavoro e reinserimento, il tasso scende dal 70% al 2%. Eppure, solo una minoranza accede a queste opportunità. Le misure alternative non mancherebbero ed è provata la loro maggiore capacità di ridurre disagio e recidiva. Quello che manca è il coraggio di ripensare un sistema che per troppo tempo ha confuso la pena con l’abbandono, la giustizia con la tortura.
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