Una democrazia liberale e matura o il pluralismo moderatamente autoritario del partito unico? Aspettando la nuova Costituzione

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Nel trentesimo anniversario del colpo di Stato militare avvenuto il 12 settembre 1980, uno dei momenti più bui della storia recente della Turchia, gli elettori si sono recati alle urne per modificare la Costituzione ereditata dalla brutale giunta militare. La Carta aveva già subito diversi emendamenti, ma questa volta sono stati cambiati alcuni principi fondamentali dell'ordinamento che i militari avevano lasciato al Paese. In particolare è stato abrogato l'articolo 15, che impediva di perseguire i principali responsabili del colpo di Stato. Il consenso su 24 dei 26 emendamenti è stato praticamente totale. Dopotutto nessuno sano di mente si opporrebbe ad un articolo contro la discriminazione delle donne o contro gli abusi sui minori. Non si è avuta alcuna opposizione alle modifiche che riportano i militari allo status di normali cittadini, quali il giudizio in un tribunale ordinario per rappresentanti delle forze armate e il diritto di appellarsi alle decisioni di espulsione deliberate dall'Alto Consiglio Militare.

Negli ultimi anni il passaggio dal potere militare a quello civile in Turchia ha fatto molti progressi e i militari hanno perso molto del loro prestigio; questi sviluppi non rappresentano più dunque una provocazione. Contrariamente a quanto riportato dalla gran parte dei media di tutto il mondo, questo referendum non riguardava la possibilità per la Turchia di diventare uno Stato che applica la shari'a. Il nodo della questione era il futuro della democrazia turca. In realtà la querelle è nata da due degli emendamenti relativi alla magistratura che andavano a modificare sia la composizione che la modalità di elezione e scelta dei membri della corte costituzionale e dell'alto consiglio dei giudici e dei pubblici ministeri. Quest'ultimo è un organismo composto da cinque membri, presieduto dal ministro della Giustizia che è responsabile della nomina e della carriera di giudici e pubblici ministeri. Veniva criticato il fatto che, mentre la Turchia necessita della separazione dei poteri, dell'imparzialità di giudizio e di indipendenza, le modifiche proposte porterebbero alla concentrazione dei poteri nelle mani dell'esecutivo. L'esito si conoscerà solo dopo che le leggi di attuazione degli emendamenti saranno state emanate dal Parlamento.

Malgrado simili lacune e le preoccupazioni sollevate, molti cittadini hanno sostenuto il pacchetto dei referendum: di qui lo slogan "sì, sebbene non sia sufficiente". Su una percentuale di affluenza alle urne del 78 per cento, il 58 ha votato il sì, a dimostrazione del fatto che il primo ministro è riuscito a convincere l'elettorato che si trattava di pronunciarsi sul sistema lasciato dal governo dei militari. Gli elettori hanno voluto chiudere i conti con il passato e la tutela delle forze armate e della magistratura rispetto alla politica.
Il boicottaggio invocato dai nazionalisti curdi del Bdp ha avuto successo nelle province a maggioranza curda del Sud-est, confermando la forza di questo partito. È evidente come la questione curda in Turchia e il relativo problema dei terroristi del Pkk non possa trovare soluzione senza l'intervento del Dtp. Ora questo partito filo-curdo ha la responsabilità di attivarsi politicamente, rinunciando alla violenza, per rispondere alla volontà di pace del suo elettorato più fedele.

I risultati hanno mostrato tuttavia il consolidamento di una preoccupante divergenza fra i votanti. Mentre la zona centrale dell'Anatolia e la regione conservatrice del mar Nero hanno votato per il sì, le città costiere più cosmopolite, dal Mediterraneo all'Egeo, fino alla Tracia, hanno scelto il no. È possibile che queste aree del Paese vedano il loro stile di vita minacciato dal progetto politico del partito al governo e non desiderino quindi affidargli il rinnovamento della Repubblica turca. Considerata la misera performance dei partiti di opposizione nel corso della campagna elettorale, il primo ministro Erdogan sembrerebbe in pole position per aggiudicarsi una terza vittoria nelle prossime elezioni previste per l'estate.
La pressione dell'elettorato per cambiare la Costituzione porterà la Turchia a redigere un nuovo contratto sociale. Il primo ministro ha già espresso la preferenza per un sistema presidenziale e potrebbe indirizzare la nuova costituzione in questo senso. Vedremo se la Carta sarà il prodotto di un accordo consensuale o l'imposizione del partito di governo che agisce incontrastato. La modalità della sua stesura farà comprendere se la Turchia è destinata ad andare verso una democrazia liberale e matura governata dalla legge, o verso il pluralismo moderatamente autoritario di un unico partito dominante.
traduzione di Laura Sirugo