Le cinque domande che l'Italia deve farsi adesso per decidere del suo futuro
Evasione, infrastrutture, formazione, ambiente, disuguaglianza. È l’ora di compiere scelte decisive
Economist ha messo nero su bianco il dilemma morale con cui gli Stati alle prese con la pandemia devono fare i conti: quanto vale una vita umana? A quanto prodotto interno lordo (Pil) siamo disposti a rinunciare, mantenendo il lockdown, per evitare il rischio che il virus uccida delle persone? È una domanda dura, che colpisce ognuno di noi, non solo in quanto individui, ma anche come cittadini: infatti, è la domanda della cosiddetta “fase 2” e il Governo sa benissimo che una riapertura mal gestita può avere effetti devastanti sulla diffusione del virus, e quindi di nuovo sull’economia.
Ma mentre molti opinionisti hanno provato a rispondere alla domanda dell’Economist, ben pochi stanno ponendo domande su questioni altrettanto cruciali per il futuro del nostro Paese, che vanno affrontate ora per disegnare al meglio gli interventi che l’Italia intende adottare. Ne elenco cinque, che riguardano il tipo di sistema economico e di società che vorremmo avere in Italia, diciamo alla fine del 2022, una volta terminata la recessione prevista per quest’anno e dopo circa un anno di ripresa.
Prima domanda: quanto Pil vogliamo venga dall’economia sommersa e illegale e quanto da quella regolare? Cioè, di quanto vorremmo ridurre i 110 miliardi annui di tasse dovute e non pagate a causa dell’evasione fiscale? Nel 2017 la quota di Pil derivante dall’economia sommersa era dell’11,1%. Sommando quella da attività illegali (1,1%) si arriva al 12,2%. Durante le recessioni questa quota tende ad aumentare (nel 2014 era arrivata al 13%), a causa dell’aumento del lavoro nero e della sottodichiarazione dei redditi da parte delle imprese, soprattutto delle microimprese, dei professionisti, ecc. Ovviamente, incide anche la composizione del Pil, vista le diverse quote di economia sommersa dei singoli settori: dal 37% del settore dei servizi alle persone al 24% del commercio, al 22% delle costruzioni, al 17% dell’agricoltura, fino al 3,6% della produzione di beni di investimento e all’1,6% del settore energetico.
Se, dunque vogliamo che qualcosa cambi, dobbiamo decidere ora cosa fare perché nel 2022 l’evasione si riduca drasticamente. La questione è ancora più rilevante visto che lo Stato, giustamente, interviene per aiutare tutte le imprese, comprese quelle che nel passato hanno evaso, a sopravvivere e poi ripartire. Credo sarebbe giusto operare affinché, in cambio di ciò, si verifichi un cambiamento radicale di certi comportamenti, anche per tutelare la stragrande maggioranza delle imprese che competono lealmente e stimolare la crescita della produttività del sistema italiano (chi evade ha una dinamica della produttività inferiore a chi, per competere, innova, investe, ecc.).
Seconda domanda: quanti gas climalteranti e polveri sottili vogliamo immettere nell’aria, visto che esiste una correlazione tra tale fenomeno e letalità del virus? La Pianura padana è una delle zone più inquinate d’Europa, mentre gran parte delle città italiane infrange continuamente i limiti fissati dalla legge per la presenza di particolati dannosi per la salute umana, al punto che si stimano 80.000 morti precoci all’anno per malattie legate all’inquinamento. Ogni anno lo Stato italiano eroga a imprese e famiglie 16 miliardi di sussidi a favore dell’ambiente e 19 miliardi di sussidi che danneggiano l’ambiente. Poiché ci siamo impegnati ad eliminare questi ultimi entro il 2025, non potremmo accelerare questo processo e riorientare subito gli incentivi nella giusta direzione? Non si tratta di “fare cassa”, ma di stimolare una transizione generalizzata a quella green economy già praticata da tante imprese e così generare migliaia di nuovi posti di lavoro. Peraltro, le imprese che hanno scelto lo sviluppo sostenibile conseguono importanti guadagni di produttività, come certificato dall’Istat (fino al 15% per le grandissime imprese).
Terza domanda: vogliamo darci l’obiettivo che tutta Italia, comprese le aree interne, e tutte le persone, comprese le più svantaggiate, abbiano accesso alla banda larga e a strumenti tecnologici adeguati al XXI secolo? In poche settimane abbiamo trasformato tante case in aule scolastiche, aule universitarie e uffici, ma sappiamo che esistono disuguaglianze enormi, che rendono fortemente asimmetrico uno shock teoricamente simmetrico (come dice il Presidente del Consiglio). Non potremmo, dunque, realizzare subito un piano straordinario per le infrastrutture digitali analogo a quello che è stato messo in campo per potenziare i reparti di terapia intensiva? L’ultimo decreto del Governo prevede un impegno formativo straordinario, a settembre, per recuperare i ritardi accumulati da chi è rimasto indietro, ma senza dire cosa cambierà rispetto alla situazione attuale in modo da raggiungere questi ultimi. Analogamente, una volta che gli studenti saranno tornati a lezione, non si potrebbe sfruttare lo sforzo straordinario fatto da scuole e università per organizzare lezioni a distanza per lanciare un piano formativo degli adulti (lifelong learning), la cui mancanza gli organismi internazionali ci segnalano da dieci anni?
Infine: vogliamo che le disuguaglianze di reddito e ricchezza che caratterizzavano l’Italia prima della crisi rimangano invariate? Nel 2018 il reddito disponibile del 20% più ricco della popolazione era pari a sei volte quello del 20% più povero e a febbraio il Governo prevedeva che tale rapporto, dopo la discesa stimata per il 2019, sarebbe rimasto sostanzialmente stabile nel triennio 2020-2022. Secondo la Banca d’Italia, nel 2016 il 30% più ricco della popolazione deteneva il 75% del patrimonio netto (il 5% da solo deteneva il 40% della ricchezza), mentre il 30% più povero ne deteneva l’1%. Ora, è chiaro che la crisi colpirà maggiormente i più deboli ed è per questo che il Governo sta orientando ingenti risorse a loro favore. Ma poi, cosa vogliamo che accada una volta tornati alla “normalità”? Quale sistema fiscale vogliamo per superare le tante contraddizioni dell’attuale, incentivare la produzione di reddito, l’innovazione e l’efficienza ambientale, coerentemente con la progressività prevista dalla Costituzione.
Come si vede, si tratta di domande cruciali per disegnare il Paese che vogliamo. Dalle risposte che daremo dipende anche l’orientamento degli interventi delle prossime settimane che, una volta approvati, sarà estremamente difficile modificare.
*Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile