Fa sentire la sua voce, si racconta, non arretra di fronte ai troppi "leoni da tastiera". E ci riporta un interrogativo: perché il mondo non riesce a condannare all’unanimità la violenza?

«Siate sempre voi stesse: la vita è nostra, le decisioni che prendiamo non cambiano la vita alle persone che ci giudicano, ma a noi stesse. Qualsiasi cosa possano dirti penso che la felicità derivi da noi, ricordandoci sempre che la nostra libertà finisce quando inizia quella dell’altro. Di conseguenza se ci viene repressa qualsiasi forma di libertà dobbiamo reagire, denunciare e conseguentemente ripartire ristabilendo quella libertà che ci è stata lesa, continuando a portare la sofferenza sulle spalle, ma con il tempo si potrà piazzare al di sotto della piante dei nostri piedi. Cammineremo per sempre con essa, ma sarà sotto quello che la vita ci ha riservato».

 

Ci sarà un tempo in cui il dolore sarà accucciato al di sotto delle sorprese che la vita ci riserverà.

 

Sono le meravigliose parole cariche di speranza che condivide con me la ragazza vittima della violenza a Palermo. Sono un ricamo che riempie un tessuto sgualcito, la bellezza che arriva a ripulire il fango causato non solo dallo stupro, ma dagli insulti e dalle minacce che ha ricevuto sui social. La seguo spesso durante le sue dirette, parla di tutto e cambia spesso registro. A volte racconta il suo quotidiano, altre volte si anima e conduce la sua piccola, enorme, faticosissima battaglia. Con le parole prova a disinnescare quella bomba che ha piazzato nella sua vita chi l’ha privata dei suoi giorni felici.

 

Utilizza i social perché sono una compagnia in questo momento di lontananza da Palermo, ma anche perché ha voglia di cambiarlo questo mondo, di fare sentire la sua voce, la sua verità, la sua forza. Si racconta, mescola ricordi, delusioni, nostalgie e poi sorride all’improvviso e quando arriva è una lama perché è talmente bella la leggerezza dei vent’anni che avrebbe meritato di portarseli addosso soltanto così: con spensieratezza. E infatti dura poco perché la rincorre immediatamente un’ombra e lei ritorna a essere corrucciata e disincantata. Poi la diretta finisce e io resto al buio ogni sera con i miei interrogativi: perché una ragazza che ha subito uno stupro deve subire un tribunale popolare in cui a commentare la sua condotta è il signor chiunque? Perché il mondo non riesce a condannare all’unanimità la violenza?

 

I giudizi sono sempre un’ennesima abrasione per le vittime.

 

Lei sa che proveranno a chiudere la bocca a tante altre vittime, che tante saranno “scoraggiate” dal denunciare, tante ancora saranno messe sotto accusa per un abito, una fotografia, un invito accettato, un bicchiere di vino. Tante saranno costrette a lasciare la propria terra, gli amici, la famiglia, a rimettere in discussione tutto senza averne responsabilità.

 

Quando gli argomenti di cronaca non occupano più le prime pagine dei giornali e i salotti televisivi, i protagonisti dopo essere stati usati per alimentare il dibattito, vengono dimenticati. E, peggio, viene dimenticato il motivo per cui abbiamo iniziato la discussione: per difendere la libertà.

 

Dovrebbe essere il nostro unico obiettivo quando discutiamo la vita degli altri. Soprattutto quando violata. Lei lo sa, purtroppo.