La conquista della città (8-9 agosto 1916) fu il primo successo bellico dall’inizio della prima guerra mondiale. Ma in quei giorni si espresse anche lo sconforto di chi vedeva il massacro di decine di migliaia di commilitoni. Come raccontano le lettere e i diari di Pieve Santo Stefano, consultabili online grazie al progetto del Gruppo L'Espresso
La mattina del cinque d'agosto?si muovevan le truppe italiane?per Gorizia, le terre lontane?e dolente ognun si partìRecita così la prima strofa di “O Gorizia tu sei maledetta”, canto popolare nato nelle trincee italiane della Prima guerra mondiale. Esattamente un secolo fa.
Sono i primi giorni dell’agosto 1916 e i soldati del Regio esercito si preparano a combattere la Sesta battaglia dell’Isonzo. Quella che passerà alla storia per la “vittoria” e per la “presa” (8-9 agosto) di Gorizia, città oggi al confine orientale della Penisola, un tempo inclusa nei territori dell’Impero austroungarico. Il primo successo bellico dall’inizio del conflitto, per quanto effimero, suscita entusiasmo nel Paese e tra le truppe al fronte. Ma trova anche una traduzione immediata e inaspettata in quella canzone di protesta, che si propaga tra i fanti di bocca in bocca. Esprime la rabbia di milioni di uomini, spettatori da più di un anno del massacro di decine di migliaia di commilitoni. Vittime designate, hanno appena compreso quale prezzo sono disposti a pagare i comandi militari pur di ottenere una conquista modesta.
[[ge:rep-locali:espresso:285224816]]Tra il 6 e il 16 agosto l’Italia conta oltre 20.000 morti e più del doppio dei feriti. L’Austria-Ungheria circa 5.000 morti e quasi 20.000 feriti. Una carneficina inaccettabile. Persino i soldati semplici se ne rendono conto, ne parlano tra di loro fin quando le parole non diventano un ritornello da intonare durante le marce, lontano dalle orecchie degli ufficiali.
Voi chiamate il campo d'onorequesta terra di là dei confiniQui si muore gridando assassinimaledetti sarete un dìSPECIALE I DIARI DELLA GRANDE GUERRACantano e scrivono, i soldati. Nei diari, nelle lettere che spediscono a casa. Molte di quelle pagine, raccolte e custodite dall’
Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, sono consultabili online dal giugno 2014 grazie al progetto
“La Grande Guerra, i diari raccontano”, lo speciale del Gruppo Editoriale L’Espresso che per la prima volta ha reso accessibili e navigabili da casa, da chiunque, circa 200 testimonianze inedite.
Quella dell’artigliere Achille Salvatore Fontana, 22 anni, di Como, racconta in modo esemplare del mito e del contro-mito che si crea intorno alla conquista, e del duplice stato d’animo che vivono i soldati.
Carissimo padre e sorella,Ricevetti ieri sera la vostra desiderata lettera, ed eccomi subito a rispondervi, intanto che ho un momento di tregua. Mi metto a scrivervi tanto per non farvi pensare male, ma a dirvi è vero la mia testa non è ancora a posto, il mio cuore non si trova tranquillo come prima. Sento ancora nelle orecchie il rombo assordante del cannone, ed il fragoroso bombardamento che abbiamo fatto con le nostre potenti bombarde all’inizio della grande offensiva per la presa di Gorizia. Davanti a me ho ancora la visione di quei poveri soldati feriti, che gementi trasportavano sulle barelle, di quei poveri morti che si trovavano per terra sfracellati. Però nel medesimo tempo sento in me (come pure nel cuore di tutti) un certo raggio di gloria, una certa consolazione, per la bella vittoria riportata dalle nostre valorose truppe, che, dopo 15 mesi di dura lotta e sofferenze, entrarono (nelle prime ore del pomeriggio) nella città di Gorizia. Un conflitto interiore che si proietterà dai singoli individui alla collettività, e dalla cronaca a una memoria che continuerà a rimanere divisa per molti anni. Nel 1964, l’anno in cui Fabrizio De Andrè canta “La guerra di Piero”, anno a metà strada tra lo scoppio della Grande Guerra e i nostri giorni, al festival dei Due Mondi di Spoleto divampa la polemica più eclatante. L’antimilitarismo si è “appropriato” da tempo di “O Gorizia” le cui strofe accompagnano molti cortei degli anarchici e della sinistra. Soprattutto in una delle molte versioni in circolazione, che punta decisamente il dito contro i comandi militari e che il Nuovo Canzoniere Italiano, gruppo di musicisti-ricercatori-intellettuali, decide di proporre provocatoriamente al pubblico tradizionalmente borghese della rassegna.
Traditori signori ufficiali che la guerra l’avete voluta scannatori di carne venduta e rovina della gioventùLe cronache, che riempiono per giorni i giornali dell’epoca, raccontano dei brusii della sala che si trasformano in grida di protesta e tafferugli e di uno strascico di polemiche che si abbatte sugli organizzatori del festival. Infine, di una denuncia per vilipendio delle forze armate che avrà l’effetto di amplificare il successo dello spettacolo che porta in scaletta la canzone, intitolato
Bella ciao e pensato come tributo al patrimonio di canti popolari italiani.
Da quei giorni e da quelle polemiche non sono stati fatti passi in avanti. Nonostante gli storici non perdano occasione per ricordarci che viviamo nell’“era post ideologica”, la memoria su Gorizia continua a essere divisa, contesa o tutt’al più taciuta. Almeno fino a oggi. Nei prossimi giorni, giorni di celebrazioni o commemorazioni a seconda dei punti di vista, ci saranno nuove occasione per cercare una sintesi. Il
programma delle iniziative per “il centenario della presa di Gorizia”, che compare sul sito del comune, si presenta con luci e ombre. Staremo a vedere. E a sentire.
O Gorizia, tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza!Dolorosa ci fu la partenzache ritorno per molti non fu