Giovani
18 settembre, 2025Il 27enne pistoiese vittima di attacchi per le sue origini. Domani - 19 settembre - sarà premiato all'evento 60 under 30, di cui L'Espresso è media partner
La violenza a sinistra: è diventato il mantra, dopo l’omicidio di Charlie Kirk, per la campagna elettorale delle destre, anche di quella italiana. Il vittimismo come cartuccia per attribuire ai rivali politici responsabilità che non appartengono, fortunatamente, ad alcuno dei partiti di oggi. Nell’arco parlamentare italiano, quale soggetto politico incita a commettere azioni aggressive, fisiche? Nessuno. Ci sono stati episodi locali, sporadici, ma generalizzare serve ad annacquare altre responsabilità, queste sì ascrivibili ad alcune correnti politiche, quali l’incitamento all’odio verso il diverso, la restrizione dei diritti delle minoranze, la mostrificazione degli avversari. È ancora persistente, ad esempio, il razzismo. L’ultimo caso quello di Bernard Dika, candidato di punta del Partito democratico al Consiglio regionale della Toscana. L’Espresso l’aveva intervistato in occasione del Next Generation Fest, il più grande festival gratuito in Italia dedicato all’attivazione dei giovani.
Con l’avvicinarsi della tornata elettorale, sotto i suoi post, stanno aumentando gli insulti per le sue origini. C’è chi scrive “il Pd sceglie appositamente stranieri e omosessuali” per ragioni di consenso. Dika è di origine albanese, e poco importa agli hater che sia cresciuto in Italia e che abbia sempre lavorato per il suo territorio di adozione, Pistoia. “Tornatene in Albania”, scrivono elettori del campo politico opposto al suo. Questa è violenza e, anche se non fisica, può causare ferite altrettanto profonde. La solidarietà a Dika non è arrivata dagli esponenti della destra toscana, ma dalle ragazze e dai ragazzi che insieme a lui domani – 19 settembre – saranno premiati a 60 under 30, il premio dedicato alle giovani promesse della politica italiana.
L’Espresso è, ormai da tre anni, partner dell’iniziativa. La ragione la riassume bene il direttore Emilio Carelli: “Il nostro non è ingenuo entusiasmo, ma un’operazione di fiducia. Vogliamo dimostrare che le nuove generazioni sono molto meglio di come spesso vengono descritte. Che esiste un’Italia che non si rassegna, che non fugge, che non resta a guardare, ma che sceglie di mettersi in gioco. Oggi, insieme a loro, vogliamo tornare a sognare un Paese diverso. Un Paese che dia spazio a chi ha idee nuove, a chi vuole cambiare davvero. Perché il futuro non si aspetta: si costruisce. E noi, partecipando a questa iniziativa, scegliamo di crederci”. E di credere che l’odio non prevarrà sul coraggio di questi 60 ragazzi che, ogni giorno, stanno provando a cambiare il Paese.
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