In una mostra al Filatoio di Caraglio, un'ideale sfilata di tutto quello che una donna dei primi decenni del secolo scorso doveva indossare per potersi dire elegante
I capelli corti sotto l'orecchio. Il passo svelto, con la gonna che non superava metà polpaccio. E il cappotto colorato, androgino, sotto al quale poteva però celarsi una profonda scollatura sulla schiena. Appariva così la signora bene torinese a chi negli anni Venti si ritrovava a passeggiare sotto i portici di via Po o per i giardini del Valentino. Una donna nuova, più dinamica e giovane, attenta alle proposte della couture parigina, ma anche musa e cliente di quella Torino che la Grande Esposizione Internazionale del 1911, con il primo Palazzo della Moda, aveva eletto capitale italiana dell'eleganza.
A quel periodo d'oro e alla sua protagonista, il Filatoio di Caraglio, nel cuneese, fino al 19 settembre dedica la mostra "Moda negli anni Venti. Il guardaroba di una signora torinese", curata da Anna Bondi proprio lì dove nel Settecento si realizzavano le più belle sete del Piemonte. L'esposizione raccoglie capi originali in arrivo dalla Galleria del Costume di Palazzo Pitti a Firenze e dall'Istituto d'Arte Passoni di Torino, in un'ideale sfilata di tutto quello che ogni donna dell'inizio del secolo scorso avrebbe voluto possedere. "Sono gli anni in cui il concetto di moda si diffonde - racconta la Bondi - C'è l'esplosione delle riviste, soprattutto francesi, la nascita dei primi grandi magazzini e delle prime, raffinate, confezioni". Abiti da giorno, da sera, da ballo, biancheria, borsette, completini per bambini coordinati a quelli della mamma, la mostra di Caraglio passa in rassegna il guardaroba completo, che insieme a una carrellata di figurini e pubblicità, (
qui la fotogalleria), ci raccontano com'era la donna e la moda di inizio Novecento.
Le gonne, accorciate già durante la guerra, si accompagnano a un nuovo canone di bellezza, che propone una linea androgina, una testa piccola, coperta non più da cappelli dalla tesa larga ma da piccole cloche, coordinate ai guanti e alle borse piccole e svelte. L'attenzione non è più rivolta al seno e alla vita, ma si sposta alle spalle, ai fianchi e alla schiena con profonde scollature. Le gambe, ora in vista, indossano calze di cotone o di seta, mentre la biancheria si fa sempre più sottile, abolisce busti e stringhe, per scomparire sotto al vestito. Proprio mentre Coco Chanel a Parigi trasforma il jersey nel nuovo comodo tessuto per signore, anche in Italia le donne più à la page scoprono l'eleganza del confort, con linee dritte e maniche lunghe e affusolate o con il taglio sbieco perfezionato dalla grande sarta parigina Madeleine Vionnet. "Alcuni dei capi in mostra sembrano realizzati oggi, come un abito in seta giallo, che potrebbe essere firmato da Armani", commenta la curatrice.
Altri invece con la loro esplosione di colori testimoniano suggestioni dell'Art Deco e delle avanguardie artistiche di quegli anni. Soprattutto di sera, quando sotto alla cappa si gioca con i contrasti di tessuto lucidi/opachi, con le paillettes, con gli orli geometrici e le perline di vetro multicolori. E il sautoir, la nuova lunga collana di perle, jais, fili di seta o perline, oscilla assecondando il movimento del corpo.
A diffondere la nuova immagine di donna, dinamica e androginamente sensuale, erano le nascenti riviste di moda, da "Art - Goût - Beauté" alla "Gazette du Bon Ton", antenato dell'attuale "Vogue". Ma, un po' a sorpresa, percorrendo la mostra scopriamo che a interpretare abiti e atmosfere negli anni Venti ancora non erano fotografie di indossatrici in carne e ossa, ma disegni di giovani talenti che in alcuni casi diventeranno artisti affermati, come Thayaht per l'atelier parigino Vionnet. O che ispireranno le generazioni successive, soprattutto negli anni Ottanta da Walter Albini, il padre del prêt-à-porter italiano, a Andy Warhol. Il motivo? "Ogni casa aveva il suo disegnatore di riferimento che sapeva anche interpretare l'abito, ricreando le giuste occasioni - spiega la Bondi - La fotografia, poi, ancora in bianco e nero non aveva un'ottima risoluzione e avrebbe costretto a rinunciare ai colori. E, non ultimo, al tempo le indossatrici erano ancora donne 'normali', che non sempre avrebbero reso al meglio l'abito".