Eventi
1 gennaio, 1970A Palazzo Brancaccio - Spazio Field di Roma la festa per celebrare il nostro settimanale che, dal 1955, racconta l'Italia e il mondo con sguardo critico e indipendente
Una giornata di talk e interviste per celebrare il nostro settimanale che, dal 1955, racconta l’Italia e il mondo con lo sguardo critico e indipendente. Dalle 14 del 19 novembre, per la festa dei 70 anni de L'Espresso, si sono alternati sui due palchi di Palazzo Brancaccio - Spazio Field di Roma ospiti del mondo della cultura, della politica, dello spettacolo e dell’arte.
Il direttore Emilio Carelli, introducendo l'evento, ricorda il "gruppo di giornalisti coraggiosi" che hanno fondato il nostro settimanale. "L'Espresso ha raccontato la storia del Paese, accompagnando l'Italia e il mondo nella crescita e nello sviluppo. Raccontando le battaglie per i diritti, le storie di lotta alla mafia, il terrorismo. Raccontando la storia dell'Italia sempre con questo spirito d'indipendenza, provando a essere il cane da guardia del potere". Anche L'Espresso di questi ultimi anni ha seguito questa direzione, raccontando "il dramma di Gaza. Lo scorso anno abbiamo premiato come persona dell'anno una bambina di Gaza - ricorda Carelli -. O l'inchiesta su Ustica, e ancora la battaglia sui diritti. Vogliamo celebrare la storia - aggiunge - ma anche prendere l'impegno per continuare su questo solco". Ricorda poi la digitalizzazione dell'archivio de L'Espresso, dalla fondazione fino a oggi, che a breve sarà online.
"Disegnare un giornale": Stefano Cipolla con Andrea Calisi
Il primo talk del pomeriggio, nell'Arena 55, è "Disegnare un giornale", in cui l'art director de L'Espresso Stefano Cipolla dialoga con l'illustratore Andrea Calisi. "I giornali sono fatti di testi e di immagini, e la copertina è la sintesi di un lavoro collegiale", racconta Cipolla, prima di mostrare al pubblico - e descrivere - alcune storiche copertine de L'Espresso.
Ma come si fa una copertina? "Bisogna andare subito a trovare l'essenziale", spiega Calisi. Ma ogni illustratore ha il suo metodo di lavoro. E racconta la copertina fatta per il numero uscito lo scorso ferragosto, sul "diritto alle vacanze", ma anche quella realizzata per le Guide de L'Espresso, con i suoi diversi tentativi fatti prima di arrivare alla realizzazione finale.

"Arabopolis: il mondo arabo dietro i clichè": Angiola Codacci-Pisanelli con Laura Silvia Battaglia, Navid Carucci e Igiaba Scego
Nella sala “Club 70”, il talk “Arabopolis: il mondo arabo dietro i cliché” ha fatto dialogare la nostra Angiola-Codacci-Pisanelli, che cura la rubrica "Arabopolis", con la reporter Laura Silvia Battaglia e lo scrittore italo-iraniano Navid Carucci.
“La rubrica si propone di raccontare il mondo arabo-islamico al di là dei cliché che lo vorrebbero legato solo a realtà di guerra, integralismo e terrorismo. Propone di (ri)aprire un dialogo tra Paesi occidentali e Paesi orientali”. Dialogo che, però, rischia di essere riaperto seguendo strategie di soft-power, il cui “potere è decisivo”, secondo Laura Silvia Battaglia. La Biennale di Arte islamica conclusa a Gedda è indicativa, in tal senso: “Gedda si propone come città che vuol farsi hub di un certo mondo culturale, mostrando che si può fare arte al di fuori di segni e iconografie religiose”. Ma tra i moltissimi reperti di questa mostra, “non c’era quasi mai una targhetta che indicava l’origine yemenita dei beni”, tutti etichettati come sauditi. “Così si crea una narrativa che depaupera un Paese vicino di un bene vecchio di millenni. E chi ha i soldi – e vicinanza con gli Usa – può diventare potenza culturale”.
Ma “è nell’incontro tra identità e culture che si deve ricercare la ricchezza – afferma Navid Carucci – nonostante le persone di etnia mista non siano viste sempre bene, perché a metà tra due paesi. Io sono italo-iraniano, e sono sempre stato visto poco italiano e poco iraniano. Ma la mia doppia etnia mi fa vedere le cose da un punto di vista privilegiato perché plurale”. Una ricchezza che ritorna nel suo lavoro, l’insegnamento alle scuole medie, che è “l’arena privilegiata dove posso vedere le cose da più prospettive e restituirle ai ragazzi, in un ottica multiculturale che riflette la composizione delle mie classi”

"La musica s'è desta", Emanuele Coen e Gino Castaldo con Motta
"Noi siamo qui per rompere un po' gli schemi", dice Emanuele Coen aprendo il panel con Motta sul palco di Arena 55. Ed elenca la mobilitazione giovanile degli ultimi mesi, per Gaza e non solo. "Il risveglio che abbiamo visto nelle piazze non è ancora arrivato in musica", dice Gino De Castaldo.
Ma come vede Motta questa nuova generazione? "Inizio a convivere con un forte disincanto politico. Ci tengo a dire che ho dei valori di sinistra, anche se non va molto di moda prendere posizione. Aver visto ragazzi giovani in manifestazione mi ha rincuorato".

"Il fotogiornalismo tra conflitti e frontiere", con Tiziana Faraoni, Massimo Sestini e Pietro Masturzo
La photoeditor Tiziana Faraoni intervista i fotografi Pietro Masturzo e Massimo Sestini nel talk “Il fotogiornalismo tra conflitti e frontiere”. Dal 1955 L’Espresso riporta il mondo attraverso le immagini; le sue copertine hanno contribuito a costruire l’immaginario collettivo italiano. Pietro Masturzo racconta al pubblico la sua esperienza in Cisgiordania, dietro di lui scorrono le immagini dei coloni israleani in Palestina dal 2012 ad oggi. Masturzo condivide l’esperienza del suo ultimo viaggio: “La situazione è peggiorata in modo drammatico. I coloni sono sempre più violenti”, spiega, “oggi i fotografi non vogliono far vedere di essere giornalisti, noi giornalisti internazionali siamo diventati dei taghet.
Durante il talk si riflette ampiamente sui quasi 300 giornalisti uccisi volontariamente in Palestina. Massimo Sestini ha scattato una fotografia che ritrae un barcone colmo di migranti a largo delle coste libiche. La foto, scattata dall’alto, intitolata Mare Nostrum, ha vinto il World Press Photo 2015. “Volevo che le persone guadassero l’obiettivo in modo improvviso. Noi eravamo sopra di loro in un elicottero”, racconta Sestini. “Qualche anno dopo una di quelle persone si è riconosciuta e mi ha contattato. Ho deciso, così, di lanciare il progetto Were Are You insieme a National Geographic per ritracciare 10 persone presenti su quell’imbarcazione. Il concetto che voglio trasmettere è che la migrazione è un fenomeno globale, domani ci potremmo essere noi in mezzo al mare per proteggere le nostre famiglie”.

"L'inchiesta", con Gianfrancesco Turano e Paolo Biondani
"Ci vuole un'attività lunga di ricerca: cercare testimoni, cercare fonti, consumare le scarpe - dice Paolo Biondani parlando di cosa è un'inchiesta -. Per fare un lavoro d'inchiesta serve che le verità siano tenute segrete da chi ha il potere. E poi devono essere di interesse pubblico". Poi ricorda l'inchiesta sulla speculazione edilizia a Roma, "Capitale corrotta, nazione infetta". Ma qual è il momento fondativo del giornalismo d'inchiesta? "Gli anni delle stragi. Con piazza Fontana, per la prima volta in Italia, un gruppo di giornalisti di testate e idee diverse, capiscono che la versione ufficiale - 'Sono stati gli anarchici' - è falsa. E iniziano a raccontare la storia vera. Poi si scoprirà che sono stati nazifascisti veneti, protetti da servizi segreti, quasi tutti affiliati alla P2". Da lì in poi inizia il giornalismo d'inchiesta come categoria a sé.
"Il giornalismo d'inchiesta è un modo di vivere", per Gianfrancesco Turano. "È un mestiere che richiede una capacità di resistenza molto particolare. Bisogna essere pronti a mettersi contro tutti. Passare gran parte del proprio tempo a difendersi contro le querele. Essere pronti a mettersi anche contro i lettori e spiegargli che i loro 'buoni' non sono in realtà tali". E allora perché si fa giornalismo d'inchiesta? "Credo sia una passione innata per la ricerca della verità", dice Turano.

"Moda, formazione e creatività" di Antonia Matarrese con Andrea Lupo Lanzara, Flavia Padovan e Furio Francini
La giornalista de L'Espresso Antonia Matarrese conduce un talk dedicato alla formazione nel settore moda in Italia e alla creatività legata all’haute couture, al su misura, all’artigianalità e al riuso, interpretati in chiave made in Rome ma con visione e clientela internazionali. Sul palco con lei, Andrea Lupo Lanzara e Furio Francini – rispettivamente presidente e ad dell’Accademia Costume&Moda – insieme alla stilista e imprenditrice romana Flavia Padovan.
“La moda in Italia è la seconda industria per numero di addetti. Se ne parla poco, ma è un settore molto identitario”, spiega Francini mentre auspica un deciso ricambio generazionale. Mentre molti giovani stranieri vengono qui a specializzarsi in moda, “si registrano quasi 600mila addetti, di cui il 20% sta andando in pensione: nei prossimi anni ci giocheremo il futuro di uno dei nostri settori più centrali. Sta arrivando sempre più forte la rivoluzione dell’Ia, e servono giovani che accompagnino il cambiamento”.
Ma le nuove leve non dovranno soltanto aiutare al rinnovo dei modelli di business legati all’artigianalità e all’emersione convinta del mercato del second-hand – che sta crescendo a velocità tripla rispetto a quello tradizionale. Dovranno piuttosto saper leggere il cambiamento tornando alle origini, rifarsi artigiani, perché “ce n’è un disperato bisogno”, secondo Padovan.
“I giovani oggi devono pensare che l’artigianato è il vero lusso. Modellisti/e, ricamatori e ricamatrici: abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con le mani e non solo progettare”. “Dobbiamo riscoprire l’intelligenza artigianale di fronte all’avanzare di quella artificiale”, concorda Francini. E invita: “Scegliete la scuola giusta, preoccupatevi solo di questo. Non abbiate paura, perché c’è spazio e servono le competenze. A chi teme le raccomandazioni, voglio dire che questo sistema ha fatto il suo tempo. Specialmente se non vogliamo veder morire questa nostra industria così preziosa per il paese”.
E sull’importanza delle buone scuole e dei buoni maestri, la testimonianza di Lanzara – presidente dell’Accademia Costume&Moda – definisce il modus operandi adottato: “Oggettivizzare il lavoro, personalizzare l’approccio. Noi facciamo così. Vogliamo che nella nostra comunità i giovani si sentano riconosciuti, accolti, ascoltati e supportati. Devono essere liberi di creare, perché solo così la creatività può in esplodere nella manualità e dar vita a prodotti speciali”.
L'intervista a Francesca Albanese, di Daniele Mastrogiacomo
La relatrice speciale Onu sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese in collegamento da Bruxelles è intervenuta durante un panel con il giornalista Daniele Mastrogiacomo sulla questione israelo-palestinese. La prima domanda riguarda l’imparzialità e come si può trovare uno sguardo equanime in un ruolo come il suo: “L’imparzialità è guardare ai fatti con oggettività non distanza tra le parti, soprattutto in una situazione così diseguale. In più il mio ruolo è quello di documentare le violazioni nei territori palestinesi occupati”.
Su Trump e il ruolo delle Nazioni Unite e il futuro del multilateralismo, la relatrice ha detto: “Ho un peso sul cuore su questo tema. Sono tre anni che faccio tantissimi sacrifici perché credo ancora tantissimo nelle Nazioni Unite. Ma non hanno fatto una bella figura neanche durante gli anni in cui a Israele è stato permesso di commettere efferati crimini di guerra e genocidio. La traiettoria storica del declino parte dall’Iran e oggi ha raggiunto il suo apice. Gli Stati Uniti stanno usando una logica di controllo a cui nessuno degli Stati occidentali si oppone. Gaza è il termometro dello stato dell’Onu, così rischia di perdere di senso ed è un peccato perché è la vera piattaforma in grado di risolvere i conflitti e far trionfare il diritto internazionale.
“L’apocalisse di Gaza”, ha concluso Albanese, “ha risvegliato le coscienze, è il primo genocidio che crea un movimento globale. In tutto il mondo viene punito chi si pone in maniera critica su cosa sta avvenendo in Palestina. Il recupero del multilateralismo richiede un rinnovamento della base politica di ogni Stato. Gli Stati europei hanno accompagnato e reso possibile l’impunità di Israele”.

"All eyes on Gaza", con Daniele Mastrogiacomo e Paolo Romano
Gaza e la Global Sumud Flotilla al centro del dialogo di Mastrogiacomo con il consigliere del Consiglio regionale della Lombardia, Paolo Romano, che ha partecipato alla missione diretta a Gaza. "L'elemento che più mi colpisce ancora oggi è che quella che ho trovato lì, in Israele, non è più una democrazia. Le percosse, la privazione di alimenti e di assorbenti, dimostrano che lo stato di diritto lì non c'è più. C'è un pezzo di società israeliana che lotta per i diritti, ma la maggioranza e le istituzioni di quel Paese non hanno più un comportamento democratico".
“C’è un pezzo di Israele che è diventato prevalente nella nazione - aggiunge Romano -. Il 66% degli israeliani crede sia giustificabile lo sterminio dei villaggi palestinesi e una percentuale simile crede che non sia stata usata abbastanza violenza. E la stessa violenza l’abbiamo trovata nel modo in cui siamo stati trattati noi della Flotilla. E nelle loro parole, la libertà di stampa in Israele è sotto scacco, la teoria propagandistica di Pallywood, che nega lo sterminio a Gaza. Se non c’è una pace giusta - sottolinea -, non si interrompe la spirale di violenza, sia per le vittime palestinesi sia per la sicurezza dei civili israeliani”.

"Sindaci d'Italia", di Marco Fioravanti con Felice Florio e Francesca Barra
"Non c'è una ricetta per tutti i sindaci. Ogni amministrazione, e ogni città, è unica e irripetibile", dice il sindaco di Ascoli, Marco Fioravanti (il più amato d'Italia, secondo un sondaggio de Il Sole 24 Ore), nel panel con Francesca Barra e Felice Florio. "Il consenso non è un diritto acquisito, bisogna mantenere quella fiducia". C'è una misura che ha avuto un impatto riconosciuto e apprezzato, più di altre misure? "IL 33% del mio tempo lo dedico all'ascolto, il 33 ai dossier, il 33 a gestire le strutture. Quel che ha fatto aumentare il gradimento è stato il 'Caffè con il sindaco'. Lo faccio il primo martedì del mese". La legge di Bilancio in discussione non è molto generosa con gli enti locali. "Dal 2011 a oggi i governi hanno ridotto di circa il 40% i trasferimenti statali, e quindi i comuni hanno avuto sempre meno entrate e sempre più spese. Non ce ne accorgiamo oggi. Dal 2011 circa otto milioni in meno. Quest’anno, per la prima volta, non ci sono stati ulteriori tagli ai trasferimenti statali. Questo problema strutturale si fa a sommare a un problema di spesa corrente".

"Sindaci d'Italia", di Roberto Gualtieri con Felice Florio e Francesca Barra
Dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri, innanzitutto, un riconoscimento al lavoro che L'Espresso porta avanti da 70 anni: "L’Espresso ha fatto la storia d’Italia. Non ha solo ospitato le firme dei più grandi giornalisti italiani, da Benedetti a Eco fino a Bocca, eccetera. Quando nasce nel 1955 anticipa la modernizzazione, anche politica, del Paese. E segna l’ingresso di un giornalismo indipendente". C'è un tema, quello della sicurezza, che è al centro del dibattito e con cui i sindaci, principalmente quelli delle più grandi città, si trovano a fare i conti: "È un grande tema di cui occuparsi, e non limitarsi a dire che la sicurezza è responsabilità del governo e delle forze dell’ordine. Servono le forze dell’ordine, serve la repressione, ma non è sufficiente: la grande sfida è risanare e offrire percorsi di riscatto a zone degradate".
Bisogna essere duri contro l’illegalità, aggiunge Gualtieri, "ma offrire riscatto ai giovani, ai ragazzi. Bisogna decentrare i servizi, sport, eventi, aree ludiche, biblioteca, così da alimentare percorsi di partecipazione”.
Su TikTok e i social: “Sono strumenti utili a raccontare in modo più diretto ciò che facciamo, raccontare i nostri interventi è un dovere. Spiegare ai cittadini cosa sta facendo è importante per restituire anche il fascino della sfida ingegneristica e culturale di ogni progetto. I politici devono comunicare quello che non ciò che vorrebbe fare”.

"Geopolitica da Bruxelles", con Federica Bianchi e Pietro Benassi
In “Geopolitica da Bruxelles”, l’inviata de L’Espresso Federica Bianchi e il rappresentante italiano presso la Ue, ora docente all’Università Cattolica di Milano, Pietro Benassi, riflettono sulle sfide presenti e future che attendono al varco l’Unione europea. “Sono anni di frattura e sofferenza, di grandi complessità geopolitiche e che vedono l’Europa zoppicare rispetto ad altre zone del mondo” è l’apertura di Bianchi, con Benassi che risponde mettendo al centro la “necessità di definire cosa sia l’Occidente senza usare lenti occidentocentriche. E dunque, in questo quadro, cosa sia davvero Europa”. E rilancia: “Se da un lato è vero che c’è bisogno di più Europa – prosegue l’ambasciatore – dobbiamo capire come arrivarci, perché oggi sono molte le cose che non funzionano”. Ripercorrendo lo sfaldamento del sistema di finanziamenti, dello status quo e l’involuzione del processo di globalizzazione avviati nella seconda parte del Novecento, si affrontano i temi caldi del delicato momento europeo: politica estera e di difesa, la dipendenza dagli Stati Uniti, il cambiamento demografico, le crisi economiche e quella ambientale.
“La sfida di oggi è capire se l’Europa – che storicamente è sempre progredita in situazioni di ‘bel tempo’, come quando ha fatto Schengen o la moneta unica – può cavarsela in una situazione di crisi stratificata, che intreccia geopolitica, ambiente ed economia”, si chiede l’ambasciatore.
Ricordando la funzione di prevenzione dei conflitti con cui è nata l’Europa, si ribadisce la necessità di politiche comuni. “Da questa impasse si può uscire soltanto agendo con politiche comuni. Come emerge da vari rapporti, tra cui anche l’ultimo di Mario Draghi, l’Europa non raggiunge le economie di scala per poter essere competitiva economicamente a livello mondiale”.
Sviluppare intese comuni, dunque, anche se declinate sulle specificità dei singoli Stati. La via è rappresentata in questo senso dai “beni pubblici europei", spiega Benassi. E puntualizza: "La transizione verde, l’energia, la digitalizzazione e la difesa in generale sono i principali asset su cui dobbiamo lavorare”. “Una futura Europa a geometrie variabili – conclude quindi Bianchi – fin quando non saremo in grado di farne una più unita”.
"I leader del rinnovamento" di Felice Florio con Simone Leoni e Bernard Dika
Simone Leoni è segretario di Forza Italia Giovani, Bernard Dika è sottosegretario della Regione Toscana e che, alle scorse elezioni regionali, ha preso oltre 14 mila preferenze. "Io e Bernard siamo avversari, ma gli avversari non sono e non devono essere nemici", dice Leoni. "La politica adulta ci spinge un po' a essere eredi del futuro. Secondo me la nostra generazione, oltre a essere erede, deve essere soprattutto protagonista del presente".
"Ci dicono sempre che 'noi giovani siamo il futuro', ma che non è ora il momento. Quando ci vedono impegnati si meravigliano. È demoralizzante perché dà l'idea di una società che non responsabilizza le nuove generazioni - dice Dika -. Ma se non ci permettono di sbagliare, come potremmo avere una classe dirigente? Ecco perché quando penso ai motivi per cui faccio politica, penso che per me sia normale. Sono arrivato dall'Albania quando avevo un anno, e l'Italia è il Paese che ha cambiato la mia vita", aggiunge, ricordando poi gli attacchi razzisti subiti in campagna elettorale. "Se i giovani non rivendicano i loro bisogni, non ci sarà una generazione che lo farà per loro. Sbagliato pretendere che siano gli adulti a dire e fare ciò che vorremmo: bisogna prendere spazio".

"L'insostenibile leggerezza del leggere", di Sabina Minardi con Giancarlo De Cataldo
Sabina Minardi dialoga con Giancarlo De Cataldo sul ruolo della letteratura e della cultura nella democrazia. Lo scrittore osserva lo slittamento dal passato, quando il settimanale “quando sollevava uno scandalo provocava un vero terremoto politico”, a un presente saturo in cui “c’è uno scandalo al minuto, e quindi nessuno scandalo”. Non è sparita la figura dell’intellettuale, sostiene, ma il circuito che gli permetteva di incidere. “Gli intellettuali ci sono e dicono cose estremamente interessanti”, ma parlano in un deserto linguistico dominato dalla “lingua smozzicata del presente”. Il ruolo dell’intellettuale “non è stato attaccato: è stato semplicemente abolito”.
Per spiegarsi evoca l’alto medioevo e l’immagine del “barbaro intelligente” che entra in monastero: da quell’incontro nascerà il sapere futuro. Così oggi immagina “piccole abbazie” dove conservare la conoscenza in attesa di nuovi apprendisti. Cautela anche sull’IA: “Nemmeno gli ingegneri sanno se domani sarà il cervello di Einstein o quello di una zanzara”, e la vera minaccia è ridurre tutto ad algoritmo “che non si discute”.
La lettura diventa un atto politico, contro una strategia che porta a credere che essere ignoranti non sia un problema, che “chi legge ti sta ingannando”, che conoscere non serva, mentre “loro vivono nella conoscenza”. Ripercorrendo gli anni Settanta, tra speranze e paure, De Cataldo ricorda la forza delle donne, Basaglia e l’uso politico della droga: “Trasformare una società in una società di zombie è un’opera di colonialismo culturale”. Oggi, invece delle “balene ed elefanti” della politica, dominano “furetti e donnole”. Ma restano figure come Paco Durante, che “si sporcano le mani” per cambiare le cose. Le “abbazie del sapere” sono l’immagine finale: oasi da cui ripartire.
"Interrogare il potere", di Gloria Riva e Carlo Tecce con Corrado Formigli e Ferruccio de Bortoli
Qual è il rapporto tra stampa e potere? Parte da questa domanda ilp panel moderato dai giornalisti de L'Espresso Carlo Tecce e Gloria Riva. "Oggi il potere si è un po' chiuso", per Ferruccio de Bortoli. "Forse dovremmo richiamare i nostri colleghi ad avere un po' più di coraggio. Ma il coraggio oggi costa di più rispetto a un tempo. Le querele temerarie fanno scivolare il nostro Paese in fondo alle classifiche per la libertà di stampa". Le domande scomode, aggiunge l'ex direttore del Corriere della Sera, "fanno parte del buon giornalismo".
"Le conferenze stampa ormai si fanno solo a inizio anno", sottolinea Corrado Formigli, in relazione ai tanti giorni passati - un anno - dall'ultima conferenza di Giorgia Meloni. "I primi responsabili siamo noi giornalisti - aggiunge - che riteniamo normale che il presidente del Consiglio non risponda alle domane, in nessun modo. Oggi Meloni fa un video sui social in cui rivendica i propri dati. Le dice senza ombra di smentita perché è un messaggio diretto. Ma qualcuno dovrebbe dirle 'non mi tornano questi conti'. Come si fa a domandarglielo? Non risponde neanche per mail. Il problema è che per questo non si arrabbia nessuno, nessuno s'indigna. Ormai i leader parlano solo dal loro predellino digitale: questa è una grave ferita per la democrazia".
Qual è stato il racconto dei media sulla scalata bancaria, alla luce del fatto che molti editori erano coinvolti? "Salvo rare eccezioni, ha prevalso il conformismo", risponde de Bortoli. "È stata una scalata anomala, con il governo da una parte, con una classe dirigente che non ha detto nulla. Non c'è stato un grandissimo dibattito".
Che stagione è oggi per la televisione pubblica? "Una stagione triste per la Rai", risponde Formigli. "Alle solite logiche spartitorie, si è aggiunta un declino delle competenze e delle professionalità. E non parlo dei tanti colleghi bravissimi, ma spesso i loro responsabili: questo processo di appropriazione delle caselle direttoriali che sono state messe in mano a quarte o quinte file senza competenze. I pochi rimasti molto bravi sono stati fatti andare via perché incompatibili con la nuova linea editoriale. Viviamo una stagione televisiva in cui l'impoverimento dell'offerta non suscita neanche più molto scalpore ma soltanto un annoiato senso di abitudine”.

L'intervista ad Alessandro Morelli di Francesca Barra
Tra i dossier più caldi c’è il Ponte sullo stretto. A che punto siamo? “Si farà, si può fare - dice Alessandro Morelli, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, a Francesca Barra -. Si può fare una grande opera che permetterà lo sviluppo di una grande area. È un’opera fondamentale non solo per la Sicilia e per la Calabria ma per tutto il Paese. Per quarant’anni si è parlato di fare opere in Sicilia e Calabria, oltre ai 13,5 miliardi per il ponte sono già stati investiti oltre 40 milioni di euro. Perché alla fine il ponte è importante per andare in Sicilia, ma avere un’infrastruttura di questo genere ci permette di chiudere una rottura di carico: visti gli invetimenti, chiudiamo questa rottura di carico e permettiamo alle merci di essere scaricate dalle navi in Sicilia, messe su un treno e poter raggiungere il continente con tempi europei”.
E chi teme di essere penalizzato, voi come cercate di tranquillizarli? “Risottolineo: 40 miliardi di euro per Sicilia e Calabria. Sui 13,5 miliardi, il ponte costa sei miliardi circa. Il resto sono infrastrutture connesse al ponte. Ma, per esempio, sempre connesso al ponte ci sarà la nuova metropoitana di Messina connessa al ponte”.
Una data per i tempi? “Siamo in attesa delle motivazioni della Corte dei conti, sappiamo che la delibera del Cipess è stata stoppata. Ci daranno le motivazioni e capiremo di cosa stiamo parlando. Qualcuno dice che c’è un’impostazione ideologico-politica della Corte dei conti. Togliamo nomi e cognomi - Berlusconi o Salvini - il ponte è strategico per lo sviluppo economico delle regioni del sud. L’auspicio è che nelle prime tre righe non ci sia un’impostazione ideologico-politica, ma spunti che la Corte intende dare al governo per migliorare un’opera così importante. Se così fosse, siamo pronti a dare le adeguate risposte”.

“Seriamente pop. Le donne e la televisione” di Beatrice Dondi con Serena Bortone
In “Seriamente pop. Le donne e la televisione”, la giornalista de L’Espresso Beatrice Dondi dialoga con la conduttrice radiotelevisiva Serena Bortone sul rapporto tra donne e tv. “La Tv è fondamentale nel racconto del quotidiano – afferma Bortone –. L’ombelico di Raffaella Carrà e le gambe di Alice ed Ellen Kessler sono state tappe fondamentali nell’emancipazione femminile, perché hanno mostrato a una società intera che le donne non devono vergognarsi di godere del proprio corpo, rifiutando ogni costrizione”. Si trattava in entrambi i casi di “talento legato alla bellezza, che non va demonizzata di per sé. Era parte della loro presenza scenica”.
E sulle Kessler, recentemente scomparse, la cifra del discorso è quella della libertà: “Hanno detto di non volersi mai legare a un uomo, e per l’epoca non era così scontato. Come non era scontato il modo in cui hanno scelto di andarsene. Tutte le scelte personali e di libertà devono essere rispettate, non giudicate. Perché a giudicare è chi non ha il coraggio di comprendere”, chiosa Bortone.
Ma nel ripercorrere gli ambiti del piccolo schermo in cui, negli anni, le donne hanno potuto affermarsi in maniera sempre più libera, manca ancora qualcosa, perché “molto c’è da fare per programmi come i quiz televisivi o Sanremo”. Quando Dondi ricorda che in tutta la storia del Festival della canzone italiana si sono avute soltanto quattro presentatrici e una direttrice d’orchestra, Bortone annuisce. E aggiunge: “Se è vero che la rappresentazione femminile nei talk o nei tg si è fatta più equa, d’altro canto non ci sono ancora tante conduttrici di quiz. Perché quando le donne sono assertive, come dev’essere chi conduce un quiz televisivo o un evento come Sanremo, sono viste come ‘rompiscatole’. È lo stigma patriarcale che cade sulla donna che bacchetta. E l’uomo un po’ si dispiace se viene bacchettato da una conduttrice”.
Un passaggio, poi, sul ruolo del servizio pubblico, che sarebbe chiamato ad “accompagnare i telespettatori verso una crescita”, anche se “è qualcosa che oggi sta venendo meno”, secondo la conduttrice Rai. “Il servizio pubblico – prosegue – o è plurale o non esiste. Io ho cominciato a 18 anni nella Rai 3 di Guglielmi, e ho imparato che la Rai dev’essere un faro sulle fragilità”. Anche perché, concludono Bortone e Dondi, “tutto serve a tirar su una società più armonica, che sarà più abitabile anche per gli uomini. È necessario che abdichino ai modelli patriarcali e ai ruoli di genere stereotipati con cui siamo cresciuti. E in questo la tv deve aiutare, perché la realtà è una tavolozza piena di colori e come tale dev’essere restituita ai telespettatori”.

"Governare i territori". Il dialogo di Emilio Carelli con Alessandra Todde, Francesco Rocca, Eugeni Giani e Roberto Occhiuto
Eugenio Giani, presidente della Toscana, Roberto Occhiuto, della Calabria, Francesco Rocca, del Lazio, e Alessandra Todde, della Sardegna, dibattono con il direttore Emilio Carelli in un panel sui differenti modelli di amministrazione locale, sulla disparità tra territori e sulle sfide dettate dal confronto esigente e costante con i cittadini delle regioni.
Sull'autonomia differenziata.
Alessandra Todde: “Lavoriamo sulle autonomie, ma rivendico il diritto di diventare regione trainante come le altre”. Francesco Rocca: “Sono curioso di vedere come si svilupperà. Al momento per la Regione Lazio non è una priorità”. Eugenio Giani: “C’è il bisogno opposto, quello di solidarietà. Centralizzare i fondi coesione vorrebbe dire non poter garantire welfare. Così il regionalismo rischia di diventare campanilismo”. Occhiuto: “Sono tra i più prudenti del mio partito sul tema, non bisogna avere pregiudizi, però la competizione andrebbe fatta dando a tutti le stesse opportunità. Diritti sociali e civili devono essere garantiti ovunque. La bussola deve essere la sentenza della Corte costituzionale”.
Sulla sanità
Todde: “Nonostante abbiamo una spesa media superiore alla media italiana, abbiamo dei servizi non all’altezza. Abbiamo ereditato una situazione kafkiana. Ereditiamo una sanità frammentata, un’azienda unica spezzettata. Stiamo cercando di investire sul territorio”.
Rocca: “In due anni e mezzo abbiamo fatto un lavoro importante. Sulle liste d’attesa, nel 2022 venivano erogate 2 milioni e mezzo all’anno di prestazioni, nel 2025 6 milioni. C’è poi un modo diverso regione per regione di raccogliere i dati, guardare i numeri è fondamentale per migliorare. Ho chiesto al ministro che cessi questa disomogeneità”.
Giani: “I dati ci collocano al secondo posto, solo l’11% in tre anni di cittadini sono passati al privato. Con le case di comunità possiamo implementare tecnologie in ambienti pubblici che consentano di anticipare l’avanzare delle liste di attesa. Su questo ci concentreremo: la sanità territoriale”.
Occhiuto: “La sanità è commissariata da 15 anni, in passato sono stati nominati commissari piuttosto impreparati, ho trovato aziende che non chiudevano bilanci da anni, ho trovato una contabilità orale. Sono ripartito da lì, abbiamo chiuso i bilanci, abbiamo iniziato a lavorare sulle liste d’attesa, e ora siamo una delle Regioni messe meglio. In alcuni casi i medici avevano una gestione proprietaria delle loro agende. Ora stiamo migliorando anche sulla qualità grazie anche a dei poli universitari d’eccellenza. Più che sulle risorse, dovremmo come Paese mettere attenzione sulle riforme, perdiamo molti giovani medici bravissimi che vanno a lavorare nel privato”.

L'intervista ad Achille Occhetto di Susanna Turco
Achille Occhetto invita i leader del centrosinistra a stabilire rapidamente come verrà individuato il prossimo candidato premier in vista delle elezioni. L’ex segretario del Pds, intervistato da Susanna Turco durante l’evento per i 70 anni de L’Espresso, ha lanciato quella che definisce una semplice “proposta”.
Riferendosi al clima interno al Pd e all’area progressista, Occhetto ha osservato: “Vedo in giro molte mine anti-uomo, anzi anti-donna”. Quando gli è stato chiesto quale suggerimento darebbe a Elly Schlein, ha risposto: “I consigli sono quelli che si accettano. Io faccio una proposta, umilmente. Di fronte al toto nomi, al dire e non dire, alla confusione mentre ci si avvicina alle elezioni, sarebbe meglio se tutte le forze progressiste si riunissero subito per decidere il metodo con cui scegliere il candidato premier. Si chiudano in una stanza e decidano. O sono loro a decidere il metodo o non si va da nessuna parte. Che poi è la cosa detta dal Consigliere del Quirinale, che non ha fatto alcun complotto”.
Alla domanda se pensa alle primarie, Occhetto ha risposto: “Non lo so, ma decidano. Quando nacque l’Ulivo furono i capi dei partiti a scegliere Prodi, non fu lui a farsi avanti. Decidano finalmente e solennemente”.
L'intervista di Emilio Carelli a Maria Elisabetta Alberti Casellati
Il direttore Emilio Carelli intervista la ministra per le Riforme istituzionali e la semplificazione normativa Maria Elisabetta Alberti Casellati. Sulla riforma del premierato: “Questo è il governo delle riforme. C’è stato un momento di rallentamento dovuto al gran numero di provvedimenti in commissione. Garantisce la stabilità e attrattività per gli investimenti esteri e possibilità per cittadini e imprenditori di programmare il proprio futuro. Dibattere il premierato non è una cosa astratta, nulla impatta così sui problemi del Paese reale, i numeri sulla stabilità dei governi sono impietosi. Questa è davvero la madre di tutte le riforme”.
Sulla separazione delle carriere: “I magistrati saranno sottoposti alla legge, non tutti i pm sono contro la riforma, ma del resto non mi pare ci sia stata nessuna opposizione quando con la legge Cartabia. La riforma perfezionerebbe il percorso iniziato con la legge Vassalli del 1998”.
Sul ddl Roma Capitale: “Ci sono i tempi per approvare il disegno di legge su Roma Capitale, spero che si arrivi a fine legislatura con una maggioranza qualificata”.
Calenda al posto di Salvini nella prossima legislatura? “Salvini è indispensabile come alleato storico, non vedo perché debba essere sostituito. Uno è indispensabile, l’altro sarà una riflessione”
Sulla possibile discesa in campo di Piersilvio Berlusconi e la staffetta con Meloni al Quirinale: “Tutto può cambiare, sarebbe una bellissima cosa. Il nostro programma è il programma di sempre di Berlusconi. Giorgia Meloni sarebbe una buona scelta per la nostra credibilità internazionale”.

L'intervista di Emilio Carelli a Edoardo Rixi
Il direttore Emilio Carelli intervista il viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti Edoardo Rixi. Sulla riforma sui porti: “Bisogna iniziare a creare nuovi strumenti per un mondo che è cambiato. Il nostro sistema industriale non riesce a crescere. Il nostro Paese fino a oggi è stato continentale, non ha guardato alla sua marittimità. Noi abbiamo necessità di investire sul Mediterraneo, che gestisce oltre il 23% delle merci globali. Abbiamo bisogno di unità di coordinamento che possano parlare con un sistema marittimo che sta cambiando rapidamente. Con questa legge possiamo modernizzare tutte le commodities e possiamo investire all’estero con partnership con Paesi terzi”.
Sulle autostrade: “Siamo sull’approvazione del nuovo Pef, abbiamo bisogno di sterilizzare gli aumenti, per non creare una spirale inflattiva. Il 54% della rete autostradale è stato fatto negli anni ’60, stiamo discutendo con fondi privati per trovare un punto di equilibrio rispetto alle loro esigenze di remunerazione”.
Sul Ponte: “Il governo aspetta il responso della Corte dei conti. Io non credo sia un tema di tenuta del Ponte. Dobbiamo investire sul futuro, le opere pubbliche servono alle future generazioni. Spingiamo il Paese in avanti e la Corte non può decidere sul futuro del Paese. Collegare la Sicilia incrementerà i passeggeri, riduciamo i tempi di percorrenza, un’opera così conveniente in termini di costi-benefici non esiste. L’Italia deve credere nel Sud, è un problema di varie strutture dello Stato, bisogna farlo per attirare investimenti stranieri”.

L'intervista a Nicola Gratteri di Enrico Bellavia
Sala piena per Nicola Gratteri, intervistato da Enrico Bellavia. Al centro del dialogo, lotta alla mafia ma - soprattutto - riforma della Giustizia. "Voterò no perché è una riforma che non serve assolutamente a nulla - spiega il procuratore capo di Napoli -. La gente non vuole essere costretta a rivolgersi a un capomafia per avere una sentenza, vuole una Giustizia più veloce. E questa riforma non c’entra nulla. Se ogni anno solo 30 magistrati cambiano carriera, e quando lo chiedono e lo ottengono devono cambiare regione, è evidente che è un falso problema”.
“Non risolverà i problemi della Giustizia - continua Gratteri -. Il manifesto del ‘no’ è quando Nordio dice alla Schlein che quando sarà al potere servirà anche a loro. Questa è già una risposta esplicita". Avremo un pm forte? "Io voglio un pm tranquillo e sereno per cercare le prove. Il motivo vero è portare il pm sotto le dipendenze del ministero della Giustizia e dell’esecutivo. Visto che tutte le riforme tendono a non toccare i reati dei cosiddetti colletti bianchi, facciamo prima: aboliamo corruzione, concussione e peculato e lasciamo il resto del codice penale per contrastare efficacemente gli altri reati”.
La magistratura ha perso credibilità, complice una narrazione che ha enfatizzato il ruolo delle correnti. Cosa ne pensa del sorteggio del Csm? “Il referendum è un pacchetto unico: sì o no. Ci sono due temi fondamentali: la separazione delle carriere e i due Csm composti con sorteggio. Per me è preminente che il pm stia nella stessa giurisdizione del giudice, che abbia la stessa cultura. Il sorteggio viene dopo. Se voto si, ci sarà sia il sorteggio ma anche il pm sotto l’esecutivo che non avrà la cultura del giudice. Poi, si inizia a parlare di sorteggio temperato: i togati vengono sorteggiati tra tutti i magistrati, per i laici invece vengono sorteggiati da una lista predisposta dalla politica. Li scelgono da un catino: per esempio, su 100 nomi ne scelgono dieci”.

L'intervista a Matteo Renzi di Emilio Carelli
Ospite della festa per i 70 anni de L'Espresso anche il senatore e leader di Italia viva Matteo Renzi, intervistato dal direttore Emilio Carelli. Che esordisce ricordando le "molte discussioni con L’Espresso quando ero premier. Ma la libertà di stampa - aggiunge - è un valore fondamentale. Guai quando un governo spia i giornalisti, quando succede questo vuol dire mettere in discussione le regole di gioco”.
Partiamo dalla legge di Bilancio. “Il vero piano casa di Giorgia Meloni è il condono annunciato per la Campania. Se la sinistra si dà una sveglia e prova a fare una battaglia sul fatto che è aumentata la pressione fiscale, è aumentato il costo della vita, è aumentato il numero degli italiani che se ne vanno — lo scorso anno 191 mila —, è aumentata l’insicurezza”.
Renzi non si dice "d’accordo sull’analisi disfattista del centrosinistra. La prima cosa che manca è la convinzione. Noi diamo tutti per scontato che Meloni sia lì per trent’anni. Non fa nulla ma vuole tutto. Il problema di fondo è che, indipendentemente dagli altri, il centrosinistra ha perso perché ci siamo divisi. Io potrei aprire un film sulle responsabilità. Se metti insieme numericamente il centrosinistra, i dati dicono che la partita è spalancata. Lunedì ci saranno due vittorie in Campania e in Puglia. Se guardiamo alle scorse regioni, finisce 3 a 3 ma come voti il centrosinistra ne prende di più. Il centrosinistra litiga, ma anche il centrodestra. Io penso che sia una partita aperta perché se perdiamo le elezioni, Meloni prende il Quirinale. E io penso che troppo potere accentrato su una sola persona è molto pericoloso per tutti. Lavoreremo perché in centrosinistra si tolga di dosso la rassegnazione”.
L'intervista a Francesco Boccia di Francesca Barra
L'intervista registrata di Emilio Carelli a Elly Schlein la trovate qui.
La giornalista Francesca Barra intervista il capogruppo al Senato Francesco Boccia. Sulla legge di bilancio: “L’inconsistenza della manovra è la sintesi che viene fuori dalle audizioni: Istat, Banca d’Italia, Corte dei conti. È la manovra più inconsistente degli ultimi dieci anni, l’imposizione fiscale negli ultimi tre anni è aumentata. Purtroppo, sono aumentate le disuguaglianze, aumenta la concentrazione della ricchezza. Noi abbiamo fatto una manovra alternativa. Ma il dibattito politico è solo sui complotti, le trame, diventa complicato aprire un dibattito serio”.
Sui giovani e l’astensionismo: “Penso che Schlein abbia vinto il congresso perché ha portato ai gazebo i giovani che volevano una sinistra moderna. Trasformare tutto questo in una proposta di società nuova e diversa è complicato, ma ci tocca e abbiamo il dovere di farlo”.
Sulle regionali: “Speriamo di vincerle tutte e tre, sono Regioni importanti e penso che siano tutte e tre difficili ma in Puglia e Campania abbiamo fatto bene e sono diventate un punto di riferimento per lo sviluppo del Mezzogiorno. Finora le uniche novità sono due Regioni passate al centrosinistra, vedremo. Ma se il centrosinistra è unito, può battere la destra”.
L'intervista di Emilio Carelli a Massimo D'Alema
Il direttore Emilio Carelli intervista Massimo D'Alema. Sulla sinistra oggi: “La democrazia, non solo la sinistra, ha difficoltà a promuovere l’emancipazione sociale. Viviamo in società dove le diseguaglianze crescono sempre più. Bisognerebbe avere il coraggio di mettere in discussione i mantra che sono stati imposti. Il pensiero liberale ha compenetrato la società. La verità è che i ceti popolari non votano più, ormai la base di consenso della democrazia si restringe sempre di più soprattutto nelle fasce sociali più deboli. La sinistra deve restituire ai più poveri la speranza che la politica possa cambiare la loro vita. A New York ha votato una percentuale altissima di cittadini perché Mamdani è stato in grado di indicare questioni concrete in una metropoli dove per le persone più deboli è difficile vivere. Io sono un difensore dei nostri valori, ma l’unica grande economia sviluppata dove il numero dei miliardari è diminuito è la Cina, perché il potere ha deciso che bisognava diminuire la concentrazione della ricchezza. O la democrazia è in grado di ridurre la concentrazione della ricchezza con metodi democratici oppure la tirannide è una tentazione”.
Sulle celebrazioni in Cina: “Quando mi invitano a celebrare la sconfitta del nazifascismo, vado. Capisco che il governo invece abbia problemi a riguardo”.
Su Schlein: “Io non credo che lei sia un elemento di frantumazione, il suo è un impegno di unità apprezzabile, c’è ancora molto da lavorare per una coalizione competitiva. La destra ci accompagna al declino, noi dobbiamo indicare una prospettiva alternativa”.
Sui giovani: “Quando ho visto le piazze per Gaza ho consigliato alla nuova generazione di guardare con spirito critico al mondo che abbiamo creato”.
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