«Per me felicità è assenza di dolore: non sono stato in grado di proteggermi». Lo scrittore torna con il suo ultimo lavoro in cui riflette sulla solitudine di Giovanni Falcone: la viltà, la rivalità, l’invidia. E su ciò che racconta dell’Italia, trent’anni dopo, la strage di Capaci

“Solo è il coraggio” è un carotaggio archeologico dentro la distanza che si è scavata tra noi oggi e il 23 maggio del 1992. Questa nuova, corposa no-fiction novel di Roberto Saviano, costruita su documenti, la letteratura come metodo di narrazione (i cui riferimenti più evidenti sono in “Santa Evita” di Tomàs Eloi Martinèz; in “Vice”, il film su Dick Cheney di Adam McKay; in “Stalin” di Sebag Montefiore; in “Empire of pain – il libro su Big Pharma” di Radden Keefe, e nei lavori di William Goldman) è l’anatomia del corpo malato di uno Stato presidiato permanentemente da quattro mafie.

 

La nota finale vale come mappa dell’incontro-scontro tra documenti e letteratura. Erano gli anni del Maxiprocesso a Cosa nostra, a cui poi è seguita Mani pulite. Una volta per tutte è stato dimostrato che la mafia è un’organizzazione verticistica e solo un angolo del triangolo che la collega a certa politica e a certa imprenditoria. Per alcuni mesi è sembrato che «si potesse camminare per strada a testa alta, con la schiena dritta con una manciata di speranze in tasca. Per questo è sufficiente che la giustizia non perda». L’unica ossatura di uno Stato democratico è la credenza nei cittadini che i torti verranno puniti e i meriti premiati. “Solo è il coraggio” (Bompiani, 2022) è la cronaca documentatissima della vita, del lavoro e delle passioni di una persona che ha combattuto perché così fosse. È la storia di una solitaria resistenza. Fallita.

 

Falcone sa che verrà ucciso e porta con sé un dolore indicibile. In una scena è a casa di Chinnici, vede la figlia e pensa che lui non avrà discendenti perché “non si mettono al mondo orfani. Tutto quel dolore che un giorno spaccherà le ossa, è già dentro di lui. È il suo dolore, e non vuole cederne neanche un po’”. Cos’è il dolore?
«Il dolore per me è uno stato perenne, ormai felicità è assenza di dolore. Il livello di conflitto, odio e lotta in cui ho vissuto in questi 16 anni ha devastato tutto, non sono stato in grado di proteggermi. Dolore è la mia condizione cronica. Ho cercato di capire come Falcone affrontasse il dolore costante, quello della perdita, di non avere figli, quello causato dalla paura che il suo lavoro fosse vano. Quello causato dalla consapevolezza di venire ucciso».

 

Se niente cambia in Italia è perché Falcone viene tradito da tutti: “trombato” all’ufficio Istruzione, al CSM, come Procuratore generale, e alla fine ammazzato. Caponnetto appena arrivato a Palermo dice una cosa sul Sud. “A Firenze, a un saluto d’insediamento partecipano cinque o sei persone. Qui si organizzano sontuose tavolate. Poi, però, devi guardarti le spalle da quello della porta accanto”. È una metafora dell’Italia, nata da un tradimento. Perché il nostro destino è essere accoltellati alle spalle?
«Siamo un Paese di contrade, rivali del vicino. Non è importante vincere, ma che il rivale si fotta. È lo stesso meccanismo dei premi internazionali, degli Oscar: l’importante è che non vinca un italiano. La bellezza artistica dell’Italia nasce anche da qui: il campanile, le chiese, i monumenti di ogni città sono frutto della competizione con le altre. Per l’arte funziona, per l’uomo no: cerco di battere l’altro delegittimandolo, fottendolo. Falcone viene ucciso soprattutto dall’invidia. La sentenza sull’Addaura lo dice: l’attentato fu di Cosa nostra, ma venne delegittimato dicendo che se l’era fatto da solo per fare carriera. Siamo un Paese fondato sul tradimento».

 

Nel romanzo c’è il conflitto tra professione e vita, freddezza e ingenuità. “Tutti gli uomini invalidati da un eccesso di onestà, tutti gli animi puri e in certo senso fanciulleschi, quando si tratta di se stessi peccano d’ingenuità”. È il lato scoperto, dal quale si viene feriti. Dove risiede la tua, di ingenuità?
«Nel pensare che si potesse contare su una solidarietà della lotta, invece quando parli chi ti ascolta pensa che se tu hai uno spazio lui non ce l’ha. Nel credere che un lavoro fatto bene porterà risultati. Nel credere che il ragionamento possa smascherare l’irrazionalità. Infine nel non aver capito subito che tra scrittori, giornalisti ci si odia, e le eccezioni sono rarissime. È un ambiente in cui ci sono solo maldicenza e odio. Falcone riesce a proteggere se stesso nonostante le delusioni. Questo è stato per me un motore fortissimo».

 

Quando Dalla Chiesa arriva a Palermo si rende conto che non c’è la volontà che lui svolga per bene il suo lavoro di prefetto. È nello sconforto. La moglie gli ricorda che è un uomo dello Stato, e lui risponde “uomo dello Stato non so più cosa significa”. Cosa è l’Italia nel 2022, a 30 anni dal suo più grande fallimento civile, per cui è “complicato distinguere la parte sana da quella marcia”?
«Non è come l’avevano sperata loro. Non è cambiata, anzi. Per un altro verso, invece l’Italia di oggi ha due costituzioni: quella dei padri costituenti e quella del Pool antimafia, che ha cambiato la storia mondiale mostrando che i soldi dell’eroina e dell’estorsione diventavano ricchezza legale e influenze. Non esiste democrazia se l’economia è marcia. Io qui non mi sono appropriato di una storia, ma ho cercato di far sì che il lettore si faccia una sua idea, raccolga quello che è stato».

 

“Io se fossi in lui me ne andrei” dice Maria, la sorella di Giovanni. È una delle questioni centrali per noi italiani, emigrare verso Paesi in cui il merito è premiato e non punito. Perché rimani?
«Ormai la linea della palma di Sciascia si è spostata oltre il nord Italia. Oggi anche al nord c’è disoccupazione, precariato, povertà. Quello che consiglio a un giovane è di andarsene, non c’è altra rivoluzione. Quello che i meridionali hanno sempre capito è che non puoi cambiare la realtà. Quando cambia per interventi individuali sono atti di grande sacrificio: Mimmo Lucano, Renato Natale. Le rivoluzioni hanno bisogno di risorse e persone, e in Italia e nel Sud mancano. Il Sud cambierebbe facendo entrare un milione di migranti all’anno. Il mio desiderio di lotta finora ha prevalso, ma spero un giorno di trovare la forza di far ripartire la mia vita da un’altra parte. I meridionali lo sanno: se vuoi cambiare devi partire».

 

“Il vero dramma è questo agnosticismo della coscienza. È che esiste gente talmente stupida da non credere in niente”. Tu fai libri, cinema, giornalismo. Credi ancora nel potere della parola?
«Credo nella parola letta dentro i libri. Leggere significa creare. Ho molta fiducia in chi si prende del tempo per leggere. Dopo di che, sono sempre meno convinto che possa esserci un cambiamento. Ma siccome la scrittura è una fede non riesco a fare a meno di credere nell’atto di scrivere».

 

L’amore salva?
«L’amore non salva perché nulla salva. L’amore può dare senso: ovvero sull’orlo dell’abisso non tutto sembra inutile. L’amore è protezione della propria terra, dell’idea di giustizia, delle proprie idee. La vita di Falcone è costellata di atti d’amore».