Inchiesta

Il tesoro nascosto di Piero Amara: case, terreni e società per il lobbista più conteso dalle Procure

di Enrico Bellavia e Antonio Fraschilla   9 luglio 2021

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Cessioni, donazioni, vendite. Mentre l’avvocato coinvolto nelle inchieste su Eni e Ilva continua a parlare, il suo patrimonio prende il largo. E tra i beni spuntano anche otto appartamenti acquistati nel 2013 dall’ex ministro Saverio Romano

Parla, rivela, racconta o forse millanta. E intanto risparmia. Anni di carcere con i patteggiamenti per corruzione e bancarotta. E soldi. Tanti. Quelli almeno che l’avvocato plurinquisito e pluriarrestato, Piero Amara, diventato il jukebox delle procure di mezza Italia, riesce a far sparire in un gioco di prestigio fatto di cessioni, alienazioni, spoliazioni, munifiche regalie. In un sistema di scatole cinesi che è la sua specialità. Anche così l’uomo chiave del processo Eni, ora al centro dell’inchiesta Ilva, può fatturare anni di spericolate relazioni con il mondo giudiziario e dell’intelligence, in un gioco di favori e ricatti, solo in parte svelato. Che ha per posta un tesoro fatto di impianti fotovoltaici, immobili, terreni, case a Milano e in mezza Sicilia. Ecco: dove sta la roba di Amara, il mastro Don Gesualdo dei faldoni, il lobbista degli uffici giudiziari? Dove si riversa quel fiume di parcelle e consulenze, drenate a manbassa aggiustando processi in giro per l’Italia e per conto di facoltosi quanto spregiudicati clienti?


Perché quello che Amara toccava si trasformava in oro. Prendete la Napag, su cui indaga la procura di Milano. Importava frutta e con Amara alle spalle si votò al petrolio. Risultato? Novanta milioni tondi di commesse da Eni. Tanto per avere un’idea delle leve che il legale dalla remota provincia di Siracusa era in grado di muovere, destreggiandosi tra società di Dubai e Lussemburgo, i cui nomi si rincorrono, si mischiano e si sovrappongono nelle migliaia di pagine dei verbali e delle informative della Finanza. Molte sigle, niente cifre. Perché, almeno finora, la caccia al tesoro di Amara non pare neppure cominciata, mentre lui dosa fatti accanto a opinioni, verità e congetture. Che intanto sporcano, infangano, inguaiano, terremotando il sistema giudiziario. E non solo.

 

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Se la roba è un’ossessione, la famiglia una debolezza. E, come dimostrano alcuni documenti che L’Espresso ha consultato in esclusiva, i soldi di Amara non sono andati poi troppo lontano. Una separazione consensuale dalla moglie, una donazione al figlio sono solo il primo schermo. Utile quanto basta a mettere distanza tra le mani e le tasche.

LE PARCELLE
Di certo c’è che fino al 2017, ultimo anno di fulgore del formidabile sistema creato da Amara, i clienti sono stati prodighi. Del resto, come lui stesso ha ammesso, la rete di società che coccolavano i magistrati vicini alla cricca, era in grado di assicurare ai committenti una percentuale di successo «dell’80 per cento». E la quasi infallibilità si paga.
Così Mr. Wolf Amara incassava cifre da capogiro per una transazione filata liscia o per un processo provvidenzialmente arenatosi. Secondo un audit interno commissionato da Eni a Kpmg, reso noto dal Corriere della Sera nel 2019, solo la multinazionale energetica pubblica gli ha elargito 11 milioni di euro in provvigioni professionali.


Piatto forte, al quale l’ineffabile avvocato ha accostato contorni succulenti dopo aver cucinato la solita minestra di legami. La Sai 8, la società che ha gestito l’Ato idrico di Siracusa ha cambiato in blocco il pool degli avvocati, confermando solo Giovanni Pitruzzella per poi rivolgersi ad Amara e liquidargli parcelle per 1,3 milioni, dissanguandosi fino alla bancarotta.

 

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Amara garantiva del resto una corsia preferenziale con l’ex procuratore Ugo Rossi e con l’allora aggiunto a Catania Giuseppe Toscano. Interlocutori privilegiati dal momento che il figlio di Rossi, si scoprirà, era diventato nel frattempo socio di Amara nella Gi.da srl e il figlio di Toscano, Attilio, venne chiamato poi come consulente esterno alla Sai 8 per una cifra pari a quella di Amara (1,3 milioni). Centomila euro, invece, il cadeau di Ilva all’avvocato Amara per essersi speso, sostiene l’accusa, in favore della nomina di Carlo Maria Capristo a procuratore di Taranto. Una toga gradita perché assai accomodante in favore delle acciaierie.

LO SHOPPING
Per capire il sistema Amara bisogna frugare nella selva di sigle delle sue srl. E da lì risalire ai soci: magistrati e figli di magistrati, i preferiti, ma in generale chiunque potesse aiutarlo a tessere la trama di relazioni essenziale per gli affari.


In anni non sospetti ha aperto una società con il magistrato Raimondo Cerami, la Cms service, poi varie aziende energetiche piazzandovi l’allora moglie, Sebastiana Bona, oppure avvicinandosi a imprenditori a loro volta prossimi a chi era nella stanza dei bottoni. Gli è capitato così di essere insieme ad Andrea Bacci, imprenditore legato alla famiglia Renzi. Con Bacci, Amara diventa socio nella Teletouche, avventura non andata proprio bene ma che, secondo la procura di Roma, avrebbe consentito di far transitare all’estero alcuni fondi dell’ex presidente del Cga e del Consiglio di Stato Vittorio Virgilio.

 

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In questo caso la mission aziendale non era proprio il fatturato. In altri invece sì. È accaduto con la Da.gi srl, al 90 per cento di proprietà della moglie di Amara. Solo formalmente, secondo i magistrati, nei fatti gestita dal marito: tanto è vero che lì venne assunta, sempre secondo i pm romani, un’amica del presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi. La Da.gi si occupa di impianti di energia rinnovabile: aperta nel 2009, all’inizio ha bilanci leggeri con fatturati da 50 mila euro. Poi nel 2013, dopo aver acceso un mutuo per nuovi campi fotovoltaici, esplode e inizia a macinare successi con ricavi da 5 milioni di euro tra il 2013 e il 2017.


Altra società che a un certo punto inizia a correre è quella che Amara ha con Giuseppe Calafiore, suo partner in molte partite del “sistema”. La P&g registra ricavi per quasi 2 milioni di euro tra il 2011 e il 2016. Non pochi per una società di consulenza di due allora semisconosciuti avvocati siracusani.

 

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Se il business in quegli anni decolla, anche gli investimenti prendono il volo. Nel 2013 la Da.gi srl rileva il 100 per cento delle quote della Roma Uno Immobiliare che ha in pancia otto appartamenti appena ristrutturati in via Giacomo Watt a Milano. Il prezzo pagato è di 600 mila euro versati ai soci, più la presa in carico di un mutuo da quasi un milione di euro. Di chi sono le quote della Roma Uno Immobiliare? Dell’ex ministro Saverio Romano e della moglie Stefania Martorana. Romano nei primi anni Duemila, insieme al messinese Augusto Reitano, ha infatti ristrutturato le ex fabbriche Watt a Milano e comprato poi 20 appartamenti per un valore di 4 milioni di euro. Nello stesso complesso di via Watt ha un appartamento anche l’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro. In quegli anni, Reitano è un imprenditore in vista, considerato il re della 488 e dei fondi europei per il turismo in Sicilia.


Una perizia che L’Espresso ha consultato rivela poi che attraverso le due società di famiglia, la Geostudi srl e la Augusta immobiliare, negli anni ruggenti Amara ha arricchito il proprio patrimonio con immobili e terreni a Catania, Siracusa e Augusta per un valore pari a 3 milioni di euro.

 

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LE DONAZIONI
Fino al 2019, ovvero fino a quando Amara ha potuto muoversi senza intralci, società, appartamenti, terreni, impianti, fabbricati e incassi da parcelle sono tracciabili e riconducibili a lui, alla luce del sole. A partire da quell’anno, quando ormai è finito al centro dei riflettori, l’avvocato inizia a distillare verità autentiche o presunte e a spogliarsi di buona parte del patrimonio. Sa che i guai sono solo all’inizio e liberarsi dei segreti è solo una parte del lavoro che gli tocca.


Il primo agosto del 2019, davanti al notaio Marco Cannizzo, Amara firma un accordo di separazione dalla moglie: a quest’ultima cede le sue quote nelle società Geostudi srl e nella Augusta immobiliare. Il restante 50 per cento resta alla sorella di Amara, Serafina.

 

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Quanto valgono i beni gestiti da queste due società? Lo scrive, nelle perizie allegate all’accordo di separazione, l’ingegnere Tommaso De Luca: per la Geostudi i beni valgono 1,9 milioni di euro, per la Augusta immobiliare un milione. Amara alla moglie trasferisce anche due appartamenti ad Augusta e a Catania: nel capoluogo etneo cede un appartamento di 14 vani in pieno centro sul quale pende una ipoteca per mutuo da 1,8 milioni che Bona si accolla senza chiedere nulla in cambio. E gli appartamenti di Milano? Tutte le quote della Roma Uno Immobiliare passano nel 2020 dalla moglie Bona alla società Milan Luxury, a sua volta di proprietà al cento per cento della Dagon srl. E di chi è la Dagon? Del figlio di Piero Amara, Giuseppe. E la Da.gi srl che gestisce gli impianti fotovoltaici che fine ha fatto? Sempre nel 2020 passa alla Augusta Energia, quest’ultima di proprietà al 100 per cento della Dagon, quindi sempre del figlio, Giuseppe Amara.


Insieme al peso delle sue malefatte, l’avvocato sembra essersi alleggerito anche del portafogli. Gli restano qualche casa e terreni tra Augusta e Melilli, le quote in P&g e Teletouche, entrambe in liquidazione. Poca cosa, il grosso se ne è andato. Dopo i fiumi di denaro, restano però fiumi di parole. Che valgono ancora oro.