Dopo l'episodio del giocatore di football espulso dalla NFL per i maltrattamenti alla compagna, parla Rona Salomon, che da molti anni è in prima linea, a New York, nella lotta alla violenza domestica. E dice: "Le donne faticano a uscire da una relazione violenta. Solo con l'educazione collettiva si cambiano le cose"
“Fermarla prima che inizi”. Questo è il monito che
Rona Salomon, la vice direttrice del Centro contro la Violenza domestica di New York, ripete piu’ volte prima di salutarmi, con quel suo tono determinato ma accogliente che non perde mai durante tutta l’intervista, persino in quei momenti in cui le considerazioni personali prendono il sopravvento tradendo, se cosi’ si puo’ dire, la sua immutata passione per un lavoro che la vede in prima linea da vent’anni.
Era il 1976 quando, a New York, grazie alla spinta di un forte movimento di opinione che premeva in tale direzione, nacque il primo Centro contro la violenza domestica che, solo un anno dopo, aprì il primo punto di accoglienza per le donne che chiedevano aiuto. Era stato, infatti, immediatamente chiaro dall’incontro con le donne che si erano fatte avanti per condividere la propria storia che il “non saper dove andare”, era uno dei maggiori deterrenti contro la fuga da situazioni di violenza.
Oggi il centro, che ha la sua sede principale a Brooklyn, ha tre case di accoglienza che ogni anno offrono rifugio a circa 1000 fra donne e bambini. “E’ evidente – chiarisce subito la Solomon – che la violenza domestica riguarda anche gli uomini, ma le cifre a sfavore delle donne, purtroppo, parlano da sole”.
Secondo l’APA (
American Psychological Association), infatti, negli USA, più di una donna su tre è vittima di stupro, violenza fisica o stalking da parte di un partner; una studentessa di scuola superiore su cinque è vittima di abusi sessuali e psicologici da parte di ragazzi con cui esce e, in media, più di tre donne ogni giorno sono uccise dai loro partner.
Questo, a distanza di vent’anni da quando il presidente Bill Clinton firmò, trasformandolo in legge, il
Violence Against Women Act, fortemente sostenuto e voluto dall’allora senatore Joe Biden, oggi vice presidente del paese e ancora instancabile sostenitore dei diritti delle donne. Grazie a quella legge, per esempio, picchiare una donna diventò un “fatto serio” con conseguenze altrettanto drammatiche.
“La decisione della NFL" dice la Solomon riferendosi alla vicenda di
Ray Rice, il giocatore di football americano dei Baltimore Ravens espulso a tempo indeterminato per un episodio di violenza a danno dell'allora fidanzata, oggi moglie, Janay Palmer "è ammirevole in questo senso. Sono lieta che ci sia stato un ripensamento rispetto all’originaria sospensione per soli due turni che avrebbe dato un segnale sbagliato. Per fortuna, l’attivismo di tutti coloro che hanno inviato mail di protesta alla lega e fatto sentire la propria voce attraverso i social network ha funzionato e ora la NFL ha dimostrato di dare il giusto peso a una vicenda cosi grave”.
Rice era stato filmato dalla telecamera a circuito chiuso di un ascensore mentre colpiva duramente la donna che si accasciava a terra priva di sensi, tanto che lui era costretto a trascinarla per i piedi una volta arrivati a destinazione. Un episodio che ha riportato la violenza domestica sotto i riflettori “ma non ha spinto piu’ donne a denunciare abusi”, perlomeno a New York. Rona Solomon, infatti, ritiene che sebbene la storia di Rice sia “utile” per far parlare di più di questo problema, essa è troppo lontana, almeno apparentemente, dalla quotidianità delle vittime che non sentono di potersi paragonare a personaggi famosi.
“Eppure
la violenza domestica riguarda tutti i tipi di donne – precisa la Solomon – Ricche, povere, colte, con carriere importanti, di religioni ed etnie diverse: tutte possono diventare vittima e l’unico elemento che può aiutare a uscire fuori dalla spirale della violenza è la stima di sé”.
Facile, dunque, trovarsi in una relazione violenta, difficile uscirne, come testimonia il successo dell’hashtag
ì#WhyIStayed che sta raccogliendo, da giorni, le storie di donne che non hanno avuto il coraggio di chiedere aiuto a lungo, nonostante situazioni familiari intollerabili.
“Le donne restano per due ragioni fondamentali – dice la Solomon – La prima è la paura. Paura di scatenare una rabbia ancora pù feroce, una violenza ancor più cieca. “L’obiettivo”, in una relazione domestica basata sulla violenza è quello di avere il controllo totale sulla vittima e la fuga rappresenterebbe la perdita di tale controllo e il conseguente esplodere della rabbia. La seconda ragione è l’amore. Si sta in una relazione per amore e si fa di tutto per farla funzionare. A tutti capita di vivere relazioni difficili da cui si fa fatica ad uscire e la violenza, laddove c’è, viene vista troppo a lungo come un elemento risolvibile”.
Se ci sono due ragioni fondamentali per restare ce n’è almeno una, ancor più determinante, per scegliere di andare via: i figli. “Se un uomo non estende la sua violenza ai figli, la donna resta più a lungo possibile, ma nel momento in cui anche i figli diventano vittime, la fuga diventa quasi sempre inevitabile”. E se ci sono innumerevoli fattori che contribuiscono a relazioni violente e che vanno dalla religione, che spesso giustifica comportamenti dominanti nei confronti delle donne, alla violenza dell’ambiente in cui si vive, sia familiare che sociale, c’e un elemento essenziale che può diventare il vero argine alla diffusione di questo fenomeno: l’educazione.
“Noi organizziamo – dice la Solomon – moltissimi interventi all’interno delle scuole per insegnare come vivere una relazione “sana”. Ogni anno, circa 2700 studenti sono coinvolti in workshop che aiutano a stabilire i limiti comportamentali che bisogna imparare a rispettare. Il nostro obiettivo è quello di gettare le basi perché il loro futuro sia sano ed equilibrato”. Senza mai arrendersi, perché il fatto che oggi ci siano tante denunce, non significa necessariamente che le cose siano peggiorate, piuttosto che la rete di protezione sociale e legale costruita intorno alle donne funziona meglio e abbatte sempre di piu’ il muro della paura, spingendole a chiedere aiuto.