Il duo ha in programma un tour che inizia il 3 febbraio. E ha appena realizzato un nuovo disco. Di cui dicono: "Abbiamo suonato dal vivo le canzoni dell'album per un anno intero"

«Forse qualcosa ha funzionato», commenta Massimo De Vita. “Qualcosa” significa centocinquanta concerti in Italia e all’estero in ventiquattro mesi, sette premi (tra cui il Bertoli, ?il De André e il Buscaglione), un disco appena uscito e il nuovo tour che inizia il 3 febbraio dalla provincia di Pordenone. ?Un bel risultato per i Blindur. Sono due, napoletani, l’altra metà si chiama Michelangelo Bencivenga, e per il mix e il mastering del loro debutto omonimo (etichetta La Tempesta) si sono affidati a Birgir Jón Birgisson, fonico e produttore dei Sigur Rós.

Il vostro è un disco folk e post-rock molto vicino all’Irlanda e all’Islanda. Perché avete scelto di registrarlo in presa diretta?
«Scriviamo i brani quasi sempre in tour e abbiamo suonato dal vivo le canzoni dell’album per un anno intero, per farle crescere a contatto con il pubblico. Registrare in presa diretta, in cinque giorni, ci ha aiutati a conservare l’entusiasmo e l’emozione che ci accompagnano quando siamo sul palco. E adesso stiamo pensando di inserire nella scaletta dei nuovi concerti anche alcuni pezzi che potrebbero finire nel prossimo disco».

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«Io e Michelangelo abbiamo fatto parte di molti gruppi fin dai tempi della scuola. Nel 2014 ci siamo ritrovati in due e siamo andati avanti creando questo nuovo progetto. L’idea era quella di allestire set acustici ed elettrici diversi tra loro e capaci ?di farci suonare il più possibile, in ogni contesto, soprattutto con le nostre canzoni. Forse qualcosa ha funzionato...».

E l’attenzione che avete all’estero?
«La dobbiamo a due episodi: il primo a Dublino. Amiamo l’Irlanda e l’abbiamo sempre frequentata. Poi una sera abbiamo partecipato a un Open Mic per band e cantautori dove ognuno porta due brani e il livello di attenzione è molto alto. ?Il secondo episodio riguarda invece la Francia. I proprietari di due locali avevano sentito la nostra musica e ci hanno chiamati per portarla anche da loro. Da queste esperienze sono nati altri live e i tour in Germania, Belgio e Islanda. E abbiamo capito che la lingua delle nostre canzoni, l’italiano, non era ?per niente un ostacolo».

State lavorando anche a uno spettacolo teatrale?
«Sì, ma per adesso con una certa calma, anche se è un’idea alla quale teniamo molto. Ci piacerebbe costruire un lavoro sulla cecità, con testi e canzoni capaci di restituire un punto di vista differente rispetto a quello del buio e dell’assenza di luce».

Blindur vuol dire cieco, un nome legato alla tua storia personale. Ma perché avete scelto una parola islandese?
«Dopo un concerto dei Sigur Rós ho incontrato il loro cantante. Ero lì per farmi autografare i dischi e durante la chiacchierata Jónsi ha notato che io non vedo: questo ha cambiato il tono della conversazione perché anche lui non vede da un occhio. Io e Michelangelo stavamo scegliendo il nome del gruppo proprio in quel periodo, quindi l’incontro con Jónsi ci ha suggerito che Blindur fosse la parola giusta».