Sono finite le figure di riferimento, le autorità morali riconosciute. ?Ed è un bene. Oggi nel dibattito pubblico gli scrittori non devono più avere un ruolo privilegiato. Un nuovo intervento nella discussione aperta da Paolo Di Paolo

Lo scrittore Filippo La Porta
Ho la sensazione che la discussione intorno agli intellettuali, aperta da Paolo Di Paolo (“l’Espresso” numero 16) e seguita da vari interventi, soffra di una impostazione convenzionale. Vorrei partire da una affermazione di Hans Magnus Enzensberger, condivisibile nella sua ovvietà: «Gli intellettuali non sono più intelligenti delle altre persone» (si veda l’intervista in Rete “A closer look”). E aggiunge: «Spesso non hanno idee ma dispensano la loro opinione su tutto».

Davvero, vorrei chiedere a quanti hanno partecipato alla discussione, a scrittori che stimo e di cui sono amico, come Paolo Di Paolo, Sandro Veronesi, Michela Murgia, Valeria Parrella, etc.: avete la nostalgia del famigerato engagement, che serviva perlopiù agli intellettuali di sinistra per avere visibilità, incarichi pubblici e sentirsi vicini al popolo senza troppa fatica? Siete sicuri che il nostro problema sia il fatto che «agli intellettuali italiani non interessa più quello che succede nel mondo»(Di Paolo)? Nemmeno al mondo interessa granché ciò che gli intellettuali pensano di lui.
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Intellettuali e politica, Paolo Di Paolo: l'impegno di Zerocalcare e il silenzio degli altri
19/4/2016


Nella stessa intervista Enzensberger dice che proprio in Italia hanno inventato un termine per questa figura di accademico-umanista che sproloquia su ogni cosa e si sente responsabile per tutto: “tuttologo”! Cosa gli diciamo, a Enzensberger, che vogliamo i tuttologi? E proprio di questo scrive Camilla Baresani: «Spesso mi prende una vertigine di inadeguatezza per la grande quantità di questioni su cui sono chiamata a esprimere un’opinione scritta, e vorrei sempre dire “ma che ne so, la mia visione è parziale, non conosco tutti i dati e non ho tempo di studiarli”» intervento nel volume collettivo “12 apostati”, Damiani editore).

E disegna poi un decalogo dello scrittore contemporaneo impegnato: «devi saper parlare in pubblico, devi adottare un tono oratorio, devi trasformare le tue osservazioni in predicozzi, devi infarcirli di citazioni di autori celebri perlopiù morti, per aumentare il consenso del pubblico aspirazionalmente colto e col ghiribizzo intellettuale, non devi creare dubbi ma distribuire certezze, devi avercela con qualche potere forte…» (e devi parlare di problemi alla moda, aggiungerebbe Michela Murgia).
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Intellettuali e politica, Valeria Parrella: "La mia voce non va in piazza"
4/5/2016


Insomma che i nostri intellettuali generalmente invadenti, ingombranti, vaniloquenti, abbiano scelto il silenzio sui temi pubblici a me sembra, benché motivato da deplorevole menefreghismo, un dono del cielo. Ricordate nel marzo del 2013 l’appello degli intellettuali su Repubblica (Bodei, De Monticelli, Settis, Spinelli, ecc.) rivolto al M5S affinché partecipasse a un programma di governo? Venne sbeffeggiato da Grillo, citando Gaber. E a tratti mi sembrò perfino sfiorare un Kitsch dell’impegno.

La lettera era infatti intitolata “Se non ora quando?”, citando il titolo del romanzo di Primo Levi che parla di partigiani ebrei nel 1943 (un po’ come Santoro che canta in diretta “Bella ciao”). Ma soprattutto mi chiedo: perché Grillo avrebbe dovuto starli a sentire? Si sentono i legittimi portavoce del ceto riflessivo, le icone eterne della sinistra perbene? Non hanno capito che, quasi mezzo secolo dopo Sartre, non è più il tempo degli intellettuali come coscienza critica del paese?
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Intellettuali e politica, interviene Aldo Nove: "La realtà è annichilita, gli scrittori anche"
9/5/2016


In un blog leggo questo pungente commento (di Claudio Messora): «Che significa “intellettuale”? Dov’è che ci si laurea in “intellettualità”? La categoria degli intellettuali è tutta italiana. È un’altra casta, con le sue baronie, i suoi intoccabili, quasi sempre schierati, che mangiano alla tavola dei privilegiati, che vanno alle prime, che scrivono prefazioni, che si invitano reciprocamente ai convegni, che hanno un’interpretazione per ogni cosa, quasi sempre consona al mantenimento del loro status…». Va bene, sarà pure esagerato ma coglie una verità.

Chiediamoci allora, di nuovo, “che significa intellettuale”? Ci sono due aspetti della questione. Anzitutto l’intellettuale come figura pubblica, come opinionista, come voce critica più o meno autorevole nel dibattito pubblico. Generalmente si tratta di un umanista che interviene su questioni relative al costume, all’etica, alle trasformazioni della società.

Forse le ultime grandi incarnazioni di questa figura, nel nostro paese, sono stati Pasolini e Calvino. L’intellettuale profetico, apocalittico e l’intellettuale scettico, problematico. Dopo di loro è venuto meno qualsiasi status privilegiato dell’intellettuale stesso. A nessuno viene - giustamente - riconosciuta una autorità aprioristica. Non ci sono più modelli né caste. E in rete viene sancito il principio democratico che uno vale uno, l’opinione di Magris vale quanto quella di un blogger quindicenne.
[[ge:espresso:plus:articoli:1.264331:article:https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2016/05/05/news/intellettuali-e-politica-michela-murgia-noi-scrittori-del-reale-in-trincea-contro-i-media-1.264331]]

Per Edward Saïd l’intellettuale deve essere un outsider, un amateur o dilettante, senza alcuna aspettativa di potere: un emarginato e in quanto tale capace di rappresentare tutte le marginalità sociali. In ciò non fa che riprendere una antica, nobile tradizione, che in Occidente associa l’intellettuale al dissidente, a chi è inorganico, non appartenente, eretico: da Montaigne fino a Marcuse. Su questo mi limito a suggerire ai nostri maître-à-penser non una conversione al pauperismo ma un elementare dovere di trasparenza: ci mostrino più spesso la relazione tra ciò che dicono e ciò che fanno, tra privilegi materiali e scelte etico-politiche.

Poi c’è l’intellettualità diffusa, il cosiddetto “cognitariato”. Se le forze produttive oggi sono soprattutto l’intelligenza, la cultura, etc. (come previsto da Marx) tutti, o quasi, siamo intellettuali, nel senso che in ciascuno di noi si dispiega una funzione critica, riflessiva che perfino il capitalismo intende valorizzare. Proprio perciò non viene più accettata la posizione dell’intellettuale come guida morale, dotata di un sapere superiore. Bauman ha registrato il passaggio da intellettuali legislatori (modernità) a intellettuali interpreti (postmodernità), con una loro competenza specifica al servizio di movimenti e associazioni, e si riferisce non solo all’umanista ma al matematico, al biologo, all’ingegnere...
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Intellettuali e politica, Sandro Veronesi: 'Taci, il nemico non ti ascolta'
18/5/2016


Dall’universalismo al relativismo. Però alla fine nel relativismo delle opinioni torna il bisogno di discernimento critico, di una autorità fondata sull’argomentazione, insomma di potenziali “legislatori”. La figura storica dell’intellettuale è tramontata (il “ruolo”, con i suoi privilegi e la sua posizione di rendita), non la “funzione”, legata socraticamente al pensiero critico, e a una attitudine interrogante, dialettica che appartiene sempre più a ciascuno.

Potrebbe essere che la figura prossima sarà quella dell’intellettuale-massa dilettante e a suo modo legislatore: restio a firmare appelli e a partecipare a un talk show, disperso nella folla solitaria del web, ma capace di una visione complessiva e portavoce di qualche marginalità. Così Raffaele La Capria descrive il proprio patriottismo: «Ogni volta che riesco a comporre una frase ben concepita, ben calibrata e precisa in ogni sua parte, una frase salda e tranquilla nella bella lingua che abito, e che è la mia patria, mi sembra di rifare l’Unità d’Italia».
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Intellettuali e politica, Giuseppe Catozzella: 'L’eco dei media allo scrittore non serve'
25/5/2016


Ecco, ogni volta che scrivo una frase ben concepita, calibrata, etc, non tanto mi sento un patriota quanto mi sento “impegnato”, almeno come scrittore. Poi, come cittadino, posso meritoriamente attivarmi su temi che riguardano l’ambiente, la salute, la politica internazionale, i diritti umani, la tutela delle minoranze, i diritti degli animali, etc. Ma questa è un’altra storia.