È il ceto medio della Grande Mela che sostiene il vincitore delle primarie più giovane e radicale

Delusi dai dem, ignorati dall’establishment, messi in crisi dal carovita: a chi parla la nuova sinistra di Mamdani

Union Square, la grande piazza di cemento e aiuole tra la quattordicesima e Broadway, d’estate, dopo la chiusura del mercato del mattino, resta affollata fino a tardi di turisti, musicisti, skater e newyorchesi in cerca di un po’ di fresco. Ci sono pure Cora e Stephanie, sedute su una panchina un po’ appartata, con due bottigliette monodose di prosecco. Niente sacchetti di carta a nascondere l'alcol, benché per legge non si possa bere all’aperto. Quando ci avviciniamo, ci spiegano che è il loro modo di «fare serata» tra amiche senza essere costrette a lasciare quaranta dollari sul bancone di un bar. Anche per questo Stephanie, alle primarie democratiche per il sindaco, ha votato per Zohran Mamdani, il socialista democratico che ha distrutto l’operazione rilancio di Andrew Cuomo, l’ex governatore travolto negli anni scorsi da scandali sessuali e accuse di cattiva gestione della pandemia. Entusiasmando chi sogna una città più giusta e terrorizzando chi teme che, una volta a City Hall, stravolgerebbe il simbolo del capitalismo americano e il cuore della finanza mondiale

 

«Noi amiamo New York», ci dicono scambiandosi sguardi di approvazione. «È la terra dei sogni, non c’è nulla che non tu non possa realizzare qui. Ma qualcosa deve cambiare perché stiamo vivendo una crisi – spiega Stephanie, guardia giurata – Ci sono tantissimi senzatetto, servono case. Inoltre, occorre più sicurezza e non si tratta solo di aumentare i poliziotti. La metropolitana è sporca e pericolosa, ho visto persone fumare crack o aggredire i pendolari. E la polizia non alza un dito». Tra i trentenni, come loro, il tema ricorrente è soprattutto il carovita. «I prezzi degli affitti sono folli – sbotta Cora – per un monolocale microscopico servono almeno 2.000 dollari. Come sopravvive una persona con un salario minimo (di 16,50 dollari l’ora)? Io sono supervisor in un negozio di foto, ma vivo con mia madre». Quasi nessuno è impiegato solo per le quaranta ore previste da un full time. «Tutti i nostri amici fanno due o tre lavori. Nel poco tempo libero, cerchiamo soluzioni economiche per divertirci».

 

È proprio sulle paure e sulle speranze di ragazze come Stephanie e Cora che Mamdani, classe 1991, ha compilato il suo taccuino elettorale. Il deputato statale col passato da aspirante rapper, ha conquistato New York promettendo risposte concrete all’emergenza: affitti congelati, 200mila alloggi popolari, asili gratuiti, bus senza biglietto, supermercati comunali a prezzi calmierati. Proposte che hanno fatto breccia soprattutto tra chi fatica a restare a galla in una metropoli dove il prezzo medio di un affitto supera i 4.500 dollari al mese e un asilo spesso può costare oltre millecinquecento dollari.

 

D’altra parte, New York è una delle realtà più care al mondo. Ed è anche quella con la più alta concentrazione di miliardari: per Forbes ce ne sono 123. Al gradino poco più in basso, 384.500 milionari: uno ogni 24 abitanti. Ma sotto i grattacieli di Gotham City, la povertà ha toccato il massimo degli ultimi sette anni. Secondo il rapporto 2025 della nonprofit Robin Hood, un quarto – circa 2 milioni di persone su 8 e mezzo – non arriva a fine mese. Quasi il doppio della media nazionale (13 per cento). Questione a cui la città risponde con una rete di assistenza molto robusta, che però si traduce in una forte pressione fiscale sulle spalle soprattutto della classe media, piuttosto che su quelle dell’1 per cento dei supericchi.

 

È questo lo scandalo che denuncia Zohran Mamdani, pur venendo da un contesto di privilegio. Lui, indiano, è nato in Uganda dalla regista Mira Nair e da un professore in forze alla Columbia University. Con la moglie Rama Duwaji, artista siro-americana, vive ad Astoria, nel Queens. L’asso nella manica è stata la capacità di parlare direttamente a chi si sente lasciato indietro, usando i social per raccontare la città e i suoi abitanti. I video virali su TikTok e Instagram, dove ha superato i due milioni e mezzo di follower, la presenza costante tra la gente e il sostegno di figure come Alexandria Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, hanno trasformato la sua candidatura in un piccolo movimento popolare. E se da giovane era stato associato a slogan radicali, oggi si presenta più pragmatico: niente tagli alla polizia, ma più risorse per salute mentale e servizi sociali, più tutele per gli immigrati e le minoranze. A chi teme che la sua agenda sia una minaccia al capitalismo, Jerome, pensionato elegante a spasso con gli amici, ricorda che «non bisogna immaginarlo come un marxista. È un socialismo democratico quello di Mamdani, che punta a ridistribuire le risorse. L’establishmentdem ha perso di vista il problema principale e cioè il costo della vita», ci dice.

 

Una trentina di strade più a Nord, proseguendo su Broadway fino a Midtown, i palazzoni diminuiscono lasciando il posto ai grattacieli; qui incontriamo Attila, appoggiato a una ringhiera con un sigaro tra le dita. Vive a Manhattan dalla metà degli anni Novanta. «La città era meravigliosa per tutti. Uscivamo, mangiavamo fuori, c’era il boom tecnologico. Poi è arrivato l’11 settembre, dopo la crisi del 2008. Finanza e recruiting sono crollati. In aggiunta, abbiamo eletto cattivi amministratori; Michael Bloomberg è stato l’ultimo sindaco decoroso». Da imprenditore ha un buon tenore di vita, ma percepisce che «i newyorchesi sono stanchi. Bisogna guadagnare almeno 90mila dollari all’anno per vivere dignitosamente Non mi stupisce la vittoria di Mamdani». Un’ascesa che fa tremare i polsi al mondo della finanza, dell'imprenditoria ma anche alle direzioni di quotidiani di peso come il Washington Post. La vittoria, tuona il giornale di Jeff Bezos, è «un male», per la città come per il Partito Democratico. «L’aumento del salario minimo ridurrebbe l’occupazione dei lavoratori meno qualificati» e l’imposta patrimoniale annua del 2 per cento all'1 per cento dei paperoni aggraverebbe la fuga dei capitali. Linea che non condivide chi come Daniel Denvir, conduttore del podcast The Dig su Jacobin Radio ritiene «paradossale piuttosto che l’establishment democratico tema che Mamdani renda New York disfunzionale». La città – dice a L’Espresso – lo è già per la classe lavoratrice, che costituisce la maggioranza della popolazione. Per tornare al potere anche a livello nazionale, i democratici devono avvicinarsi al populismo economico di sinistra».

 

Raramente le primarie democratiche per il sindaco di New York hanno fatto tanto rumore. Ma saranno i prossimi i mesi più difficili per Mamdani. Dovrà smettere i panni di “underdog” per provare a convincere tutti gli elettori. Il 4 novembre se la vedrà con il sindaco uscente Eric Adams, l’avvocato Jim Walden (entrambi indipendenti, con Cuomo pronto a rientrare dalla porta di servizio) e il repubblicano Curtis Sliwa. Se diventasse sindaco, sarebbe il più giovane da oltre un secolo. E il primo musulmano. Partita complicata, in una città che accoglie una delle più ampie comunità ebraiche al mondo. Mamdani, però, la gioca discretamente bene: definisce genocidio la crisi a Gaza, ma condanna Hamas ed è pronto ad aumentare i fondi per la protezione degli ebrei dai crimini d’odio. «La sua vittoria dimostra che le persone vogliono disperatamente qualcosa di nuovo – commenta Sarah Schulman, scrittrice e attivista newyorchese – E poi siamo nel mezzo di un cataclisma fascista a livello nazionale: arresti arbitrari, università sotto attacco, immigrati terrorizzati dai raid. Anche Adams collabora con il presidente e con l’Ice, ignorando che siamo un santuario. Mamdani è l’alternativa: giovane, immigrato, musulmano, radicato nel Queens. L’opposto della cartolina Sex and the City. La New York vera».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Imbucati di Stato - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 4 luglio, è disponibile in edicola e in app