L'analisi

Dopo l'avanzata a Kursk, il bivio per l'Ucraina: proseguire nell’offensiva o difendere il Donbass?

di Sabato Angieri   27 agosto 2024

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Zelensky potrebbe impiegare gli uomini e le risorse migliori per tenere una spina conficcata nel fianco del nemico russo oppure tornare a rinforzare i territori sotto pressione di Mosca. E l’arrivo imminente dell’inverno e la crisi energetica cambiano le carte in tavola

L'esercito ucraino che avanza quasi indisturbato per chilometri e chilometri in territorio russo è una delle scene che nemmeno il più filoatlantista degli analisti avrebbe previsto due anni fa. Eppure sta succedendo nella regione russa di Kursk e ora la guerra nell’Est dell’Europa è di fronte a una nuova svolta.

 

Da un lato, l’apparato di sicurezza russo ha vissuto uno shock epocale, subendo la prima invasione dai tempi della seconda guerra mondiale. La propaganda del Cremlino, incentrata sul fatto che i russi fossero protetti dal capo e potessero continuare tranquilli la propria vita, si è incrinata sotto gli attacchi dei mezzi corazzati occidentali usati dagli ucraini e dei «falchi», che si chiedono ancora come sia stato possibile che la grande Russia sia stata invasa «dalle bande di neonazisti ucraini» mentre esigono la testa dei responsabili. E già si inizia a vociferare di un possibile nuovo rimpasto al vertice, con il fedelissimo capo di Stato maggiore, Valerij Gerasimov, indicato da molti come capro espiatorio. Per ora Vladimir Putin tace, non ha commentato nel merito nessuno degli accadimenti di Kursk, si è limitato ad accusare di «terrorismo» e di «provocazione su vasta scala» gli ucraini e ha impartito ordini molto pubblicizzati su come «alleviare le sofferenze della popolazione civile». Ma se il suo ruolo di Atlante che si fa carico di ogni problema dei russi in nome della grandezza della nazione osteggiata dai nemici occidentali cade, che cosa resta dell’apparato di propaganda e repressione che si è inasprito a mano a mano che l’operazione militare speciale si è trasformata sempre di più in un pantano che dura ormai da 30 mesi?

 

Dall’altro lato dello schieramento, i vertici ucraini esultano per i successi, forse inaspettati. Le stime fornite da Kiev parlano di oltre mille chilometri quadrati controllati al di là della frontiera di Sumy, la regione settentrionale ucraina che confina con l’oblast russo di Kursk e dalla quale è partita l’avanzata il 6 agosto scorso. «La nostra operazione», ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelensky, «mira in particolare a creare una zona cuscinetto sul territorio dell’aggressore». Un migliaio di uomini all’inizio, che ora dovrebbero essere circa seimila, supportati da altri quattromila soldati di riserva a ridosso del confine, hanno occupato circa una ottantina di villaggi, compreso il centro di Sudzha, famoso per la presenza di un’importante sottostazione di scambio del gasdotto che dalla Russia rifornisce Ungheria, Slovacchia e Austria, nonostante le sanzioni occidentali. I reparti ucraini pubblicano video nei quali strappano via le bandiere russe dai villaggi occupati e le sostituiscono con quelle gialle e blu. Ora però il problema è come capitalizzare queste conquiste.

 

Se, come concorda la maggior parte degli esperti, l’obiettivo principale era costringere il nemico a dislocare soldati dal Donbass per allentare la pressione sui reparti di difensori ormai stremati, per ora questo è fallito. Gli uomini di Mosca continuano ad avanzare nell’Est, verso il centro logistico di Pokrovsk, fulcro della catena di approvvigionamento dell’esercito ucraino verso il fronte. Negli ultimi due mesi gli invasori hanno conquistato quasi 40 chilometri di territorio e continuano a occupare villaggi. Non si tratta di conquiste significative, ma è la tendenza a essere preoccupante. Infatti, il governatore del Donetsk ucraino, Vadym Filashkin, ha ordinato l’evacuazione dei circa 53 mila civili residenti a Pokrovsk perché «il fronte si avvicina pericolosamente». Se davvero i generali russi decidessero di non spostare reparti nel Kursk, ma procedessero nell’avanzata in Donbass, gli ucraini si troverebbero di fronte a una scelta dolorosa: impegnare 10 mila degli uomini migliori (oltre ai mezzi e alle armi) per tenere una spina ben conficcata nel fianco dell’orso russo e, magari, usare i territori conquistati come possibile arma negoziale per un cessate il fuoco futuro, oppure ripiegare per tornare a difendere i propri territori? Il tutto con l’arrivo imminente dell’inverno e la crisi energetica che costringerà i civili ucraini al buio per molte ore ogni giorno.

 

L’operazione era stata congegnata con il massimo riserbo, a iniziare dal dislocamento di alcuni reparti nei boschi intorno a Sumy, ufficialmente per un «periodo d’addestramento speciale». Silenzio radio totale. Sembra che persino gli ufficiali dei reparti coinvolti siano stati avvertiti dei reali obiettivi della manovra 72 ore prima del momento X, per i soldati il preavviso è arrivato solo il giorno prima. L’invasione di Kursk ha sorpreso anche i più stretti alleati di Kiev, compresi gli Stati Uniti, e ha fatto riesplodere il dibattito sull’utilizzo di attrezzature militari all’interno del territorio russo. Com’è ormai noto, senza i mezzi corazzati forniti dagli alleati, in particolare i Bradley statunitensi e i Challenger britannici, gli uomini di Kiev non avrebbero avuto la rapidità e la potenza di fuoco necessaria per un blitz di tale portata.

 

In ogni caso, dopo lo scetticismo delle prime ore (si era parlato di una mossa di disturbo, uno smacco a Putin, sulla scorta delle operazioni delle legioni di russi ribelli dell’anno scorso), gli ucraini sono riusciti a consolidare non solo le posizioni a ridosso della frontiera, ma anche a penetrare in territorio russo per decine di chilometri, addirittura 35 secondo alcune stime. Più di 132 mila civili sono stati evacuati da Kursk, hanno dichiarato i funzionari russi. Gli ucraini sono anche riusciti a distruggere il grande ponte di Glushkovo e due ponti minori, sul fiume Seym, causando problemi alle operazioni di evacuazione e all’arrivo di rinforzi. Secondo gli analisti, la distruzione del ponte dimostra la volontà degli ucraini di tenere i territori occupati. Si è addirittura annunciata l’istituzione di un comando militare per le aree occupate e già circolano diverse ipotesi sulle possibili prossime mosse di Kiev, verso Sud, a Belgorod, o ancora più a Est, verso il capoluogo regionale. Su Internet sono reperibili diversi filmati di giovanissimi soldati russi inginocchiati e ammanettati a bordo strada che si sono arresi o sono stati catturati. Sarebbero diverse centinaia, secondo le cifre fornite al Guardian dal comandante dell’amministrazione militare della citta di Sumy, Oleksii Drozdenko. Un bottino prezioso, da utilizzare nei prossimi scambi di prigionieri con Mosca.

 

A proposito di negoziati, il Washington Post ha rivelato che Ucraina e Russia avrebbero dovuto inviare delle delegazioni a Doha, in Qatar, per trattare un accordo che bandisse gli attacchi alle infrastrutture energetiche di entrambe le parti. Un cessate il fuoco parziale che avrebbe offerto agli amministratori di Kiev un’occasione fondamentale per affrontare l’inverno, in un Paese dove le temperature scendono anche sotto i -20° e la rete energetica è ridotta a meno della metà dei 18 gigawatt necessari per affrontare i mesi freddi. Le due parti si erano accordate sui punti fondamentali e restavano solo alcuni dettagli da chiarire in una videoconferenza conclusiva tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Ma i colloqui portati avanti dall’emiro del Qatar, già protagonista dei passati scambi di prigionieri, si sono arenati dopo l’incursione a sorpresa delle truppe di Kiev a Kursk. Stando alle fonti del Wp, neanche i mediatori qatarioti erano a conoscenza dei piani ucraini. «Dopo Kursk, i russi hanno rifiutato di proseguire», scrive il quotidiano statunitense. Inoltre, intervenendo alla tv nazionale, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha spiegato che «a questo punto parlare di tregua è impossibile».

 

Sul campo, l’attenzione degli analisti resta incentrata sulla reazione di Putin. L’esercito russo sta costruendo trincee e inviando rinforzi dai distretti militari interni per evitare di rallentare le operazioni nel Donbass, conscio del fatto che dopo l’estate i problemi per Kiev aumenteranno e un’occupazione di lunga durata del Kursk sarà molto più problematica. Anche se questa guerra ha abituato ai colpi di scena, è difficile che l’Ucraina riesca a tenere aperti contemporaneamente un fronte offensivo e uno difensivo: oltre all’afflusso costante di armi, avrebbe bisogno di molti soldati in più. L’azzardo dell’invasione di Kursk consiste proprio nell’essere andata all’attacco in un momento di difficoltà. Per gli analisti del New York Times, tale mossa potrebbe costare cara a Kiev e aggravare la sete di vendetta di Putin. Intanto i reparti nel Donbass, che hanno sostenuto la risposta dell’Ucraina in condizioni durissime, aspettano il cambio da mesi. Le associazioni di madri e mogli di quei soldati chiedono che sia attuata una rotazione razionale; il governo non le ascolta, ha bisogno di loro. E una nuova ondata di coscrizione obbligatoria sembra solo questione di tempo, nonostante Zelensky si sia finora rifiutato di promulgare un decreto ad hoc e si sia in passato scontrato con l’ex comandante delle Forze armate, Valery Zaluzhny, che invece ne sosteneva l’impellenza. Da questo punto di vista la Russia resta avvantaggiata, mentre l’Ucraina può contare solo sulle sue forze.