A parità di dosi e di tempo, altri Paesi europei - come Germania, Francia e Spagna – sono riusciti a rallentare la folle corsa dei morti. “Eccetera”, quell’errore nelle linee guida del ministero della Salute che ha spalancato le porte alle lobby che hanno scavalcato la fila a danno di fragili e anziani

In Italia oggi si muore di Covid più di un mese fa, mentre i numeri della campagna vaccinale danno conto di una guerra, quella contro il virus, che altrove in Europa si combatte con armi più efficaci. È questa la realtà, certificata dalle cifre, dalla triste contabilità dei lutti. Nelle ultime settimane, grandi Paesi paragonabili al nostro per dimensioni e quantità di dosi ricevute hanno visto diminuire i caduti sul fronte della pandemia molto più velocemente rispetto all’Italia.

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Non è questione di farmaci, né di forniture, ma di organizzazione. Germania, Francia e Spagna hanno protetto meglio i loro anziani grazie ai vaccini e li hanno protetti ovunque allo stesso modo, dalle grandi città alle zone rurali. In Italia invece ogni regione ha fatto da sé, tra errori, incidenti di percorso, guasti informatici e corsie preferenziali per potenti e raccomandati. A Roma e a Napoli, decine di migliaia di ottantenni hanno ricevuto una doppia dose del siero Pfizer già in febbraio, mentre i loro coetanei che vivono in Lombardia e in Toscana hanno dovuto rassegnarsi ad attese di settimane e molti di loro ancora aspettano di essere convocati per la fatidica iniezione.

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I sommersi da una parte. I salvati dall’altra. Colpa di norme scritte male dal governo di Roma ai tempi di Giuseppe Conte. Norme che hanno lasciato la porta spalancata ad abusi e gestioni improvvisate a livello locale. L’autonomia delle regioni in materia sanitaria ha fatto il resto, trasformando la campagna vaccinale in una babele di ordinanze spesso diversissime tra loro. Ne hanno fatto le spese i più deboli, come confermano le statistiche. A partire da febbraio, quando la campagna vaccinale è entrata nel vivo, Francia, Germania e Spagna, in misura diversa tra loro, hanno registrato una netta diminuzione della mortalità da Covid-19. In Italia, invece, la curva ha preso un’altra traiettoria e in marzo ha di nuovo puntato verso l’alto. Ecco i numeri: ai primi di febbraio Spagna e Germania contavano più di 9 morti per milione di abitanti, l’Italia era poco sotto quota 7, davanti alla Francia che viaggiava a 6,5 circa. Circa 60 giorni dopo, i due Paesi latini sono scesi intorno a 5 e la Germania è riuscita a piegare la curva fino a meno di 2 decessi per milione di abitanti. Un risultato, quest’ultimo a cui ha senz’altro contribuito il rigido lockdown imposto dal governo di Angela Merkel, che proseguirà fino a metà aprile nonostante i risultati già raggiunti. Ben diversa è la situazione dell’Italia, dove i progressi di febbraio sono stati annullati nel mese successivo. La media settimanale dei morti è così tornata a superare quota 7 per milione di abitanti, che significa 300-400 morti al giorno.

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A fare la differenza, una differenza che vale centinaia di vite, è stata la diversa gestione del piano vaccinale rispetto a Francia, Germania e Spagna. Secondo i calcoli dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) già a metà febbraio il governo di Berlino aveva garantito la prima dose al 20 per cento circa degli ultraottantenni. Lo stesso in Francia, mentre in Italia non si superava il 6 per cento. Nel Paese di Angela Merkel, i dati aggiornati al 26 marzo segnalano che il 61 per cento circa per cento delle dosi sono andate ad anziani di oltre 80 anni e a ospiti di residenze per la terza età. In Italia invece queste categorie hanno ricevuto il 40 per cento circa dei vaccini somministrati. Da noi le regioni hanno privilegiato centinaia di migliaia di dipendenti degli ospedali, compresi gli amministrativi, che non hanno nessun contatto con i malati. A questi lavoratori della sanità si sono poi aggiunti professori universitari, insegnanti e un esercito di professionisti, dagli avvocati ai magistrati, che di volta in volta hanno avuto il via libera dalle autorità regionali. In Germania invece si è fatta una selezione perfino tra le forze dell’ordine: hanno ricevuto il vaccino solo quelli operativi, a rischio di contatto con soggetti malati. Il fatto è che le norme tedesche elencano con precisione categorie e priorità per la somministrazione del vaccino, mentre in Italia si è scelto di fare diversamente.
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Il gravissimo pasticcio si poteva già intuire il due dicembre dello scorso anno, quando il ministro della Salute, Roberto Speranza, illustrò ai parlamentari le «Linee guida della campagna vaccinale». Un mese dopo, il due gennaio, quelle stesse linee guida, inzeppate di timide «raccomandazioni» per le Regioni, sono state tradotte in un decreto, con cui il governo indica una terna di «categorie prioritarie» da vaccinare. In quest’ordine: 1. operatori sanitari e sociosanitari «in prima linea», sia pubblici che privati accreditati. 2. residenti e personale dei presidi residenziali per anziani. 3. persone di età avanzata. La definizione di «prima linea» è stata però interpretata da molte Regioni in maniera estensiva, fino a includere anche i dipendenti del settore amministrativo delle aziende sanitarie locali e persino quelli che lavorano alle scrivanie di palazzi lontani chilometri dagli ospedali.
L’errore più grosso si trova in una postilla di pagina 7 del testo firmato da Speranza, dove si legge che «con l’aumento delle dosi si inizierà a sottoporre a vaccinazioni le altre categorie di popolazione, fra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali, quali anzitutto insegnanti e il personale scolastico, forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità ecc.». Ecc. sta per eccetera. Quella esitazione del governo giallorosso di Giuseppe Conte ha scatenato l’assalto delle lobby ai presidenti di Regione. Tutti si sono sentiti «appartenenti ai servizi essenziali»: bancari, portuali, avvocati, magistrati. Sulla stessa linea anche l’ordine dei giornalisti che ha sollecitato, senza ottenerlo, il vaccino per i propri iscritti. Per non parlare dei farmacisti, che sono arrivati a vaccinare anche gli addetti alle casse, a volte parenti del titolare.

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A metà febbraio, con l’insediamento del nuovo governo guidato da Mario Draghi, Speranza ha preso il posto di sé stesso come ministro della Salute. Un mese dopo, però, lo stesso Speranza non ha potuto fare a meno di cambiare rotta, correggendo le norme varate ai primi di gennaio. Mentre montavano le polemiche per le dosi gentilmente concesse alle più disparate categorie di privilegiati, il governo Draghi ha modificato per decreto le famigerate «linee guida della campagna vaccinale». Con un messaggio inequivocabile per le Regioni: tocca prima agli anziani e ai più fragili (con patologia), poi al resto dei cittadini sotto i 60 anni. Si procede con criterio anagrafico. Le eccezioni, questa volta, sono ben delimitate: «Personale docente e non docente, scolastico e universitario, forze armate, di polizia e del soccorso pubblico, servizi penitenziari e altre comunità residenziali». Abolito l’eccetera del primo decreto, quello del 2 gennaio. Ormai però il danno era fatto. La macchina delle vaccinazioni è partita lasciando a terra centinaia di migliaia di anziani, cittadini di 80 anni e più che solo ad aprile, forse, riusciranno a ricevere la loro dose. Nel frattempo, tra febbraio e marzo è scattata la corsa al vaccino, tra favori, raccomandazioni e giochi di lobby.

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