Servono un vero leader e una proposta inclusiva. Basta guardare agli esempi europei che arrivano da Spagna e Polonia

Sembrava una mission impossible; e, tuttavia, è sostanzialmente andata a buon fine. Fra guerra nel Medio Oriente, crisi economica e della sanità pubblica e “affaire Giambruno” (il «giambrunismo malattia infantile di un certo destrismo», verrebbe da dire…), il nostro dibattito pubblico ha finito per perdere un po’ di vista alcuni eventi inattesi che andrebbero, invece, osservati con l’attenzione che meritano.

 

Nel corso di questi ultimi mesi, hanno fatto la loro comparsa alcuni segnali in controtendenza rispetto a quel populsovranismo arrembante che il “pessimismo della ragione” tendeva a considerare come un fenomeno ineluttabile e irresistibile. E, dunque, certamente in Slovacchia a vincere le ultime elezioni è stato il Partito socialdemocratico Smer – qualificabile, in verità, sotto il profilo ideologico, come rossobruno e filorusso – perno di un’alleanza di destra-destra e nazionalisti di «orientamento Visegrad», e capitanato da Robert Fico, un politico di lungo corso assai discutibile con vari scheletri nell’armadio. E non vi è dubbio riguardo al fatto che il contesto sociale e i venti bellici che soffiano purtroppo impetuosi favoriscano le narrative populiste, con la loro proposta di ricette semplicistiche di fronte a problemi complessi e questioni delicate.

 

Nondimeno, si sono prodotti anche degli ulteriori esiti elettorali tutt’altro che scontati – a dimostrazione di come la politica sappia rivelarsi talvolta più “creativa” di quanto si potrebbe supporre – che hanno ribadito la forza delle sinistre in Spagna e spostato la Polonia al centro. A dispetto delle previsioni, infatti, le destre iberiche non hanno trovato l’intesa, e il “pallino” è ritornato a Pedro Sánchez, che sta cercando di formare un governo progressista appoggiato dagli autonomisti. Mentre a Varsavia si è affermata la Coalizione Civica (liberale ed europeista) guidata da Donald Tusk, che ha interrotto il lungo regno del partito di destra tradizionalista Diritto e Giustizia (Pis), il quale, sebbene arrivato primo, non possiede più i numeri per governare. Un risultato di rilievo nel cuore di quell’Europa orientale che, in seno al continente, si caratterizza da tempo come la roccaforte dell’ideologia sovranista e anti-illuminista; e il segno di come in Polonia tutta una parte dell’opinione pubblica appoggi le idee di modernizzazione e allargamento dei diritti civili.

 

Parlare di una “lezione a tutto tondo” pare eccessivo, ma se ne può innegabilmente trarre un significato politico: ovvero, il populsovranismo non risulta invincibile se le forze europeiste, democratiche e progressiste dei vari Paesi mettono in campo un progetto di respiro complessivo e rivolto all’intera collettività nazionale, nessuno escluso. Per prevalere – come è appunto stato in questi due casi – devono poter contare su un leader autentico e riconosciuto, e saper prospettare un futuro maggiormente inclusivo e solidale. E, ancora, devono mobilitare gli elettori di riferimento (specie quelli dei ceti medi urbani), e condurre campagne elettorali efficaci in grado di promuovere il giusto messaggio comunicativo. Si è quindi trattato di successi sofferti e il futuro non sarà una “passeggiata”: ma quanto accaduto insegna che la stagione dei trionfi populsovranisti non è “per sempre”, se si è capaci di tornare a fare politica nel modo opportuno e con una visione dell’interesse generale.