Il caso

La burocrazia sta uccidendo le rinnovabili

di Sara Dellabella   31 ottobre 2022

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Pareri su pareri, veti incrociati, lentezze burocratiche. Così ci vogliono anni per autorizzare un parco eolico. E quando è pronto è già vecchio

Rinnovabili? Più facile a dirsi che a farsi. E in un periodo di crisi energetica e ambientale il tema non è secondario. Soprattutto con il caro bollette che si è già abbattuto su molte famiglie e imprese e che stende un’ombra di incertezza e ansia sul prossimo inverno. Per questo sono molti a indicare le energie rinnovabili come una soluzione, peccato però che al ministero della Transizione ecologica (Mite) ci siano progetti fermi dal 2018, in attesa del parere della Commissione di impatto ambientale. «Per fare un rigassificatore c’è un iter autorizzativo semplificato in sei mesi, per le rinnovabili no», racconta Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente: «Al Mite ci sono 120 infrastrutture in validazione per le fonti fossili tra cui: nuove centrali a gas, repowering, ampliamenti, riconversioni, gasdotti, metanodotti, depositi e trivelle. Poi ci sono 280 GW di fonti rinnovabili che sono in attesa di autorizzazione. Con 280 GW avremmo raggiunto tutti gli obiettivi da qui al 2050».

Il rapporto “Scacco matto alle rinnovabili”, redatto da Legambiente mette in luce tutti gli ostacoli burocratici e non, che stanno mettendo a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici. Normative obsolete, lentezze, burocrazia, atteggiamenti negativi, vincoli, discrezionalità, frammentazione e fake news. Così come la mancanza di una normativa unica, di regole chiare, certe e trasparenti in grado di dare certezze al mercato come ai territori. Il Rapporto mette in evidenza un quadro normativo e autorizzativo stratificato e disomogeneo che coinvolge tutti i livelli di governo: Stato, Regioni, Province e Amministrazioni comunali e sul quale è necessario intervenire anche alla luce delle innovazioni e dei nuovi strumenti oggi disponibili. Un sistema che di fatto non permetterà a questo Paese di installare 9 GW di rinnovabili l’anno, aprendo a false soluzioni, come gas e nucleare, per tutti i nostri problemi: climatici, energetici e sociali.

A confermare le difficoltà di muoversi in questo contesto sono anche gli imprenditori. «Tutti gli impianti eolici dal 2017 a oggi hanno avuto il parere negativo della Soprintendenza. Parliamo di circa 100 impianti per 7mila megawatt», spiega il presidente dell’Associazione nazionale energia del vento (Anev), Simone Togni: «La Soprintendenza dice semplicemente no, senza entrare nel merito dei progetti. Lo dico perché poi con i ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato, alla presidenza del Consiglio questi progetti vengono autorizzati».

Sono i casi singoli a raccontare quanto sia complicato fare un impianto eolico nel nostro Paese. A Civitavecchia la società Tyrrhenian wind energy srl ha presentato un progetto per un impianto eolico offshore composto da 27 aerogeneratori ciascuno con potenza nominale di 10 MW, che dovrebbe sorgere a circa 30 chilometri dalla costa. Fino a qualche tempo fa, sul progetto pesava il parere negativo della Soprintendenza speciale per il Pnrr del ministero della Cultura. Chiedeva ai proponenti «il rendering di come si sarebbe visto il parco eolico dal traghetto. Questo vuol dire impedire la costruzione dei parchi e allungare gli adempimenti tecnici», racconta Eroe. «Anche la Soprintendenza in qualche modo ha linee chiare ma ogni tanto viene fuori con richieste esagerate».

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Solo dopo un intervento diretto del ministro della Cultura, Dario Franceschini il rendering da obbligatorio, si è trasformato in «mera indicazione». In Italia, esiste un solo parco eolico offshore e una quarantina di progetti di impianti, mappati da Terna, che dovrebbero sorgere al largo di Sicilia, Sardegna, Puglia e Ravenna. A Taranto, primo parco eolico offshore dello stivale, ci sono voluti 14 anni per far partire le pale. Tra richieste della Soprintendenza c’era quella di tutelare il paesaggio industriale di Taranto. Così tra presentazione del progetto nel 2008, stop and go burocratici, il fallimento della ditta proponente, le 10 turbine eoliche da 3 MW sono entrate in funzione solo lo scorso aprile. Peccato però che l’impianto sia già obsoleto. Negli anni, la tecnologia ha sviluppato turbine da 10-15 MW, ma per chiedere un ammodernamento del progetto o una variante si sarebbe dovuto ricominciare l’iter da capo.

Non va meglio neppure agli impianti arrivati a fine vita e che hanno necessità di un repowering. Esemplare il caso del parco eolico da 16 aerogeneratori per 32 MG di potenza da realizzarsi nel comune di San Bartolomeo in Galdo (Benevento). Qui Regione Campania e Soprintendenza di Caserta e Benevento prima hanno dato parere positivo, poi, di fronte alla richiesta di adeguamento tecnico del progetto che portava alla modifica sostanziale nella sostituzione dei 16 aerogeneratori con 4 da 32 MW, hanno dato parere negativo per un presunto, e sopraggiunto, impatto ambientale. Tanto che alla fine, la ditta, nel 2021, è tornata al vecchio piano e installerà macchine meno potenti. Nel Pnrr sono previsti al capitolo eolico circa 400 milioni di euro, ma in questo caos sarà difficile spendere i soldi entro i tempi imposti da Bruxelles.

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Da un lato quella energetica è una delle questioni centrali del nostro tempo e lo dimostra il fatto che negli ultimi consigli dei ministri del governo Draghi sono arrivati i pareri di compatibilità ambientale per otto progetti di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (energia eolica, fotovoltaica e geotermica), per una potenza complessiva pari a circa 314 MW, che erano rimasti impigliati in qualche parere negativo.

Nel dettaglio, si tratta di tre progetti da realizzare nella regione Puglia, tre nella regione Basilicata e due nella regione Toscana. In particolare si tratta degli impianti eolici nei comuni di San Mauro Forte, Salandra e Garaguso (Matera) per 72,8 MW; dell’impianto eolico nei comuni di San Paolo di Civitate località Masseria Difensola e Poggio Imperiale località La Colonnella (Foggia) per 31,35 MW; dell’impianto eolico Serra Palino nei comuni di Sant’Agata di Puglia e Candela (FoggiaG) per 48 MW e dell’impianto eolico Venusia nei comuni di Venosa e Maschito (Potenza) per 36 MW.

Tutti hanno alle spalle anni di scartoffie e talvolta, le contestazioni dei comitati locali contrari alla realizzazione dei grandi impianti sul proprio territorio, i cosiddetti Nimby. A sgombrare il campo da ogni contestazione è proprio Legambiente che apre ad una proposta: «L’impatto zero non esiste, ma si può fare in modo che l’impianto sia fatto nel rispetto del territorio, del contesto e delle tecnologie che ci sono e della popolazione locale», spiega Eroe: «Noi proponiamo che per ogni parco eolico ci sia una comunità energetica che in questo momento rappresenta l’unico strumento di welfare strutturale in grado di ridurre da subito le bollette, aiutare la comunità e lo sviluppo dei territori. In Italia ne esistono diverse, ma solo una trentina sono attive. Anche qui riscontriamo una difficoltà nelle autorizzazioni e nelle norme locali».

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Ma come si può incidere sulla lentezza, in un momento in cui lo scenario internazionale richiede misure straordinarie? Intanto con una celere revisione delle linee guida che sono ferme al Decreto ministeriale del 2010 - spiegano gli addetti ai lavori - e attraverso un lavoro congiunto tra ministeri, Transizione ecologica, Sviluppo economico e Cultura e con il varo di un testo unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato e dia tempi certi alle procedure. Un testo che dovrà essere in grado di rispondere al nuovo scenario energetico. Accanto alla semplificazione dei processi bisognerà investire in trasparenza e certezza dei tempi con una maggiore partecipazione dei territori. Un piano ambizioso che potrebbe liberare l’Italia dalla dipendenza energetica dalla Russia ma che rischia di non vedere mai luce senza la determinazione del prossimo governo.