Il giornalista inviato del New York Times e prossimo ospite del festival di Ferrara si racconta a tutto campo e anticipa alcuni passaggi del suo nuovo libro su Castro che uscirà nel 2016. "Voglio raccontare l'altra metà della storia di Cuba”

"Non le sembra che Israele alla fine sia come Isis?", chiede un giovane con la voce arrabbiata. «Non le sembra che siano in fondo uguali?». Nel pubblico dell'Hargesia Book Fair qualcuno applaude, ma Jon Anderson non si scompone.

Corrispondente di guerra del New York Times, autore di una monumentale biografia di Che Guevara e di una, in uscita, su Fidel Castro, è abituato alle provocazioni. Sa come non cadere nella trappola. Sa che molti giovani, soprattutto in queste zone, sono bombardati ogni giorno da propagande sbagliate. Non risponde alla domanda: rispondere significherebbe avvallare un paragone inaccettabile. Ma invece spiega, da buon maestro, con pazienza, quello che sta succedendo in Medio Oriente.

È quello che si prepara a fare a Ferrara, dove verrà il 4 ottobre, invitato al festival di giornalismo di Internazionale, dove condurrà un workshop dal titolo “A Caccia di storie”.

Insieme a lui, a Ferrara saranno presenti Martin Baron, direttore del Washington Post, e Edwy Plenel, ex direttore di Le Monde e fondatore del giornale Mediapart, che ragioneranno sullo stato dell'arte (e sulla grande crisi) del giornalismo mondiale. Jhumpa Lahiri, scrittrice statunitense di origine indiana, spiegherà al pubblico il suo amore per la lingua italiana in cui ha deciso di provare anche a scrivere.

Tra gli appuntamenti più attesi, la chiacchierata tra John Berger e Teju Cole e lo spazio dedicato alle migrazioni, dove testimonial come il rapper Amir e l'attrice Ester Elisha saranno intervistati dai giovani di Ferrara, figli di italiani e figli di migranti. A rappresentare gli scrittori italiani, tra gli altri, Marino Sinibaldi, Gipi e Francesca Bellino.

L'Espresso ha incontrato Jon Anderson ad Hargesia. Molti i temi sul piatto. Il primo è naturalmente Cuba. Infatti Anderson ha in preparazione una biografia, che si annuncia anch'essa monumentale, sulla figura di Fidel Castro prevista in uscita per il 2016. “Con la biografia del Che ho lasciato la storia di Cuba, della rivoluzione cubana e la figura di Fidel Castro incompleta, arrivo fino al 1967. C'è un'altra metà del secolo da raccontare. Quello che ho pianificato di scrivere è una biografia meno formale di Fidel e del resto della rivoluzione cubana, post-Che, nella quale naturalmente Fidel è la principale figura storica”.

Qualcuno ogni tanto gli chiede se Fidel Castro sia morto. Jon sorride e dice “chiedete tutti la stessa cosa. È malconcio. Ma per ora è vivo”. È un uomo pragmatico Jon Lee Anderson, non ama le teorie del complotto. È uno che vaglia i fatti uno per uno. Non tralascia nessun dettaglio. Sa che ogni virgola può essere importante. È l'attitudine al viaggio che gli ha dato questa forma mentis. Ha vissuto in molti paesi tra cui Corea, Colombia, Taiwan, Spagna, Gran Bretagna e naturalmente Cuba. Il suo passaporto trabocca di visti. Sembra quasi un compendio enciclopedico di quanti timbri diversi esistano al mondo. E il viaggio, in fondo, insegna ad essere onesti con il prossimo. Soprattutto nella scrittura. Lo stile, lo si nota leggendo Che una vita rivoluzionaria, è fluido. Sembra quasi essersi nutrito della sapienza di tutti i popoli che ha attraversato.

Ed è di questa sapienza che si avvarrà per la sua nuova avventura. Ernesto Che Guevara e Fidel Castro sono molto diversi, Jon lo sa. “Il Che era un asceta che aveva qualità mistiche, aveva più del profeta che dell'uomo che percepiva se stesso come un capo. Fidel invece è sempre stato una persona con una grande visione, ma prima di tutto una creatura politica, qualcuno che vedeva se stesso fin dall'inizio come un predestinato a fare il leader.”

L'ultimo comunista? “In un certo senso sì, è rimasto fedele agli ideali che ha adottato nei primi anni della rivoluzione che ha portato avanti”. Però Cuba, e il mondo intero, non possono prescindere dal genio rivoluzionario di Ernesto Guevara de La Serna “La sua eredità” sottolinea Jon Lee Anderson “è quella di ricordarci che viviamo in un mondo che si basa sulle diseguaglianze”.

Non a caso nelle ultime righe, che chiudono le 1032 pagine della biografia, Anderson scrive: “Il Che rimane immutabile. È immutabile perchè gli altri vogliono che sia così, esempio solitario dell'Uomo nuovo che una volta è vissuto e ha sfidato gli altri a seguirlo”.

Reportage
Pepe Mujica: "Vi racconto il mio Uruguay"
20/2/2014
Sull'America Latina Anderson, che ha dettagliatamente documentato nei suoi articoli i tormenti delle dittature centroamericane negli anni '80 del secolo scorso, oggi si dice mediamente ottimista: “Il continente ha politiche, rispetto al passato, più diversificate ed indipendenti. E questo è assai salutare. Mujica e Evo Morales sono esempi di questo, e a loro modo lo sono i governi dei paesi Alba. Però ci sono tante cose che non sono ancora cambiate, perdurano purtroppo alcuni aspetti negativi. Per esempio la mancanza dello stato di diritto in gran parte del continente, soprattutto per i più poveri e per quei paesi strangolati dal narcotraffico, la corruzione, il populismo. Inoltre nonostante una classe media che cresce i grandi centri urbani sono sempre più massicciamente interessati dal fenomeno delle favelas e da alti indici di criminalità. e violenza, legati alle disparità sociali. In questo panorama un leader come Mujica risulta giustamente il preferito tra i leader latinoamericani perché è un leader eccezionale in questo senso: fedele ai suoi principi, onesto e totalmente trasparente”.

Anche per Cuba l'ottimismo di Jon non manca, “Avrà le sue pene e le sue lotte per il futuro, però quel che di buono verrà è legato soprattutto al capitale umano che c'è. I cubani sono imprenditori e come dicono spesso no se quedan atras, non rimangono indietro. É nel loro Dna risollevarsi nelle cattive circostanze”.

Se per l'America Latina il futuro è quasi accettabile, per il Medio Oriente il tono del reporter del New Yorker cambia. Si fa più grave, afflitto. “Sono addolorato dalla crudele barbarie e dalla degradazione umana dei conflitti in Medio Oriente, e di come l'estremismo si è diffuso e si è radicato. Isis è un vile culto della morte e andrebbe eliminato, così come è stato fatto con i nazisti all'epoca, o, per fare un'altra analogia con un gruppo estremista tra i più crudeli, i Khmer rossi".

Il pensiero corre a James Foley, a Steven Sotloff, a David Haines. “Ho incontrato James Foley in Libia e l'ho visto l'ultima volta al confine turco con la Siria. Era coraggioso, timido, ostinato, una brava persona che aveva cura del prossimo”.

Jon non si sente un oracolo. Enuclea i problemi che affliggono il Medio Oriente come il finanziamento al terrorismo sunnita da parte dei paesi del golfo. Ma il futuro per lui si gioca sull'atteggiamento della politica statunitense con la Siria, l'Iran, L'Arabia Saudita: “Per adesso Obama sta cercando di mantenere un status quo disordinato, non chiaro, ma non può reggere a lungo”.

In questi scenari sempre più brutali e caotici il lavoro del giornalista non è tra i più facili. “ma è ancora possibile” ed è questo che dirà agli aspiranti reporter che si sono iscritti al suo workshop ferrarese. In un certo senso anche per i reporter vale oggi il motto di Ernesto Guevara de la Serna: Hasta la victoria, Siempre! Perchè diffondere le storie è forse la vittoria più bella.